Trecentosettemila miliardi di debiti contratti dall’economia mondiale. Governi, banche, famiglie e imprese. Nessuno escluso. Tutti hanno contribuito ad aumentare il passivo di 100 mila miliari rispetto ai livelli di dieci anni fa. Il dato è stato svelato nel rapporto trimestrale Global Debt Monitor dallInternational Institute of Finance (Iif), anticipato dal Sole24Ore.

Tutti i Paesi abbiano utilizzato la leva del debito e del deficit per sostenere l’economia. Ma il punto è che il fardello del debito cresce nel rapporto con pil. Secondo l’indagine negli ultimi due trimestri l’indebitamento è tornato a lievitare in relazione al Pil globale per attestarsi intorno al 336 per cento. E cioè persino oltre il 295,5% contestato all’Italia.

Complessivamente l’indebitamento federale ha superato la soglia dei 33.000 miliardi di dollari, pari a 252.000 dollari per famiglia. Si tratta di una cifra stratosferica che è equivalente alla somma del Pil di Cina, Giappone, Germania, India e Regno Unito. Insomma, i conti non tornano in diversi angoli del mondo.

Come interpretare questi numeri se è vero che, come testimonia la storia economica, il declino di potenti imperi del passato sono crollati proprio sotto il fardello del debito? Per i Paesi molto indebitati, come l’Italia, è possibile immaginare nuovo deficit?

La questione è estremamente delicata perché proprio in queste ora il governo sta valutando il da farsi in una situazione economica estremamente delicata dove pure si tenta di varare provvedimenti a favore di famiglie ed imprese per evitare una severa recessione.

Non riguarda però solo per noi italiani. Il peso del debito è distribuito diversamente nel mondo Occidentale, ma per capire se una singola economia è sana bisogna capire se il debito contratto serve al rilancio del Paese. Se, infatti, un governo decide di fare deficit, è sostanziale che il denaro raccolto sui mercati venga utilizzato per generare un effetto moltiplicatore benefico per l’economia.

Detta in altri termini se la composizione della spesa che genera i saldi è tale che l’economia, ovvero reddito, ricchezza e occupazione, vengono sostenuti dal moltiplicatore spiegato oltre novant’anni fa e l’economia cresce, allora il debito non è un problema. Finché l’economia avanza, deficit e debito non sono un problema.

Questa è una prima osservazione che prescinde dallo stock di ricchezza di cui un Paese dispone. Ma è essenziale, in generale, che lo stock non venga intaccato per finanziare cattivo debito. Il punto è fare in modo che il debito contratto, eventualmente con nuovo deficit, attivi la crescita economica e rendendo più sostenibile finanziariamente gli impegni presi a livello internazionale con l’emissione di titoli di Stato.

In questo modo, e solo così, il debito non è un problema, ma uno strumento di diffusione del benessere nel nostro Paese. E non solo nel nostro Stato.

Alla luce di ciò l’elemento di preoccupazione è il cattivo modo in cui vengono spesi i soldi presi in prestito sui mercati internazionali e l’assenza di crescita. Questo non afferisce solo all’Italia, ma a molti altri Paesi inEuropa che hanno una situazione debitoria migliore dell’Italia, ma comunque non crescono.

Il nostro continente ha rinunciato a crescere negli ultimi anni per la miopia della governance dell’Unione che ha sacrificato sull’altare di una male intesa stabilità quello che invece è stato il grandissimo motivo di orgoglio e successo. E cioè un modello di crescita del benessere diffuso a fasce sempre più ampie della popolazione.

Avere rinunciato a crescere è il vero problema. Questo è il motivo reale che determina tensioni sul debito. Se l’economia crescesse, non staremmo qui a discutere di tutto questo.

 

 Federico Carli, presidente dell’associazione di politica e di economia Guido Carli.