I RAPPORTI INTERNAZIONALI E IL PIANO MARSHALL

Nel percorso attuato dall’Italia nel dopoguerra per ritagliarsi un ruolo importante nella nuova definizione geopolitica vanno sicuramente citate due date, la ratifica del trattato di pace avvenuta il 10 febbraio 1947 e l’approvazione della Carta Costituzionale avvenuta il 22 dicembre 1947 (promulgata dal Capo provvisorio dello Stato il 27 dicembre 1947). Con questi due atti, da una parte l’Italia accettava in parte di pagare per gli errori del fascismo ma allo stesso si metteva nelle condizioni di porre le basi per dimostrarsi in grado di essere ora nazione trainante nella costruzione di una nuova politica internazionale.

Un cambio radicale avvenuto in pochi anni e che evidentemente aveva necessità di dare garanzie di stabilità e democrazia non solo a parole ma anche nei fatti, nella complessa situazione in cui lo statalismo nazionalista costruito in vent’anni di regime risultava difficile da annullare.

Sul piano internazionale l’Italia si inseriva in un contesto ulteriormente complesso ed in evoluzione soprattutto per il radicarsi del contrasto tra il blocco dei paesi filoamericani e quello dei paesi filosovietici. I primi segnali della guerra fredda non favorirono un clima di distensione ma evidentemente portarono gli Stati Uniti a vedere in un’Europa unita e forte un argine all’espansione sovietica.

La solidarietà che si era esplicitata nel periodo bellico tra Francia, Inghilterra e Russia andò ben presto a spegnersi con un’azione politicamente dirompente in Europa orientale dove si insediarono vari governi comunisti, e dalla parte occidentale dove invece i partiti comunisti venivano esclusi dai contesti governativi. Ma oltre alla politica e al confronto ideologico, il problema che attanagliava molti stati nel dopoguerra era la fame delle popolazioni, il difficile reperimento di materie prime per i lavorati alimentari e per l’industria, una povertà che stava dilagando. In questo contesto per motivazioni ideologiche, strategiche e certamente solidariste, si fece forte la voce degli Stati Uniti che si dimostrò determinante per la crescita economica e sociale del blocco dell’Europa occidentale.

Il 12 marzo 1947 il presidente statunitense Harry Truman enunciò al congresso quella che sarà chiamata la "dottrina Truman". Un discorso che inaugurò, nella specifica possibilità di aiutare Grecia e Turchia, la volontà americana di contribuire anche economicamente a sostegno degli stati minacciati dai totalitarismi. Una presa di posizione in politica estera che segnerà l’avvio di successive azioni con effetti impattanti sul continente Europeo.

De Gasperi nell’aprile del 1947 scrisse al presidente americano dopo un recente incontro in America: “Il Governo da me presieduto sta facendo ogni sforzo per risanare il bilancio dello Stato, incoraggiare la produzione, mantenere l'ordine. Io sto anche tentando di dare al governo una base parlamentare più larga, assicurando maggiore influsso ai partiti che vogliono in Italia la stabilità e la libertà del regime democratico. Cercheremo, con ogni mezzo, di aiutarci da noi, ma è troppo evidente che le nostre forze non bastano. Fino a tanto che l'Italia non potrà di nuovo contare sul turismo, sull'emigrazione e sui nodi marittimi, e riprendere le sue esportazioni verso la Germania, il pareggio nella bilancia commerciale non è raggiungibile. In questo periodo transitorio abbiamo bisogno di aiuto. Gli Stati Uniti finora ci hanno aiutato moltissimo: noi speriamo che questo aiuto non ci venga meno.”.

Emerge quanto il Governo italiano si stesse impegnando a livello diplomatico per entrare nel circuito degli Stati amici dell’America, preambolo per poter accedere anche agli aiuti economici che si stavano materializzando. Infatti la politica di Truman si concretizzerà quando il 5 giugno 1947 il segretario di Stato americano George Marshall annunciò, in un discorso tenuto all’Università di Harvard, il prossimo lancio del Piano per la ripresa dell’Europa (European Recovery Plan), poi ricordato col nome del suo proponente, Piano Marshall. Il Piano entrò in vigore il 18 aprile 1948 con durata quadriennale e gli aiuti americani ai paesi dell’Europa occidentale che decisero di accettarli, ammontarono a 12 miliardi di dollari dell’epoca.

I principali beneficiari furono i britannici, i francesi, gli italiani e i tedeschi occidentali. In una prima fase gli americani, su invito soprattutto francese, si dissero disponibili a estendere gli aiuti anche all’Unione Sovietica e ai paesi dell’Est europeo. La risposta dei russi fu quella di abbandonare i tavoli di lavoro e di rinunciare agli aiuti, convinti che l’eventuale adesione avrebbe scardinato il sistema sovietico impostato nel dopoguerra e impedirono inoltre che i vari stati filorussi vi aderissero.

Il Governo italiano nel protocollo bilaterale, firmato il 28 giugno del 1948, nel rispetto degli obiettivi dell’European Recovery Plan - ERP, si impegnava a promuovere lo sviluppo della produzione industriale ed agricola, a stabilizzare la propria moneta, a fissare un tasso di cambio effettivo e a pareggiare il bilancio dello Stato.

Durante il primo anno gli aiuti furono destinati prevalentemente all’acquisto di derrate alimentari e beni di prima necessità, poi le risorse contribuirono alla creazione di investimenti nei settori dell’agricoltura per renderla maggiormente produttiva, dell’industria con la riconversione di impianti obsoleti, dei trasporti da ricostruire, delle telecomunicazioni e una parte fu destinata alla riqualificazione professionale per favorire l’occupazione.

I settori sui quali il programma intendeva concentrare gli investimenti delle imprese pubbliche erano focalizzati alle industrie energetiche per la

produzione e il trasporto dell’energia, all'industria siderurgica e a quella meccanica, al tessile e all’industria chimica. Il dibattito interno all’Italia e la difficoltà comunque di riuscire a raggiungere tutti gli obiettivi previsti non intaccarono invece la speranza politica che il Piano Marshall potesse essere il nuovo vero strumento che permettesse l’inizio di una federazione di Stati europei.

E su questo tema si incentrò anche l’azione del Presidente del Consiglio in carica Alcide De Gasperi che nel febbraio del 1948 dichiarava: “Il consolidamento della pace è anche la meta della nostra leale ed attiva partecipazione al piano Marshall, sulla base della cooperazione europea. Appoggiare questo sforzo è dovere e interesse della nazione italiana: sospettarlo, osteggiarlo e intralciarlo significa compromettere irrimediabilmente le sorti del nostro paese e rendere estremamente dif icile il consolidamento di una democrazia europea, fondata sulle forze del lavoro e sulla cooperazione di popoli liberi. Su queste linee direttive si è mossa la politica interna ed estera del presente governo e tutti i gruppi in esso rappresentati sono concordi nel reclamare che su tali linee debba svilupparsi ulteriormente, raf orzandola verso l’estero con l’unione doganale europea”.

Un significativo e concreto risultato di cooperazione europea, nato sulla spinta del Piano Marshall, fu l’istituzione il 16 aprile 1948 con sede a Parigi dell’OECE - Organizzazione europea di cooperazione economica. Il primo vero ente sovranazionale europeo creato nel dopoguerra con l'obiettivo di una collaborazione formale sul piano economico degli Stati aderenti al piano americano.

L’OECE aveva lo scopo di promuovere la ricostruzione attraverso la cooperazione dei paesi membri con l’armonizzazione dei programmi di produzione nazionali, sviluppare il commercio intereuropeo, studiare la possibilità di creare unioni doganali o aree di libero scambio. Alcide De Gasperi sostenne sempre con forza questa realtà che, pur sulla base di una cooperazione solo economica, rafforzava ulteriormente la collaborazione degli stati europei.

 

Enrico Galvan