Nel corso del XX secolo la popolazione mondiale è quadruplicata e il suo consumo di energia si è moltiplicato per 16. In massima parte questa energia proviene dal bruciamento di combustibili fossili, con la conseguente immissione nell’atmosfera di un crescente flusso di anidride carbonica (CO2). Dall’era pre-industriale al 2020 la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera è passata da circa 275 a 415 parti per milione (ppm), e continua a crescere al ritmo di 2 o 3 ppm/anno. Se poi si tiene conto anche degli altri gas-serra, come metano e ossido di azoto, e se ne riporta l’effetto in CO2 equivalente, la concentrazione totale ormai raggiunge i 500 ppm di CO2 eq.

Le conseguenze sugli ecosistemi

Le correlazioni dinamiche tra le principali variabili climatologiche sono essenzialmente di tipo integrale, cioè la variabile a valle è l’integrale di quella a monte, salvo la presenza di retroazioni stabilizzanti con costanti di tempo più o meno lunghe. In base a queste correlazioni, per una istantanea immissione (o sottrazione) di CO2 nell’atmosfera, il 92% è ancora presente (o rimosso) dopo un anno, il 64% dopo 10 anni, il 34% dopo 100 anni, ed il 19% dopo 1000 anni.

Appare quindi evidente come l’effetto-serra sia già “decollato” con un andamento che è correlato all’”integrale” dell’incremento di concentrazioni di gas-serra già avvenuto rispetto ai tempi preindustriali. Come detto, questo incremento è già molto notevole (per l’anidride carbonica, da circa 275 a 415 ppm: circa il 50%), e persisterà comunque in larga misura per molti secoli.

Tale incremento continuerà a provocare un aumento della temperatura dell’atmosfera non solo finché venisse bloccato, ma finché non fosse del tutto eliminato con il ritorno alle concentrazioni preindustriali. Attualmente le emissioni antropiche di gas-serra equivalgono a 37 miliardi di tonnellate all’anno per la sola CO2, mentre il totale delle emissioni antropiche di gas-serra dall’inizio della industrializzazione si può stimare dell’ordine di 2000 miliardi di tonnellate di CO2 eq.

Senza interventi attivi sulle variabili climatiche, il ritorno alle concentrazioni preindustriali mediante il ciclo del carbonio “naturale” non sarebbe possibile neanche dopo un millennio. Se comunque, mediante interventi attivi, si ritornasse alle concentrazioni preindustriali, a quel punto resterebbero poi da raffreddare l’atmosfera e soprattutto gli oceani (evento quest’ultimo molto più arduo e lento, dato il loro enorme contenuto di calore).

Non volendo ipotizzare catastrofi mondiali, né ritenendo possibile che decisioni autoritarie riducano drasticamente e per decenni il livello economico e sociale raggiunto da molti Paesi, ed impediscano a quelli meno sviluppati di accedere ad un accettabile livello di vita, appare inevitabile ritenere che per molti decenni le fonti fossili saranno ancora preponderanti nella produzione di energia. Di conseguenza, le concentrazioni di gas-serra in atmosfera continueranno a crescere, ed allora sarà indispensabile ed urgente migliorare sistematicamente le nostre conoscenze sulla dinamica del clima, e cominciare a prendere in seria considerazione l’opportunità di procedere allo studio ed alla sperimentazione di tutti i mezzi in grado di contrastare direttamente gli effetti dell’Uomo su quella dinamica.

Se nel futuro si riterrà indispensabile limitare l’aumento della temperatura al 2100 a non oltre i 2 °C rispetto ai tempi preindustriali, al fine di evitare rischi inaccettabili per l’ecosistema terrestre, come è stato affermato anche nella conferenza ONU sul clima svoltasi a Parigi nel 2015 (COP21), allora anche i semplici ragionamenti precedenti confermano l’inevitabilità di interventi “attivi” sul clima. Del resto, la stessa COP21 faceva un chiaro assegnamento sulla possibile adozione, nella seconda metà di questo secolo, di tecniche di rimozione dei gas-serra dall’atmosfera, in modo da compensare le emissioni antropogeniche, che evidentemente si suppongono non completamente eliminabili.

In una simile prospettiva, i Paesi più evoluti dal punto di vista scientifico e tecnologico dovrebbero assegnare un’alta priorità allo studio ed alla sperimentazione di tutti i mezzi in grado di fronteggiare le cause, oltre che le conseguenze, del riscaldamento globale. Queste problematiche si possono ritenere oggetto di una nuova disciplina denominata Geoengineering (un capitolo della quale è la Climate Engineering): in sostanza, si tratta di considerare il “globo terracqueo”, costituente il Pianeta Terra, come un “ambiente” da "climatizzare” con le più evolute ed efficienti tecnologie dell’ingegneria termofluidodinamica.

Le tecniche per interventi di questo tipo potrebbero poi costituire l’”ultima ratio” per garantire un futuro a lungo termine all’attuale Genere Umano, se l’Olocene terminerà in una nuova glaciazione in tempi di centinaia o poche migliaia di anni. Questa eventualità, infatti, appare praticamente certa dalla storia del clima dell’ultimo milione di anni, sempre meglio conosciuta grazie ai carotaggi dei ghiacci artici ed antartici: questa storia è infatti caratterizzata da una lunga sequenza di glaciazioni, che per lunghi periodi resero quasi inabitabile l’intero emisfero settentrionale.

Riduzione delle emissioni - Due casi di successo grazie all’energia nucleare: Svezia e Francia

Due programmi energetici del passato (anni '70 e '80 del secolo XX) si sono rivelati degli innegabili successi per il fine che si erano posti (l'indipendenza energetica dalle importazioni degli idrocarburi), ma hanno anche ottenuto come effetto collaterale una drastica riduzione delle emissioni di CO2 dei Paesi interessati.

Si tratta dei programmi di costruzione delle centrali elettronucleari di Svezia e Francia, che hanno permesso a quei due Paesi di disporre, ormai da molti anni, di sistemi elettrici sostanzialmente "carbon-free", basati sull'integrazione di energia nucleare e energia idroelettrica.

Questi Paesi inoltre stanno ora estendendo sistematicamente l'uso dell'elettricità, così decarbonizzata, anche in altri settori tradizionalmente grandi consumatori di fonti fossili, come la climatizzazione degli edifici (con pompe di calore) ed i trasporti (con veicoli elettrici, ed in futuro forse anche a idrogeno, ottenibile sia per elettrolisi che per scissione diretta dell'acqua in reattori nucleari ad alta temperatura).

Per la produzione di energia elettrica, in particolare, le esperienze di Svezia e Francia dimostrano che, per quanto riguarda gli aspetti tecnologici e industriali, sarebbe possibile sostituire in circa trent'anni tutte le fonti fossili attualmente in uso con la fissione nucleare, coadiuvata, ove possibile e conveniente, con le energie rinnovabili, in particolare la idroelettrica, che è agevolmente accumulabile e regolabile. 

Evidentemente, l'effettiva attuazione di una simile impresa dipenderà dalla volontà politica e dalla accettazione dell'opinione pubblica, oltreché dalla oggettiva situazione di maturità tecnologica e organizzativa dei singoli Paesi. Si veda invece purtroppo qui di seguito la grave disomogeneità delle politiche energetiche dei diversi Paesi europei, nonostante, per molti di essi, l’appartenenza all’Unione Europea

 

 Agostino Mathis  e  Giuseppe Rotunno