IL POPOLO

Editoriali

Circa 15 milioni di persone domenica e lunedì si sono recati alle urne per un referendum all’evidenza non adeguatamente pubblicizzato e con un già consistente calo dei partecipanti registrato in tutte le recenti elezioni. 15 milioni di italiani che hanno voluto dire la loro rispetto a temi delicati ed importanti per il paese. Certo astenersi non è peccato direbbe forse Andreotti, ma certo non fa bene alla democrazia.
Solo alcuni nel passato hanno ottenuto il richiesto quorum. Una riflessione va fatta sulla necessità o meno dì apportare delle modifiche alla normativa referendaria. Intanto va garantita una semplificazione dei quesiti che rende leggibile cosa “si chiede”. Gli attuali quesiti non brillano per chiarezza ma sembrano costruiti per una fascia di elettori pazienti e disponibili a studiare. I precedenti referendum che hanno ottenuto il quorum erano chiari come quelli sul finanziamento pubblico dei partiti, sulla responsabilità civile dei magistrati e sulla scala mobile. La formulazione dei quesiti è responsabilità dei proponenti.
Diciamolo pure, del referendum dell’8 e 9 giugno, il 78° da quando li ha previsti la Costituzione, non gliene importa niente a nessuno. Se ne parla molto nell’indifferenza di chi è costretto ad ascoltare notizie ben più terribili. Pare che importi solo a due o trecento persone ed al terribile Landini, l’uomo dalla faccia feroce, che per l’occasione ha messo la cravatta. Non ho la palla di vetro, ma penso che sarà un’altra spesa inutile se non si raggiunge il quorum del 50,001%. L’idea che il referendum sia uno strumento per dare ai cittadini il modo di esprimere il loro orientamento è vecchia come il cucco.
Il 2 giugno si celebra la nascita della Repubblica. In quel giorno del 1946 il popolo italiano,per la prima volta votavano anche le donne, scelse attraverso il quesito referendario la Repubblica ed elesse l’Assemblea Costituente, che approvò la Costituzione, entrata in vigore il 1 gennaio del 1948. Fu una fase segnata dalla volontà di assicurare alla giovane Repubblica un insopprimibile riferimento di libertà e di democrazia. I partiti riuscirono a mobilitare e a coinvolgere i cittadini sin dal 2 giugno del 1946. Dibattiti appassionati furono il lievito della democrazia che avrebbe trovato riscontro pieno con la elezione del Primo Parlamento il 18 Aprile del 1948.
Nel suo primo intervento pubblico, benedicendo la folla radunata in piazza San Pietro, papa Leone XIV ha iparlato di “pace disarmata”, cui significativamente aggiungeva anche l’aggettivo “disarmante”. Il direttore del TG2 Antonio Preziosi ne riferirà il giorno successivo invertendo erroneamente i due termini; così anche Alessandra Viero a “Quarto Grado” (Rete4), sempre il 9 maggio, e Tiberio Timperi a “I fatti vostri” (Rai2) il 12 maggio; suor Monia, invece, a “Quarta Repubblica” li citava correttamente nell’ordine. Non sono inoltre mancati, nell’occasione, i rilievi critici. Come quello di Alessandro Rico, che osservava: “Parlare di pace disarmata mentre l’Ue promette 800 mld di riarmo, la Germania ne investe 1.000, Russia e Ucraina non riescono nemmeno a mantenere una tregua di due giorni, Israele bombarda a tappeto ed è cominciato un conflitto tra India e Pakistan, qualche effetto lo fa”.
L’astensionismo alle ultime elezioni amministrative di maggio, anziché diminuire rispetto alle politiche del 2022 è aumentato, superando il 54% dei cittadini elettori. Se la politica è lo strumento attraverso il quale si realizza l’equilibrio tra gli interessi e i valori di uno Stato, regione o ente locale minore, in una determinata fase storico politica, è evidente che da molto, troppo tempo, stiamo vivendo una stagione nebulosa nella quale questo equilibrio non si raggiunge e l’offerta politica dei partiti in gioco non soddisfa gli interessi e i valori maggioritari dell’elettorato.
La elezione al soglio pontificio di Leone XIV ha suscitato una attenzione diversa dal passato. Non mi riferisco alla mobilitazione e all’interesse che in ogni tempo non è mancata, ma al modo come è stata commentata da una frange consistente di osservatori. I primi gesti del Santo Padre hanno fatto sì che organi di informazione si discostassero dal pur comprensibile affastellamento di notizie e di curiosità sul nuovo Pontefice, per affrontare questioni antiche e nuove affidate alla cura pastorale del successore di Pietro.
La lettera inviata tramite il Popolo agli Onn. Rotondi, Cuffaro e Cesa, dopo la recente sentenza del tribunale di Roma su nome e simbolo della DC. Gianfranco Rotondi aveva espresso pubblicamente la sua disponibilità per una ricomposizione, ma non ha trovato analoga risposta da Lorenzo Cesa, sembra, soprattutto, per l’irriducibile volontà dell’On Antonio De Poli di conservare la sua rendita di posizione, sempre utilizzata a suo favore con la destra, prima forzaitaliota, poi leghista e, ora, a dominanza della destra meloniana.
Il silenzio può avere tante sfumature. Può essere degli innocenti o dei colpevoli, dei forti o dei pavidi, irato o divertito, oppure perché non si ha nulla dire. Può essere tutto. È malleabile come l’oro, perché va bene in tutte le occasioni ed è prezioso: chi non parla, non dice nulla. Gli puoi attribuire qualunque idea che ti faccia comodo, ma non sai mai se è quella giusta. La politica, purtroppo, almeno da noi, è gridata. Non è neppure importante ciò che si dice. È importante, invece, esternarla, gridarla, sbatterla sui media, purché abbia un eco. È strano, più la gridano, meno si sente. Fa eccezione il Vaticano, dove, invece, è sussurrata. Ma il Vaticano dovrebbe essere il regno dello spirito.
Poco più di ventiquattro ore. Un Conclave molto breve ha risposto di nuovo per la Chiesa, quasi immediatamente, alla domanda d’amore e all’invito a pascere le Sue pecore rivolti per ben tre volte da Cristo a Pietro (Giovanni, 21, 6-17), eleggendo al soglio papale il successore di Pietro.