Tra gli impegni della maggioranza di governo v’è l’attuazione del disposto costituzionale che rende possibile un aumento delle competenze regionali per le Regioni che lo richiedano, previa negoziazione delle condizioni fra Stato e Regione richiedente. Alcune Regioni da tempo hanno già chiesto allo Stato di iniziare tale negoziazione, talune, come Lombardia e Veneto, anche con il sostegno ampio di un referendum popolare.

Si tratta perciò ora da parte dello Stato di fissare dei criteri generali per decidere in merito. Il fatto che la negoziazione avvenga tra Stato e ciascuna Regione richiedente può portare a spazi di autonomia diversi da Regione a Regione, per cui l’assetto risulta, come già in Spagna, ad autonomia differenziata.

Sul tema si è acceso il dibattito politico, specie tra maggioranza e opposizione, ma in modo meno acceso anche tra diverse forze di maggioranza. Come si colloca al riguardo la Democrazia Cristiana? Nel corso della riunione dell’Ufficio Politico tenutasi il 19 gennaio  il Segretario, nella sua relazione, ha espresso la preoccupazione che nell’individuazione dei criteri per ampliare l’autonomia delle Regioni ad autonomia ordinaria si peggiori lo squilibrio tra regioni già ora di rilievo nei servizi. Il tema sarà oggetto di dibattito e di valutazione al prossimo Congresso.

Il principio guida per tale valutazione per un partito che si ispira al pensiero sociale cristiano non può che essere quello della sussidiarietà. Non solo lo Stato non svolga funzioni che possono essere svolte adeguatamente a livello regionale, ma anche lo Stato sia di “sussidio” alle Regioni per l’esercizio di tali funzioni.

Quali funzioni, nonostante tale sussidio, le Regioni non sono in grado di svolgere adeguatamente? Difficile mettere tra queste i servizi alla persona, le infrastrutture di scala regionale, l’uso e il governo  di risorse  del territorio regionale, ecc. Certamente tra esse, invece, le decisioni su difesa e  politica estera, sulla moneta, sui codici civili e penali, sull’ordinamento delle istituzioni scolastiche e universitarie, ecc..

Ma tra queste c’è sicuramente anche il perseguimento dell’equilibrio di sviluppo socio-economico tra regioni. Si tratta di un obiettivo che nessuna singola Regione può raggiungere, perché riguarda l’assetto dell’intero sistema . Una maggiore autonomia regionale va perciò accompagnata da una politica nazionale che persegua il riequilibrio tra regioni.

L’istituzione di fondi perequativi è solo uno degli strumenti, l’individuazione di livelli minimi per i servizi alla persona un altro, ma la questione è più ampia e riguarda le politiche economiche e infrastrutturali di livello nazionale ed europeo. I due tipi di azione, la crescita dell’autonomia regionale e il rafforzamento di politiche nazionali di riequilibrio territoriale debbono correre simultanee, anche se ciascuna ha ragioni proprie.

Il problema politico non sta, quindi, nel combattere contro la crescita di autonomia regionale, ma nel far sì che non crescano gli squilibri territoriali, trovando soluzioni di transizione da un sistema centralista ad uno autonomista che non violi l’obiettivo di uguaglianza delle opportunità fra territori, almeno per quelle opportunità che dipendano dalla disponibilità di risorse pubbliche.

E', invece, sbagliato pensare che il problema sia di limitare il potere derivante dall’autonomia con il passaggio a un assetto “presidenziale” della Repubblica, togliendo potere al Parlamento. Ma anche su questo la DC dibatterà al Congresso.

 

Renzo Gubert, presidente del Consiglio Nazionale della Democrazia Cristiana