di Ruggero Morghen
Compagno di studi di Roncalli all’Apollinare, venne ordinato prete nel 1903. Di lì a poco – ricorda Roberto Donati - Ernesto Buonaiuti prese le difese del modernismo nelle opere “Il programma dei modernisti” (1908) e “Lettere di un prete modernista” (1908). Rossana Dedola, che ha letto i suoi diari, vi trova “bellissime descrizioni della primavera romana a Villa Borghese”. “La rinascita della natura – assicura - lo confortava in momenti difficilissimi”.
Giusto cent’ anni fa il S. Uffizio emanava il decreto con cui Buonaiuti, figura di spicco nel modernismo condannato da san Pio X, “veniva dichiarato decaduto con la privazione anche dell’abito ecclesiastico, da tutti i privilegi, anche esteriori del sacerdozio”. Il documento era pubblicato dalla rivista Fede e Ragione con commento del direttore don Paolo de Töth, che ricordava la ostinata ribellione alla Chiesa del Buonaiuti. Nel 1921 egli era stato accusato - “su regia dispiegata da tenacissimi nemici inquadrati nella Compagnia di Gesù”, rileva Giorgio Boatti - di aver insegnato “proposizioni teologiche erronee e anche manifestamente eretiche”. La scomunica gli fu irrorata in data 25 gennaio 1926 perchè modernista. In seguito al Concordato del 1929 venne esonerato dalle attività didattiche e assegnato a compiti extra-accademici, come direttore dell’Edizione nazionale delle Opere di Gioacchino da Fiore. La cattedra universitaria gli fu tolta definitivamente nel 1931 per aver rifiutato di prestare il giuramento di fedeltà al fascismo.
Sulla scorta di due ponderosi volumi (“imponenti” li chiama) dedicati al modernista romano, Luigino Bruni propone oggi di cancellare la scomunica a suo tempo comminata ad Ernesto Buonaiuti. Scrive infatti: “L’anno giubilare – il tempo in cui venivano rimessi i debiti e liberati gli schiavi – potrebbe, dovrebbe essere il tempo propizio per una riabilitazione di Buonaiuti e della cancellazione della sua scomunica, o quantomeno, di una trasformazione post mortem in un atto disciplinare molto meno grave e infamante”. Una “liberazione” da estendere – già che ci si mette mano - alla numerosa schiera di preti e laici modernisti, a suo tempo severamente condannati. E perché non buttare alle ortiche anche lo stumento della scomunica, che Bruni definisce senza mezzi termini “residuato bellico di una chiesa dei tre regni, della Santa Inquisizione e del Santo Uffizio, del Sillabo e degli anatemi, della sedia gestatoria”?
Gianni Musella applaude: “Avvenire oggi dedica un intera pagina a due opere appena pubblicate su Buonaiuti. Deo gratias!”. Così pure Giacomo Risso, che considera il sacerdote romano “un precursore, troppo in anticipo sui tempi e difatti – aggiunge - la pagò molto cara, con la complicità dello Stato teoricamente liberale e laico”. Non così don Ugo Carandino, secondo cui “un personaggio che ha passato la sua triste esistenza a cercare di demolire il Deposito della Fede è presentato come un martire, vittima del magistero antimodernista di san Pio X, da riabilitare con tutti gli onori”. Per Mario Proietti siamo di fronte ad “una scelta che interroga non solo la teologia, ma anche lo stile comunicativo di certa stampa ecclesiale”. E si dice convinto che “la Chiesa non ha bisogno di riabilitare chi ha contraddetto il Magistero per sembrare dialogante”. Mentre il bibliotecario Stefano Tomasino confessa di leggere spesso Luigino Bruni, che considera davvero un ottimo studioso, ma “su Buonaiuti – aggiunge – penso sbagli”. Dopo l’ultima buonaiutata dice anzi di considerarlo “uno studioso raffinato che usa l’accetta”.
Nel suo articolo su “Avvenire”, intitolato “La buona battaglia di Ernesto Buonaiuti” e naturalmente rilanciato dalla pagina facebook dell’organizzazione no-profit Economia di comunione (uno stile di agire economico – così si definisce - nato per ispirazione di Chiara Lubich nel 1991), Bruni non accenna però allo studio sul sacerdote vitandus pubblicato da Giordano Bruno Guerri nel lontano 2001 e poi riedito con aggiornamenti (Eretico o santo. Ernesto Buonaiuti, il prete scomunicato che ispira Papa Francesco, La Nave di Teseo, 2022). Poco male, direbbe Claudio Siniscalchi, ché “della storia del cristianesimo contemporaneo GBG [com’egli affettuosamente chiama il direttore-presidente del Vittoriale] capisce poco”. Non la pensa così Maurizio Gentilini, secondo il quale “non è la prima volta che Luigino Bruni omette di citare autori e titoli che sarebbe naturale e scontato nominare”. “La storia della censura, così come quella dell'invidia – sentenzia infine pensoso -, è ampia e variegata”.