di Ruggero Morghen
Il compianto Vinicio Vergoni ricordava, nella Rimini di quand’era bambino e ragazzo, “le corse di resistenza attorno all’isolato, che comprendeva il Politeama in via Gambalunga e l’ottico Severi all’angolo con Corso Umberto I e Piazzale Cesare Battisti“. E poi c’era via Clodia, che – informa Oreste Delucca - faceva parte del più antico Borgo Marina, inglobato un po’ alla volta nella mura cittadine. “Era il Borgo più grande della città, abitato da gente di mare, marinai, pescatori e artigiani del porto che in gran numero erano arrivati da Chioggia”.
Via Clodia a Rimini era una strada di cattiva fama. Alcuni che ci abitavano erano rotti a tutti i mestieri e a tutte le astuzie per combinare il tempo del giorno con quello della notte. E spesso il rispetto arrivava dal sopruso, dall’essere un dritto. “Alcune femmine – aggiunge Vergoni -, né fresche né leggiadre, erano note a tanti e amiche di tutti.” Spesso, nella stagione dello scaldino e dello scialle, quando il cielo era basso grigio e triste, le incontravi sul cantone e lì si formava un crocchio di vita e di chiacchiere interrotte, talvolta, da risa sguaiate. La strada era lastricata con le pietre squadrate e sconnesse del buon tempo antico e lassù, come appese nel cielo buio, luci tremule e fioche pendevano dai piatti lontani. “Ai lati – ricorda ancora il Vergoncino, ormai fatto maturo e memore -, vi erano piccole case scolorite con usci bassi e finestre con gli scuretti pieni”.
Scendeva dalla soglia d’uno di quegli usci, e veniva verso l’antica biblioteca civica “Gambalunga”, l’editore di via Clodia Tommaso Panozzo, che io chiamavo Francesco perché mi sembrava aver proprio un’aria serafica. Gli chiesi della Dora ed egli subito capì che mi riferivo alla tenutaria del più noto bordello autorizzato di Rimini, a cento metri dal Caffè Roma, sui bastioni. Poi parlammo del libro “Amarcord e la Mille Miglia”, che doveva presentare a Palazzo Buonadrata e gli confidai che un mio amico riminese – il sociologo Gabriele Pollini, ora collezionista delle incisioni di Francesco Rosaspina – poteva vantare un avo che era stato parte viva e attiva di quell’epopea. Panozzo rimase in silenzio, poi improvvisamente, com’era apparso, sparì. Per me egli rimarrà, dunque e per sempre, il fantasma di via Clodia.
Un altro fantasma, ma femminile e garbato, appare dai tipi dell’elegante editore Raffaelli (anch’egli riminese ma con sede in vicolo Gioia, a due passi dall’Arco di Augusto), che ha pubblicato “La rosa del piacere”, una raccolta di poesie di Aurora Castro intervallata da deliziose illustrazioni. “Abbraccio reminiscenze – scrive infatti Aurora in una delle pagine – e fantasmi retrivi”. Nessun inquietante fantasma invece per “Il Ponte” di via Cairoli, che a quanto pare è cattolico ed edita anche l’omonimo “giornale locale”, insieme cattolico e riminese.