Sul quotidiano Il Popolo, verso il finire degli anni Settanta dello scorso secolo, il sociologo trentino don Franco Demarchi (1921-2004), autore di “Paradigmatica ed assiomatica in sociologia” (1975) e “Società e spazio” (1969), intervenne più volte nello spazio dedicato alle opinioni: una rubrica – così questa si presentava – “aperta al contributo anche di quanti non si riconoscono nella linea politica ufficiale della DC”, ma intendono comunque dare un contributo “di chiarificazione e di ricerca”.

Convinto della bontà della “pastorale del dialogo” – così la chiamava - avviata dal Concilio ecumenico Vaticano II, Demarchi non apprezzava viceversa l’iniziativa di monsignor Marcel Lefebvre, che senza tanti giri di parole giudicava “ottusa”. In “Domenica cristiana e riposo settimanale” egli si interrogava sul lento (allora: poi sarebbe diventato accelerato) degrado della pratica religiosa – anzi specificamente missaria – domenicale. “La Chiesa – scriveva in questo articolo – si rende conto che la domenica è qualche cosa di ben più grandioso della classica giornata di riposo”.

In “Evoluzione del pensiero e della politica del PCI” il sociologo trentino riconosceva la duttilità dell’italo-comunismo, la cui matrice culturale e le cui ragioni sociali – asseriva – “sono così diverse, come aveva avvertito De Gasperi, da quelle di altri Paesi”. Riflettendo su “quale modello di marx-leninismo” si affermava nel Terzo Mondo e in Asia, invitava poi gli occidentali ad effettuare “forti rettifiche della loro presunzione di essere tout-court la civiltà”. E, argomentando sulla “moralità come base politica” per costruire un popolo, proponeva di ricondurre l’idea di massa a quella stessa di popolo, inteso come realtà sociale orientata da principii di ordine. 

Demarchi segnalava inoltre come necessario il passaggio avvenuto “dal disordine morale al disordine civile” quale retroterra della criminalità armata. “È quasi obbligatorio, ormai – lamentava -, parlare di doveri e diritti dei cittadini senza alcun riferimento alla moralità popolare, alle tradizioni etiche, alla dottrina religiosa”.

In “Ripensare al passato per orientare il futuro”, denunciato “l’enorme ritardo del nostro Paese nelle scienze umane positivamente impostate”, rifletteva sul Sessantotto e la spirale della violenza che ne seguì riconoscendo che “pensieri, metodi, ideali elaborati nelle assemblee del Sessantotto sono oggi più che mai presenti nel terrorismo delle brigate rosse” (lo scriveva proprio così: minuscolo). 

Il sociologo trentino si applicava quindi al problema di “come vendere le opportunità turistiche”, denunciando l’idealismo aulico ed alienato che – rilevava – “tiene ancor lontano l’insegnamento delle materie d’interesse turistico dalle università”. Demarchi vedeva allora la nostra ricchezza di beni ambientali e culturali appaiata purtroppo alla disoccupazione intellettuale, “come due amanti – concludeva con un’immagine bella ma tragica - che si rincorrono e non s’incontrano mai”.

 Ruggero Morghen

 

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Franco Demarchi (1921-2004)

Sacerdote, sociologo e amico della Cina.  

Come sacerdote iniziò la sua esperienza a soli 22 anni, il 10 aprile del 1943 in piena guerra e per quindici anni fu il prete di montagna, prima a Taio, poi a Cavalese, a San Lugano, a Cimone ed infine a Merano. 

Come sociologo è stata fondamentale per lui la conoscenza del pensiero dello studioso tedesco Max Weber. Dopo la laurea nel 1956 in Scienze politiche in Cattolica con una tesi dal titolo “La tipologia politica di Max Weber” proseguì il suo cammino di studi e riflessioni. Fu docente universitario a Trento, Milano, Trieste e Gorizia. Fonda la “Scuola di Preparazione Sociale” nel 1957, una scuola diocesana di “scienze sociali” nel 1958, la rivista “Prospettive di efficienza” nel 1961 e l’Associazione Italo – Tedesca di Sociologia nel 1990.  

Come amico della Cina permise a molti di conoscere la Repubblica Popolare Cinese attraverso la fondazione dell’Istituto Culturale italo – cinese. Dagli anni 70 in poi, andò in Cina più o meno venti volte mosso dal suo forte interesse di cogliere gli elementi di convivenza per gettare un ponte fra la l’oriente e l’occidente.