di Ruggero Morghen
Ci siamo già occupati, su queste colonne, di Emiliana Zecchini. Nata a Roncegno prima di sette figli, dopo aver frequentato il liceo classico “Prati” a Trento divenne assistente sociale diplomandosi nel capoluogo trentino, presso la Scuola superiore regionale di servizio sociale, nell’anno accademico 1950-1951. La sua dissertazione, presentata da Antonia Pruner, verteva sulla crisi degli alloggi nel dopoguerra e sulle sue ripercussioni sociali.
La Zecchini lavorò come assistente sociale in un convitto svizzero e poi in Abruzzo, ove seppe coniugare le tradizioni e l’identità trentina con i costumi e la diversa cultura di questa nuova terra. Da ultimo lavorò come dirigente regionale dei servizi sociali. Il Comune di Orsogna le ha dedicato una targa nella sala di lettura ristrutturata della Biblioteca comunale, istituzione di cui era stata promotrice avendola fondata e anche gestita.
La Zecchini fu in corrispondenza con Arturo Arcomano, che portò avanti l’esperienza innovativa di “scuola viva” confrontandosi con le nuove metodologie didattiche che si stavano diffondendo in quegli anni (introdusse anche la metodologia del testo libero fino ad approdare all’esperienza della tipografia a scuola). Un suo contributo è ospitato nel volume “Quale comunità per quale minore: esperienze a confronto”, pubblicato da Angeli nel 2003 a cura di Angela Maccallini, Giuseppe Di Berardo e Cesare Vigliani. Troviamo inoltre il nome di Emiliana in “Strana gente” di Goffredo Fofi, un diario tra Sud e Nord nell'Italia del 1960, a proposito del “lavoro di comunità”.
Lo stesso Fofi, deceduto proprio in questi giorni, proponeva all’attenzione dei lettori la figura di un’altra donna: la ternana Angela Zucconi cui pure è stata intitolata una biblioteca, ad Anguillara sulle rive del lago di Bracciano. Subito dopo la guerra Angela entrò infatti nel giro del cosiddetto “servizio sociale”, fondando con Maria Comandini Calogero la prima scuola non confessionale del servizio sociale. “Fu proprio di Maria – rivelava Fofi – lo slogan che avrebbe dovuto guidare gli interventi degli operatori sociali: Aiutare gli altri perché si aiutino da soli. Lo propose a Tolmezzo, nell’assemblea che, a guerra appena finita, dette origine al servizio sociale, alla professione – precisava – di assistente sociale”.
Questo slogan – ne era convinto il saggista umbro, già titolare di una seguita rubrica sul Messaggero di Sant’Antonio – dovrebbe ancora guidare la variegata società degli operatori sociali, del volontariato e del terzo settore, dell’assistenza pubblica e privata e anche – riteneva – di quelle iniziative dal basso che “si vogliono decisamente politiche, di organizzazione e di lotta”.
Ma tornando alla scuola fatta crescere da Maria ed Angela (come Fofi affettuosamente le chiamava), ossia il CEPAS finanziato da Adriano Olivetti, occorre ricordare che molti suoi allievi vennero coinvolti in iniziative ad ampio raggio come il progetto “E”, inteso allo sviluppo di comunità in vaste aree dell’Abruzzo e Molise, o in esperienze - ancora di sviluppo di comunità - realizzate in Lucania intorno a Matera.