All’indomani della seconda guerra mondiale e con l’affermazione politica dei blocchi, da una parte il mondo comunista con le sue articolazioni (URSS (Stalin, Krusciov e successivi) - Maoismo – Titoismo – Hoxhaismo – Castrismo – Guevarismo – e le varianti asiatiche della Corea del Nord, Laos, Vietnam e quelle africane) e dall’altra il blocco occidentale, con l’inclusione del Giappone e con l’attenzione verso l’India come “la più grande democrazia del mondo” dopo l’indipendenza e, dopo il 1960, e l’inclusione di molti Paesi dell’Africa, il confronto non si misurava soltanto sulla politica o sull’economia o sulla ricerca scientifica o sulla potenza militare, ma anche sulla cultura della democrazia o sulle due culture della democrazia, che comunque esercitavano una influenza reciproca in un regime di competizione perenne.

Sul piano della reciproca influenza culturale, l’attenzione si focalizzava sicuramente sull’esercizio delle libertà e della partecipazione democratica, con l’obiettivo di risollevare le condizioni sociali ed economiche dei popoli, che avevano tutti subìto la guerra mondiale.

Tale attenzione si manifestava – prevalentemente nell’Europa Occidentale e negli altri Paesi a sistema democratico – nell’enfatizzare l’impegno con il principio di solidarietà verso le classi meno abbienti, per dimostrare che la condizione sociale ed economica, oltre che civile, di tali classi fosse migliore di quella delle classi popolari degli Stati a regime comunista.

Il progresso dei popoli retti da sistemi democratici era evidente e il susseguirsi dei piani quinquennali degli Stati comunisti non sarebbe riuscito a raggiungere i livelli sociali ed economici dei primi.

La motivazione ideologica del comunismo si infranse sulla mancanza di risultati rispetto ai livelli di benessere dei cittadini (benessere non solo economico, ma sociale, civile, diffusamente scientifico, culturale per evidente carenza di confronto a causa dell’imposizione di una monocultura) e quindi il 1989 è la data storica del fallimento del comunismo con la caduta del Muro di Berlino e la successiva liquidazione dell’Unione Sovietica, per merito di uno dei più grandi politici della storia, Mikhail Gorbaciov.

Mikhail Gorbaciov era insieme a Ronald Reagan quello che teneva in equilibrio il sistema mondiale dei blocchi e in quella fase la grande responsabilità dei due e dei rispettivi governi evitò che si innescasse uno sbilanciamento, che avrebbe messo in serio pericolo la pace e l’esistenza di milioni di cittadini nel mondo, nell’eventualità di una guerra atomica.

La sconfitta ideologica del comunismo reale, nonostante il permanere in abbrivio in Cina e in qualche altro Paese, ma con modalità diverse, lascia al mondo l’altra ideologia, che aveva dimostrato di poter raggiungere risultati migliori e ne fa acriticamente un totem, dal quale prendeva il via la globalizzazione dei mercati (secondo la definizione economica) ma in effetti la globalizzazione dell’informazione, della cultura, della tecnologia, della ricerca, della “scienza ufficiale”, affermando di fatto una monocultura, all’inizio accettata trionfalisticamente, me che alla luce dei fatti rivela tutti suoi limiti economici, sociali, civili, umani.

 

LA CULTURA LIBERISTA

A trent’anni dalla fine del comunismo e dall’inizio della globalizzazione i danni della monocultura liberista sono evidenti e anche i più grandi economisti non riescono a trovare una indicazione chiara per correggere tutto il disequilibrio creato e voluto.

La soddisfazione dei bisogni (prima) e dei desideri dei cittadini diventa l’obiettivo di ogni manifestazione e di ogni attività intellettuale, economica, civile, sociale e la dimensione gradualmente si modifica da sociale ad individuale, incoraggiando la valorizzazione delle capacità dell’individuo, offrendo dei modelli che incitano alla conquista di posizioni sempre più evidenti nel contesto sociale di riferimento.

Viene invertita la logica cristiana che gli ultimi saranno i primi; nel contesto terreno è sempre meglio essere primi, perché “il primo è primo, il secondo non è nessuno”, recita un adagio comune.

Proprio in tale logica si costruisce un percorso sociale nel quale la competizione, che di per sé non è negativa, viene praticata a tutti i livelli e ad ogni costo, senza tenere in considerazione le condizioni di contesto e quindi la relativizzazione delle varie situazioni.

In effetti si mutua la logica fisiocratica e liberista del “laissez faire, laissez passer”, anche nella società e quindi l’individualità prevale sulla socialità, annichilendo i rapporti interpersonali e piegandoli al conseguimento degli obiettivi personali in termini prioritari e alcune volte esclusivi.

In tale contesto decadono quelle che vengono definite “sovrastrutture morali” e quindi si afferma la logica che è consentito tutto quello che può soddisfare i desideri dell’individuo, con la sola eccezione del rispetto dei “diritti umani” (e non sempre), sanciti dalle Carte ONU.

Il modello di riferimento per costruire la società degli uomini è identico a quello economico liberista, per il quale si affermano le imprese più forti sulle più deboli; nella società le classi meno abbienti, le persone affette da patologie congenite o croniche e con una ridotta capacità lavorativa, gli anziani, generano costi sociali, che la logica in voga subisce e tenta in ogni modo di ridurre - un esempio e la richiesta reiterata in tempi diversi della riduzione del “cuneo fiscale”, o la concentrazione di una categoria di cittadini nelle RSA per evitare l’assistenza domiciliare, che avrebbe effetti psicologicamente migliori – per affermare il principio che ognuno deve vivere del proprio lavoro secondo le proprie capacità; e se tali capacità sono insufficienti cosa fare ?

Il principio della solidarietà e la dimensione sociale vengono quasi completamente estromessi dalla logica del vivere, senza che tale esclusione crei scandalo (l’Obamacare, che assicurava l’assistenza agli indigenti, in una parte non trascurabile del popolo statunitense ha suscitato scandalo e si è tentato di abrogarla).

L’economia sociale di mercato di Wilhelm Ropke, fatta propria dai partiti ad ispirazione cristiana in Europa, invocata in Germania durante la Repubblica di Weimar, è stata applicata in Europa e in altri Paesi fino agli anni Novanta ed è stata soppiantata dalla pratica capitalistica dopo la caduta del Muro di Berlino, creando la situazione mondiale attuale.

Negli USA si applicavano le teorie Keynesiane e John Kenneth Galbraith, dalla presidenza di Kennedy e successivamente per alcuni decenni, era uno degli economisti più ascoltati.

Quando nella società cadono le protezioni sociali dei più deboli si compromette uno dei principi fondamentali della convivenza civile e democratica, perché si infrangono principi costituzionali non solo in Italia, ma anche in altri Paesi, nell’Unione Europea e si violano le Carte dell’ONU, che prevedono che in ogni Paese non è ammessa la discriminazione di cittadini, privi della capacità autonoma di provvedere a sé stessi.

Quindi, sarebbe opportuno constatare che applicare il modello economico liberista nella società del mondo a sistema democratico ha creato disparità intollerabili e ha bloccato società in evoluzione, compromettendo il consolidato “ascensore sociale”, che portava i figli a creare condizioni migliori di quelle dei padri.

Il blocco della dinamica sociale ha generato enormi sacche di inoccupazione e anche un grande impedimento all’adeguamento complessivo della società alla contemporaneità, perché ha lasciato senza sostegno coloro che avrebbero voluto e potuto contestualizzare la propria esistenza con i traguardi che costantemente vengono raggiunti.

La pandemia ha evidenziato la situazione mondiale e anche le economie più forti o quelle che ritengono di avere le risorse per affrontare ogni problema si trovano in difficoltà, come effetto della politica liberista che gli Stati hanno lasciato che si realizzasse, espandesse e proliferasse senza alcun limite o condizione.

La situazione attuale della società in ogni parte del mondo registra lo schiacciamento dei ceti medi e di quelli alto-borghesi verso il basso, allargando di fatto la fascia dei ceti poveri e incrementando, oltre la soglia fisiologica, la classe degli emarginati.

Anche i sistemi fiscali sono condizionati dalla politica liberista, che lascia le grandi aziende multinazionali fuori dal sistema fiscale nazionale, consentendo di localizzare le sedi fiscali in Paesi a fiscalità favorevole o trattando di volta in volta la percentuale della contribuzione fiscale da corrispondere.

 

LA SITUAZIONE DEGLI STATI

La situazione finanziaria degli Stati sarebbe da analizzare, in quanto la situazione dei debiti pubblici generalmente cresce in corrispondenza dell’incremento delle politiche sociali da prevedere; in tale situazione, con la scomparsa quasi totale del ceto medio, con l’accentramento delle ricchezze nelle casse di un numero ristretto di gruppi finanziari, con il contrarsi del settore del commercio al dettaglio, operato da aziende individuali e piccole e medie, perché concentrato nelle grandi catene di distribuzione, l’imprenditoria si riduce drasticamente e proporzionalmente si riduce la capacità di resilienza nei periodi di crisi da parte dei cittadini a reddito variabile secondo il volume degli affari; in definitiva le crisi si scaricano prevalentemente sui cittadini a reddito fisso, perché i loro stipendi perdono potere di acquisto con l’aumento dei prezzi.

Tutte le grandi potenze economiche hanno indebitamenti pubblici e privati enormi e alcune di queste multinazionali sono a rischio fallimento, perché i loro clienti, rappresentati da quel ceto medio - ormai impoverito – non hanno più la capacità di pagare le loro esposizioni (due soli esempi, che rappresentano la quasi totalità del fenomeno: Lehman Brothers e Evergrande Real Estate Group che erano considerate “too big to fail”).

Se non si dovesse intervenire per correggere una globalizzazione senza regole, introducendo appunto regole che non limitino l’accumulo della ricchezza, ma ne regolamentino l’impiego, distinguendo il settore finanziario da quello produttivo, da quello commerciale, dei servizi, e assegnando quote di mercato, che impediscano la creazione di oligopoli, con la motivazione di affermare la necessità del regime di concorrenza, ci troveremmo all’inizio di un’era del “cretaceo-terziario finanziario” per le multinazionali (dinosauri economici) e di un nuovo dopoguerra (finanziario), per l’impoverimento generalizzato della popolazione mondiale, che non avrebbe più la possibilità di assolvere agli impegni presi, portando conseguentemente gli Stati al collasso dei bilanci per i costi sociali da affrontare.

 

PROSPETTIVE DELL’UMANITÀ CON IL SISTEMA LIBERISTA

Il sistema liberista finanziario attuale avrà come epilogo la creazione di una società dove la ricchezza è concentrata nelle casse di pochi gruppi mondiali, il settore industriale tenderà ad uniformare le produzioni per azzerare le differenze (anche in campo culturale come moda, design, strumentazione, abitudini, alimentazione, organizzazione dei tempi quotidiani, ecc); il settore commerciale sarà organizzato in enormi megastores, le città saranno prive di negozi, perché il commercio di piccole dimensioni (il dettaglio) non avrà più spazio per sopravvivere; la parte di popolazione riconosciuta abile al lavoro sarà indirizzata al lavoro dipendente, per controllare i sistemi di lavoro, per uniformare le retribuzioni e le garanzie salariali, per ridurre la capacità individuale e sottometterla alla strategia aziendale; il tempo libero sarà organizzato globalmente per obbligare i cittadini a determinate pratiche, funzionali all’efficienza produttiva.

In definitiva l’obiettivo è quello di creare una società globale di “umani robotizzati”, che risponde alla domanda di efficienza per la produzione di ricchezza dei pochi gruppi finanziari, che governeranno l’economia mondiale.

Da qui si avrebbe il bisogno di riscoprire quell’economia sociale di mercato, insieme all’”Economia di Comunità”, all’economia di comunione e ad ogni altra forma solidaristica da applicare in una società priva di mezzi.

Le grandi strutture che regolano l’economia mondiale (finanziaria, produttiva, commerciale, di servizi) dovrebbero essere riformate e sottoposte al governo degli Stati che vi aderiscono, nelle quali siano previste regole generali obiettive e dei periodi di phasing in, perché ogni Stato aderente sia garantito per il trattamento uniforme tra tutti, senza eccezioni.

Si è verificato nel passato che alcuni Stati siano stati ammessi, nonostante non avessero le condizioni per accedervi, nelle grandi organizzazioni internazionali (la Cina nel WTO, nonostante il grande problema dei diritti umani e del deficit di democrazia).

Sarebbe anche importante verificare la necessità o l’opportunità di sovrastrutture finanziarie, che regolano i mercati delle materie prime, che lungi dal portare benefici ai produttori primari, ai quali viene imposto un regime di produzione e di prezzi, servono alla speculazione privata per accumulare ricchezza, attraverso una serie di strumenti finanziari che hanno alla base la valutazione di un rischio futuro e ipotetico (vedi il TTF- TITLE TRANSFER FACILITY di Amsterdam).

Il riferimento non va alle associazioni dei produttori (tipo Opec e similari anche in campo alimentare), ma alle strutture finanziarie generali e specifiche, per le quali non sarebbe necessaria una limitazione totale, ma solamente quella di influire sulle partite correnti quando si ipotizza un andamento futuro.

In tale realtà anche l’organizzazione delle Borse Valori avrebbe bisogno di una rivisitazione strutturale normativa, soprattutto nella valutazione dell’ammissione di titoli e nella gestione di quelli specificatamente finanziari, che cumulano la maggiore capitalizzazione, i quali attualmente hanno la possibilità di intervenire in ogni ambito e settore, determinandone l’incremento o il decremento.

Non è positivo che si sia verificata la “finanziarizzazione dell’economia” in maniera totale, in quanto raiders spregiudicati possono creare ingenti movimenti finanziari in ambito pubblico e privato, compromettendo l’andamento naturale della vita di Stati e aziende private.

La istituzione dello strumento del “golden power” per bloccare le scalate ostili, previsto dalla legislazione nazionale ed europea, probabilmente è solamente uno strumento di difesa, mentre sarebbe necessario che le scalate o le acquisizioni per la cessione dei titoli avvenisse dopo un controllo preventivo per verificare il futuro aziendale, i livelli produttivi e la conservazione dei posti di lavoro o, in alternativa, la creazione di nuovi posti di lavoro in sostituzione di quelli eventualmente dismessi.

Si è verificato che nel nostro Paese siano state scalate alcune grandi aziende per la estrazione di minerali, per la produzione di acciai e per la produzione di elettrodomestici, e al termine dei tempi previsti per la ristrutturazione aziendale, siano state abbandonate (mi riferisco ad aziende indiane, statunitensi, algerine, che evidentemente avevano l’interesse di ridurre o eliminare la concorrenza italiana).

Una riflessione particolare deve essere fatta sull’organizzazione dei Brics, nati nel 2009 senza il Sudafrica, aggregatosi nel 2010, che hanno messo in piedi una organizzazione alternativa e concorrente al Fondo Monetario e alla Banca Mondiale, non riconoscendosi più in quelle organizzazioni internazionali.

La creazione della Nuova Banca di Sviluppo (New Development Bank), della Contingent Reserves Arrangement (CRA), della Global Development Iniziative GDI, della Global Security Iniziative GSI, manifestano la volontà di contrastare le politiche economiche e finanziarie, adottate dalle organizzazioni esistenti e istituite con Bretton Woods.

I Brics rappresentano oltre il 45 % della popolazione mondiale e il 25 % dell’economia globale e hanno calamitato l’adesione di altri Paesi (Kazakistan, Arabia Saudita, Argentina, Egitto, Indonesia, Nigeria, Senegal, Emirati Arabi Uniti, Thailandia), con la prospettiva di aggregarne ancora.

Le motivazioni risiedono nella evidente aspirazione di tali Paesi ad acquisire un maggiore spazio nell’autodeterminazione e, anche, nel non subire le politiche economiche e finanziarie americane, frutto della monocultura imperante.

I rischi di uno scontro economico non più mediato dagli organismi internazionali è altissimo e quindi sarebbe necessario impostare una svolta politica inclusiva, dove ogni Stato si possa riconoscere e trattare il proprio spazio di crescita.

Il principio di “esportare la democrazia” non ha funzionato e non potrà mai funzionare, perché il senso democratico deve prima essere cultura diffusa e poi potrà essere istituzionalizzato nella organizzazione statuale.

Un caso tipico si è verificato quando il mondo occidentale favorì e alimentò le cosiddette “primavere arabe”, che nascevano attraverso moti popolari, ispirati da correnti fondamentaliste.

In Egitto i “fratelli Mussulmani” sono stati defenestrati da Al Sisi, in Tunisia vi è una situazione di stabilità precaria, in Libia si è scatenata la guerra civile e ancora non si è riusciti a normalizzare la situazione, per non parlare dell’Afganistan.

In definitiva non penso che i risultati di esportare la democrazia abbiano dato seri frutti, anche perché la democrazia non si esporta, ma deve maturare nella cultura popolare e diventare patrimonio nei comportamenti quotidiani dei cittadini, evolvendo la cultura civile e religiosa, come sta avvenendo attualmente i Iran con i moti popolari per protestare contro la persecuzione delle ragazze per motivi religiosi, violando il principio dell’intangibilità della persona, stabilita da tutte le Carte dei Diritti. 

 

L’ANTROPOCENE

Da qualche tempo intellettuali di spessore discutono con la loro produzione libraria sulla prospettiva che potrà avere la società nel prossimo futuro.

La riflessione sulla trasformazione della natura, conseguenza dell’impatto con l’uomo risale alla fine dell’ottocento ad opera del geologo Antonio Stoppani, che usò il termine “era antropozoica”; successivamente il russo Vernadskij chiamò l’epoca “nòosphera”; lo stesso termine fu usato dal pensatore cattolico Teilhard de Chardin; la definizione continuò a cambiare in “olocene” per arrivare al termine attuale di “antropocene”, adottato anche dal Nobel Crutzen.

Tra i primi ad analizzare puntualmente l’andamento sociale all’inizio degli anni del boom economico fu Romano Guardini, che intravedeva la trasformazione della cultura antropologica che avrebbe costruito un “uomo non umano”, inserito in una “natura non naturale”, anticipando intuitivamente l’epoca odierna, nella quale si ragiona di “umano, post-umano e trans-umano”.

Francis Fukuyama parla della “fine della Storia e l’ultimo uomo”, come della conclusione del processo evolutivo; ma se il processo evolutivo è concluso, quale potrà essere l’attività dell’uomo sopravvissuto alla fine della storia?

 Inoltre, quale processo evolutivo, quello della civilizzazione? 

Il processo di civilizzazione è veramente concluso o bisogna aspettare che tutte le comunità raggiungano lo stesso livello di evoluzione economica, sociale, civile, culturale?

Vi è qualcuno che abbia definito l’inizio e la fine del processo di civilizzazione?

Il processo di civilizzazione non segue quello relativo alla evoluzione dell’intelletto umano e conseguentemente a quello dei rapporti interpersonali e sociali?

Indubbiamente il pensiero di Fukuyama fa riflettere moltissimo, perché non bisogna rassegnarsi alla “fine della storia”, ma bisogna andare avanti fino a quando la capacità cerebrale dell’uomo riuscirà a controllare tutti i processi di ricerca in ogni campo, per poterli usare secondo il proprio giudizio, per raggiungere livelli di benessere sempre maggiori.

Cristianamente non è concepita la “fine della storia” se non quando l’Apocalisse si manifesterà rigenerando gli uomini ad immagine di Dio, senza spazio e senza tempo e quindi senza Fine.

Laicamente non potrà essere concepita “la fine della storia” fino a quando l’intelligenza umana governerà il mondo, anche con errori di valutazione macroscopici e con la presenza di volontà ostinatamente prevaricatrici e violente. L’istinto di sopravvivenza potrà fare giustizia anche delle forme più subdole di autodistruzione, motivate dalla pervicace volontà di acquisire potere illimitato.

La previsione di Samuel Philips Huntington sugli avvenimenti storici della fine del secolo scorso appare ormai verificata dagli accadimenti e quindi si può dire che il mondo unipolare, immaginato con la globalizzazione, con il pensiero unico, con la democrazia esportata, con il “politically correct”, con l’uniformizzazione dei comportamenti anche attraverso i sistemi digitali, con il “culture cancel”, con il tentativo della cancellazione delle radici delle comunità, non ha funzionato e anzi è stato rifiutato, perché innaturale rispetto alla originalità di ogni uomo.

Preciso, comunque, che il “sovranismo” va anch’esso giudicato negativamente, perché mette in discussione secoli di attività civilizzatrice dell’Umanità e delle sue numerose comunità, che non si sono chiuse in sé stesse, ma hanno intrattenuto rapporti con tutto il mondo circostante e gradualmente con un raggio sempre più ampio, in relazione ai tempi e ai sistemi di collegamento.

Dai Fenici ai Greci, ai Romani, ai popoli indoeuropei, ai Vichinghi, ai Saraceni, ai Mongoli, si sono sempre registrate migrazioni e quindi scambi culturali, che hanno promosso la ricerca e hanno garantito l’evoluzione culturale del pensiero e di tutto quello che discende a cascata.

Sarà necessario rivedere tutte le teorie che ritengono di poter governare il mondo con il “pensiero unico”, perché sarebbe contro natura: l’originalità individuale è la più grande ricchezza che ha l’umanità e che ci ha consentito di raggiungere i traguardi attuali.

Durante il Global Social Business Summit di Torino Muhammad Yunus ha dichiarato: ”Gli esseri umani sono orgogliosi della propria identità locale, oltre che di far parte di una comunità globale. Ma la parola “globalizzazione” viene da un’altra direzione. Viene dalla colonizzazione politica o dalla colonizzazione economica. Le relazioni disomogenee non dovrebbero essere chiamate globalizzazione. La globalizzazione dovrebbe essere basata sull’amicizia, sulla condivisione e sulla solidarietà. L’economia che massimizza il profitto non può raggiungere questo obiettivo. Il suo scopo è approfittare delle debolezze altrui, non aiutare a superare le debolezze. Questo è il business del social business. Il mondo futuro dovrebbe essere un mondo di social business”.

Non è immaginabile un mondo “unipolare”, nemmeno multipolare, ma multilaterale, dove ogni comunità trovi il proprio spazio e concorra alla pari delle altre a immaginare ed edificare il futuro.

Una domanda da porsi è quella che ci fa interrogare se la “globalizzazione senza regole” sia contro la cultura in generale e le culture dei popoli.

Probabilmente sì, la “globalizzazione senza regole” è contro la cultura perché è portatrice e alimentatrice di un “pensiero unico”, che inizialmente rispondeva soltanto al principio economico di razionalizzazione delle fasi produttive con l’uniformizzazione dei comportamenti; successivamente tale “pensiero unico” si è esteso ad ogni manifestazione di vita, strumentalizzando anche comportamenti collettivi, che avevano soltanto l’esigenza di determinare una svolta in direzione del benessere.

Si può dire che la “globalizzazione senza regole” sia contro la civiltà? Probabilmente sì, perché nella società senza regole (leggi) ha la prevalenza la forza sulla ragione, mentre nella società con le regole (leggi) la ragione della convivenza civile prevale attraverso il rispetto dei Valori della libertà, della giustizia, dell’uguaglianza, della solidarietà nella dimensione sociale.

In definitiva bisogna constatare che in natura vince sempre la forza e per evitare che ciò avvenga, l’elemento che ritiene di essere debole o ha le proprie difese naturali o adotta tattiche di sopravvivenza che gli consentano di sopravvivere.

L’uomo ha vissuto questa esperienza e per poter sopravvivere ha pensato di regolare la convivenza con le leggi, come frutto dell’intelligenza dei filosofi di tutti i tempi, conquistando il grado di civiltà attuale.

Nella contemporaneità non è immaginabile che si ritorni alla barbarie senza le regole con la globalizzazione vissuta negli ultimi trent’anni; bisogna invece impegnarsi per una globalizzazione che abbia regole rispettate da tutti, dove ciascuno ha legittimamente il suo ruolo e il suo spazio sociale, civile ed economico, senza prevaricazioni, per la crescita di tutti.

 

LE RELIGIONI

Per inciso, bisogna dire che le religioni hanno avuto e continuano ad avere l’obiettivo di liberare l’uomo dalla condizione di finitezza della vita, a cui è sottoposto per la morte; finitezza che potrebbe avere come conseguenza l’assunzione della convinzione dell’inutilità di ogni sforzo per la vita, impedendo il processo di evoluzione; più grave ancora sarebbe la convinzione che si possa adottare qualsiasi comportamento pur di vivere secondo i propri desideri, prescindendo dall’etica di rispettare gli altri; una simile convinzione avrebbe avuto come conseguenza l’estinzione del genere umano sin dai primordi.

Le religioni nel passato hanno anche accettato o addirittura promosso comportamenti fondati sull’acquisizione del “potere temporale”, testimone la storia di duemila anni; ma nell’era moderna tali fatti sono stati ampiamente stigmatizzati da tutti, anche se restano ancora gli ultimi epigoni di una religione che nega il Valore della Pace e della convivenza civile e pratica ancora la guerra (i Talebani, gli Sciiti dell’Iran, i Salafiti, ecc.).

Anche la cultura religiosa orientale, che più che trascendente è squisitamente intellettuale e insegna il superamento della dimensione umana attraverso l’esaltazione del pensiero come frutto dell’intelletto, è prevalentemente una cultura di pace, escludendo alcune interpretazioni dello Shintoismo.

L’Imam Ahmad Muhammad Ahmad al Tayyib, 44° Grande Imam della Moschea Università di Al-Azhar, in tantissimi messaggi ha richiamato il Valore della Pace e ha invitato tutto l’Islam a lavorare per raggiungerla.

Parimenti Papa Francesco, che ha incontrato l’Imam, quotidianamente invoca la Pace, il Perdono, la Fratellanza, l’Amore per il Creato, di cui “siamo custodi” (Laudato Si) per tutto il mondo, compresa l’Ucraina e l’Europa, lo Yemen, il Centrafrica, il Corno d’Africa e tutti i territori dove insistono focolai di guerre.

 

LE RISORSE ALIMENTARI E MINERARIE

Esiste il problema delle risorse, che diventano sempre più insufficienti, come ci indica l’andamento dell’Hearts Overshoot Day, che anticipa costantemente la data delle risorse consumate nell’anno, che per il 2022 è stata fissata al 28 luglio.

A fronte del consumo delle risorse tra gli otto miliardi di persone, 820 milioni di persone soffrono la fame nel mondo (rapporto ONU 2021), mentre un terzo (1,3 miliardi di tonnellate) della produzione alimentare diventa spazzatura.

Se con due terzi pari a 2,6 miliardi di tonnellate di risorse alimentari si soddisfano 7,2 miliardi di esseri umani, 1,3 miliardi di risorse alimentari sprecate potrebbero alimentare altre 3,6 miliardi di persone; la realtà invece ci consegna 820 milioni di persone che soffrono la fame.

Non mi pare che anche questo aspetto della globalizzazione si possa approvare, a meno che non si rilevi che 1,3 miliardi di risorse alimentari sprecate siano state prima oggetto di commercio e quindi di scambio finanziario, mentre gli 820 milioni di persone indigenti vivono in stato di povertà e quindi debbano subire la loro sorte, senza che la solidarietà possa sostituirsi alla disumanità.

Peraltro, la vicenda del grano ucraino è eloquente; non si sarebbe nemmeno dovuta porre, fortunatamente si è risolta positivamente; resta in piedi la problematica sulle fonti fossili di energia.

Nessuno mette in discussione l’appartenenza delle fonti energetiche agli Stati che la detengono, facendone commercio legittimo, bisognerebbe però condividere a livello internazionale la natura sociale di una fonte e quindi definire consensualmente un regime particolare, possibilmente anche in termini economici, che escluda le fonti energetiche come quelle alimentari dalla prassi e dalle norme generali per il commercio delle altre produzioni.

Probabilmente queste dovrebbero essere le prime regole per la globalizzazione del terzo millennio, nel quale sono già aperti scenari e prospettive da esaminare con la scrupolosità estrema, perché attengono al futuro dell’umanità e di ogni singola persona.

Una questione diversa pongono le cosiddette “terre rare”, che si troverebbero in alcuni limitati territori del pianeta e quindi sono oggetto di tensione tra gli Stati e in alcune realtà africane hanno scatenato sanguinose guerre.

Non penso che nel terzo millennio si possa agire come nel passato per i metalli nobili, scatenando lotte e guerre negli Stati e tra di essi per accaparrarsi la maggiore quantità.

L’evoluzione della scienza che stiamo vivendo potrà sicuramente individuare e indicare alternative di materiali, senza che ci sia bisogno di aprire ulteriori conflitti; sotto questa prospettiva le “terre rare” potranno essere oggetto di scambio come qualsiasi altro prodotto, facendo salva la regola della valutazione nel confronto tra domanda e offerta.

La storia economica ci ha sempre insegnato che la rarefazione di un prodotto in confronto ad un fabbisogno crescente, nella prima fase fa aumentare il valore del prodotto, ma successivamente, quando il costo diventa troppo esoso, il mercato ricerca delle alternative e dei surrogati e, in alcuni casi come nell’attuale periodo, chiede alla scienza di ricercare nuovi prodotti, per migliorare le produzioni e marginalizzare le fonti in esaurimento (vedi il carbone come fonte energetica, o il nucleare in Italia, o l’idroelettrico per la scarsità di precipitazioni, ecc).

 

LA RICERCA SCIENTIFICA E LA TUTELA DELLA VITA

La pandemia ha messo in moto tutta la ricerca scientifica mondiale per trovare un antidoto al Sars- Co.Vi.D – 19 - 2, determinando due aspetti positivi: il primo è attribuito alla concorrenza stabilitasi tra Stati per chi dovesse trovare l’antidoto più efficace; il secondo è attribuito al confronto dei risultati raggiunti e, successivamente, allo scambio di informazioni, ancorché parziale, sui farmaci prodotti.

Per le sperimentazioni sono stati adottati sistemi diversi, così come per il conseguimento della “immunità di gregge”, che probabilmente non si è raggiunta in nessuna parte del mondo (in Cina è stata sottoposta a lockdown tutta l’area di Shanghai).

La ricerca scientifica, comunque, presenta alcune criticità fondamentali che dovrebbero essere rimosse per il bene dell’umanità, ma che finora nessuno ha fatto, perché la precarietà dell’equilibrio mondiale, per nulla garantito e assicurato dalla globalizzazione realizzata, è sempre incombente e quindi gli Stati impongono su alcuni dossiers critici il segreto di stato a propria tutela.

Si immagina e si può anche sospettare che alcune ricerche riguardino il settore NBC a scopi bellici.

Anche se buona parte dei prodotti sono stati messi al bando, in alcune zone di guerra sono stati usati proiettili con uranio impoverito e nell’attuale guerra in Ucraina è stato denunciato l’uso di bombe al fosforo.

La ricerca per uso bellico nel passato alcune volte è stata trainante per l’impiego nell’uso civile dei ritrovati con tanti vantaggi per il progresso, attualmente non si sente il bisogno di una ricerca per usi bellici, che poi si potrebbe trasformare ad uso civile, perché la potenza distruttiva che il prodotto potrebbe avere rappresenta un enorme rischio per l’umanità.

Gli accordi sulle armi nucleari sono stati una pietra miliare verso il disarmo del mondo.

 Negli ultimi decenni, nonostante il controllo degli armamenti nucleari, si sono moltiplicate le ideazioni di armi di distruzione di massa; per questo è assolutamente indispensabile che si continui per trattare un disarmo non solo nucleare, ma di tutte le armi di distruzione di massa in ambito NBC, elettronico, elettromagnetico, psicotronico ,geofisico, armi ad energia diretta, armi controllate dall’AI, molte delle quali puntano ad hackerare i sistemi di controllo degli impianti di governo del puntamento e del lancio, provocando degli “incidenti”, anche in anonimato, tra Stati, direttamente o indirettamente.

Bisognerà acquisire la consapevolezza che la vulnerabilità dei sistemi informatici è provata e non esistono sistemi di sicurezza inviolabili, nemmeno quelli ad aggiornamento periodico, pertanto, le armi della generazione digitale rischiano di essere un grave problema per l’umanità, al di là della volontà di chi le progetta, le costruisce e le detiene.

Un’altra criticità della ricerca scientifica attiene all’etica tanto sulla ricerca stessa che sulla sperimentazione; infatti, alcuni esperimenti potrebbero sconfinare nell’eugenetica, che bisogna vietare a livello mondiale, perché di Menghele contemporanei se ne trovano in tutte le parti del mondo.

L’EFSA – European Food Safety Authority – ha un proprio protocollo, ma il suo ambito è limitato al settore alimentare, mentre sarebbe necessaria l’istituzione di una autorità mondiale che riesca a monitorare tutta la ricerca per governarla con un protocollo generale e con degli addenda per ogni settore di indagine.

Le popolazioni Europee, attraverso la “Convenzione per la protezione dei Diritti dell’Uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti dell’applicazione della biologia e della medicina: Convenzione sui Diritti dell’Uomo e la bio-medicina” – Oviedo 4 aprile 1997, sottoscritta dai Paesi del Consiglio d’Europa e dall’Unione Europea, hanno una base normativa, che le tutela dall’applicazione di pratiche eugenetiche.

Sarebbe importante promuovere un confronto mondiale istituzionale, per impedire che centri di ricerca indipendenti o anche strutture statali attivino ricerche e applicazioni dei risultati in contrasto con le regole generali, consensualmente approvate, al solo scopo di perseguire illeciti guadagni o il controllo di intere comunità assoggettandole.

I rischi sono altissimi e non si possono sottovalutare, per evitare che l’umanità di ritrovi vittima di dinamiche di manipolazioni genetiche fuori controllo.

 

CONCLUSIONI

Alla luce delle succinte considerazioni fatte, tutte quante meritevoli di approfondimenti, non si può non concludere che la “globalizzazione” realizzata è completamente inadeguata per rispondere alla sfida del ventunesimo secolo e superare le discriminazioni, le emarginazioni, le colonizzazioni, le omologazioni, la standardizzazione e la robotizzazione dell’uomo.

A partire dal WTO e coinvolgendo tutte le Agenzie internazionali, attraverso l’ONU, sarà necessario fissare delle regole che valgano per tutti gli Stati del mondo (196 riconosciuti e 11 non riconosciuti o parzialmente riconosciuti), avendo come obiettivo il benessere delle popolazioni, in ogni ambito e nel rispetto delle culture di riferimento, secondo la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.

La vita, la dignità, la nutrizione, la salute, la tutela dell’ambiente, la libertà, la giustizia, l’eguaglianza, l’educazione e la formazione per tutto l’arco della vita, sono i Principi fondamentali che dovranno governare le comunità del terzo millennio per raggiungere e garantire una Pace durevole per tutti gli esseri umani, dove ciascuno potrà trovare il suo spazio e la sua dimensione in un confronto continuo, finalizzato a migliorare le condizioni di benessere per tutti.

 on. Vitaliano Gemelli

 

Università popolare di Roma – Pagina 3 – Non si finisce mai di imparare

VITALIANO GEMELLI. Nel 1999 è candidato dai Cristiani Democratici Uniti come presidente della provincia di Reggio Calabria, ottenendo il 4,7% dei voti. Contestualmente è candidato anche alle elezioni europee nelle liste del CDU, venendo eletto europarlamentare nella circoscrizione Italia meridionale. A Strasburgo ha fatto parte della Commissione per lo sviluppo e la cooperazione e della Commissione Esteri, inoltre ha ricoperto il ruolo di Presidente della Commisione Parlamentare d<per le Petizioni, Da fine 2002 - dopo lo scioglimento del CDU - rappresenta l'UDC. Termina il proprio mandato all'Europarlamento nel 2004. Dal 2000 al 2008 è stato vice-presidente dell'Unione nazionale per la lotta contro l'analfabetismo, dal giugno 2008 ne è diventato presidente nazionale.

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