I LAVORI DELLA COSTITUENTE E L’ARTICOLO 11 DELLA COSTITUZIONE

Il tema della costruzione Europea nel dopoguerra, grazie ai contributi e alle spinte che in tal senso arrivavano da più parti della politica e del mondo sociale, andava necessariamente reso anche istituzionale. Questo passaggio risultava, anche in Italia, fondante per un processo che aveva due scopi: riscattare il nostro paese dalla vicenda fascista ed entrare a pieno titolo tra le potenze europee e mondiali che promuovessero la pace, la libertà e lo sviluppo. E dal punto di vista istituzionale in Italia, il primo passaggio formale avvenne con i lavori della Costituente che era stata identificata come lo strumento per deliberare la nuova Costituzione dello Stato.

La creazione di un'Assemblea Costituente era stata impostata nel 1944 nel decreto legislativo luogotenenziale del 25 giugno, n. 151, emanato dal governo Bonomi, in cui si individuava in un’assemblea eletta dai cittadini il percorso per la definizione della forma istituzionale. Con il successivo decreto legislativo luogotenenziale del 16 marzo 1946, n. 98, si definiva ulteriormente che nella stessa giornata dell’elezione dell’Assemblea Costituente il popolo sarebbe stato chiamato a votare un referendum sulla forma Istituzionale dello Stato tra Repubblica o Monarchia.

Sulla base del decreto del 1944 il Presidente Bonomi nominò i presidenti della Camera dei deputati e del Senato nelle persone di Vittorio Emanuele Orlando e di Pietro Tomasi della Torretta e nel 1945 fu istituito dal governo Parri il Ministero per la Costituente che guidato da Pietro Nenni istituì tre commissioni di studio, definite durante i lavori tecniche e non politiche, aventi ad oggetto rispettivamente le questioni economiche, i problemi del lavoro ed i problemi attinenti alla riorganizzazione dello Stato.

Le Commissioni presentarono all'Assemblea Costituente una relazione in tre volumi contenente i risultati dei lavori e fu sciolta il 30 giugno 1946.

Il 2 giugno 1946 si svolse il referendum, che con il voto popolare condusse alla nascita della Repubblica e all’elezione dell’Assemblea Costituente, a conclusione di un tragico periodo di transizione segnato dalle azioni di movimenti e partiti antifascisti e dall’avanzata degli alleati in un paese diviso e devastato dalla guerra. Gli italiani, e per la prima volta le italiane, parteciparono alla fondazione di un’idea di cittadinanza repubblicana che trovò nella Costituzione la pietra fondante.

I risultati delle votazioni del referendum furono proclamati il 10 giugno 1946 dalla Corte di Cassazione, e subito dopo il Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi assunse le funzioni di Capo provvisorio dello Stato.

I voti a favore della Repubblica risultarono essere 12.718.641, pari al 54,3 per cento dei voti validi; a favore della monarchia si erano invece espressi 10.718.502 elettori, pari al 45,7 per cento. Nelle elezioni per l'Assemblea Costituente la Democrazia cristiana ottenne la maggioranza relativa dei voti e le percentuali riportate dalle singole liste furono le seguenti: Democrazia cristiana: 37,2%; Partito socialista (PSIUP): 20,7%; Partito comunista: 18,7%; Unione democratica nazionale: 7,4%; Fronte uomo qualunque: 5,4%; Partito repubblicano: 4,1%; Blocco nazionale libertà: 2,9%; Partito d'azione: 1,3%; Altre liste: 2,3%.

L'Assemblea Costituente si riunì la prima volta il 25 giugno 1946 con un mandato che sarebbe dovuto durare otto mesi, ma in realtà rimase in funzione fino al 31 gennaio 1948. Nella prima seduta il Presidente De Gasperi si espresse con orgoglio su questo nuovo percorso: “Il Governo saluta nell’assemblea l’espressione della sovranità popolare. Eletto il apo provvisorio dello Stato, il Governo rimetterà nelle sue mani i poteri di cui era investito durante il periodo di transizione. Si compie così legalmente e pacificamente il più grande rivolgimento della storia politica moderna d’Italia. Con ardimento, con tenacia, con sforzo disciplinato abbiamo gettato un ponte sull’abisso fra due epoche, riuscendo a compir l’opera lunga e difficilissima senza perdite di uomini e di materiali. Quale popolo può richiamarsi a simile esempio di verace democrazia? Altrove furono il terrore, i massacri, la guerra civile”.

Alla presidenza della Costituente fu eletto Giuseppe Saragat con un’ampia maggioranza e si accompagnò con quattro vicepresidenti: il comunista Terracini, il repubblicano Conti e i democristiani Micheli e Pecorari. Il 28 giugno 1946 la Costituente elesse Enrico De Nicola Capo provvisorio dello Stato che avrebbe esercitato le sue funzioni fino a quando non fosse stato nominato il Capo dello Stato, secondo le norme poi previste nella nuova Costituzione.

I lavori della Costituente furono decisamente improntati ad una definizione istituzionale e normativa della nuova Repubblica Italiana cercando nel confronto, a volte aspro e polemico tra forze politiche molto distanti nei principi e nei valori, una definizione democratica della Stato. Il tema internazionale entrò nei lavori quando si iniziò la discussione sulla proposta degli originari articoli 4 e 5, che nella definizione finale della Costituzione divennero gli articoli 10 e 11.

Il 4 trattava di come l’Italia avrebbe riconosciuto gli ordinamenti degli altri Stati e la commissione iniziò la discussione sulla prima proposta Dossetti che riporta agli atti “Lo Stato si riconosce membro della Comunità Internazionale e riconosce perciò come originari l’ordinamento giuridico internazionale, gli ordinamenti giuridici degli altri Stati e l’ordinamento della Chiesa”.

Nella discussione si accese un forte dibattito sui termini inseriti nella proposta con una discussione su aspetti che riguardavano una norma per alcuni membri giudicata superflua e soprattutto il tema del riconoscimento dell’ordinamento della Chiesa poneva su piani diversi le varie anime politiche.

Ma gli aspetti internazionali nella prospettiva futura di impostazione anche della Costituzione Italiana prendono forma nella proposta dell’articolo 5 che citava nella proposta originaria presentata alla Prima Commissione il 3 dicembre 1946: “Lo Stato rinuncia alla guerra come strumento di conquista o di offesa alla libertà di altri popoli. Lo Stato consente, a condizioni di reciprocità, le limitazioni di sovranità necessarie all’organizzazione e alla difesa della Patria”. 

Su questa proposta i commissari dimostrarono di aver compreso quanto la sovranità di uno Stato e la sua strenua difesa, avesse in realtà sempre generato conflitti e controversie e che quindi porla come argomento di condivisione era un fondamentale passo avanti.

L’Italia, aderendo a questa riflessione, si sarebbe confrontata con i partner europei e mondiali su un piano estremamente moderno e avanzato del diritto internazionale, nell’auspicio della creazione di un organismo che potesse dirimere le controversie tra gli Stati. Si voleva nettamente abbandonare ciò che aveva reso l’Italia il nemico e cioè l’estremismo nazionalista a favore invece di un percorso democratico e di riconoscimento anche della possibile collaborazione con molti altri popoli nella condivisione di parte della sovranità.

Dopo ampia discussione e con anche alcuni accenni critici principalmente sulla forma, nella stessa seduta l’articolo venne unificato e approvato all’unanimità della Commissione con il testo: “La Repubblica rinunzia alla guerra come strumento di conquista o di offesa alla libertà degli altri popoli e consente, a condizioni di reciprocità, le limitazioni di sovranità necessarie alla difesa e alla organizzazione della pace.”.

Si delineava quindi già nella Carta Costituzionale italiana un concetto di collaborazione sovranazionale che porrà le basi per potersi accreditare con gli Stati europei e mondiali a nuova forza democratica capace di riconoscere gli errori del passato ma assolutamente convinta del percorso democratico e di pace necessario per il futuro.

Con l’approvazione definitiva della Costituzione il 22 dicembre 1947 venne approvato l’articolo 11 (prima articolo 5) nel quale la discussione finale aveva affinato anche la possibilità di promuovere e favorire le organizzazioni internazionali utili per raggiungere gli scopi di pace e giustizia fra le nazioni.

Con questa convinta presa di posizione istituzionale, l’Italia si metteva nelle condizioni di poter aderire ma soprattutto incentivare la nascita e la costituzione di un percorso comune internazionale sia su base europea che mondiale. Infatti nella discussione tra i costituenti, il tema dell’Europa era emerso in modo forte ma nell’articolato costituzionale si preferì una formulazione non specifica per non vincolare eccessivamente le prospettive e quindi con una visione ulteriormente aperta e disponibile.

Enrico Galvan