L’ISTAT ha rilevato ieri che rispetto al 2020 vi sono 945.000 posti di lavoro in meno dopo 12 mesi dall’inizio della pandemia.

Su quasi un milione di posti persi, 218 mila si riferiscono a dipendenti stabili (i cassaintegrati fanno di parte di questa cifra), 372 mila a dipendenti precari, mentre gli altri 355 mila sono lavoratori autonomi. Come ho commentato a caldo ieri, la pandemia colpisce soprattutto i più fragili tra i diversamente tutelati e il terzo stato produttivo.

Grave la situazione dei bilanci comunali che, a fatica, potranno essere redatti alla fine dell’anno, mentre si tagliano pesantemente gli interventi di natura sociale proprio nel momento in cui la loro domanda è in crescita esponenziale. Ieri si sono svolte in diverse città molte manifestazioni di protesta di commercianti, ambulanti e ristoratori che sono fermi da oltre un anno e non ne possono più. Non vogliono le “ridicole elemosine” dei ristori che, peraltro, tardano ancora, ma chiedono soltanto di poter lavorare.

Sembra emergere un dato grave espresso in uno striscione: “il tempo della pazienza è finito”. E’ il “terzo stato produttivo” con i giovani e le donne i più colpiti dalla pandemia rispetto alla “casta”, ai “diversamente tutelati” e al “quarto non stato”, per utilizzare le categorie della mia “teoria dei quattro stati” in cui euristicamente suddivido la realtà sociale italiana.

Se continua così corriamo davvero il rischio di passare dalla crisi alla rivolta sociale. Ciò può accadere se la crisi del terzo stato produttivo, ossia l’architrave che tiene in piedi il sistema, sia dal punto di vista produttivo che fiscale, raggiunge il punto nel quale implode senza possibilità di ripresa.

Questa è la grave situazione che il governo Draghi si trova a dover affrontare e non a caso il superamento della pandemia (piano vaccinazioni) e la gestione dei fondi del recovery plan, sono i due obiettivi strategici assegnati “al governo senza formula politica” e, di fatto, delle larghe intese. I problemi da risolvere con estrema urgenza riguardano: la ricostruzione della sanità pubblica, la digitalizzazione del Paese, l’edilizia scolastica, la conversione energetica, la sicurezza idrogeologica del territorio.

Quanto alla sanità pubblica, i limiti e le contraddizioni emerse nella gestione della crisi pandemica e le conflittualità permanenti sperimentate tra decisioni del governo centrale e dei presidenti di alcune regioni (i cosiddetti “governatori”) rendono indispensabile rivedere quell’insensata modifica del Titolo V della Costituzione, che ha determinato l’introduzione di alcune materie “concorrenti”, come la sanità, fattore di continua conflittualità, oggetto frequente di esami e sentenze in sede di Corte Costituzionale dei contenziosi tra lo Stato e le Regioni.

La materia della sanità, poi, essendo quella che incide per quasi l’80% sulle risorse dei bilanci regionali, è evidente che sia quella nella quale si eserciti uno dei più forti interessi dei “governatori”.

Nel post pandemia questo tema dovrà essere affrontato insieme a quello più generale dell’assetto regionale che, come scrivo da anni, non può più reggere la realtà di venti regioni, alcune delle quali a statuto speciale, espressione di situazioni post belliche assolutamente diverse da quelle attuali del Paese. Credo che un riordino nel senso di una Repubblica federale dotata di un forte potere centrale e il coordinamento di cinque, sei macro regioni, sia il modello su cui, come indicato a suo tempo dal prof Miglio, dalla Fondazione Agnelli e da diversi DdL depositati in Parlamento, anche la DC e i Popolari dovranno esprimersi.

Sulla digitalizzazione del Paese, una delle priorità indicate dall’EU Next Generationfund, con urgenzava risolto e superato il collo di bottiglia della banda larga e si impongono decise politiche di sostegno alle categorie più deboli per quanto attiene il cosiddetto digital divide; ossia il divario tra chi ha accesso e chi non lo ha ad Internet, per ragioni economico sociali e culturali. Le recenti scelte fatte dal ministro Brunetta col bando per le nuove assunzioni di giovani specializzati nelle materie informatiche possono garantire un miglioramento dell’attività della PA, mentre si dovranno favorire anche le aziende private al Sud come al Nord, soprattutto quelle più piccole e medie, per aiutarle nel salto di qualità indispensabile per reggere il confronto sempre più difficile a livello dei mercati europei e internazionali.

La conversione energetica per noi DC e Popolari, alla luce di quanto indicatoci dalla dottrina sociale della Chiesa con l’enciclica “Laudato Si” di Papa Francesco, deve costituire uno dei capisaldi della nostra politica economica. Ciò comporterà l’esigenza di adottare politiche economiche fondate sul rispetto del NOMA (Non Overlapping Magisteria), ponendo l’etica a fondamento delle scelte della politica, garantendo il primato alla stessa nel definire gli orientamenti strategici ai quali subordinare l’economia reale e la finanza, superando l’attuale situazione del turbo capitalismo finanziario che ha finito col subordinare  finanza l’economia reale e a ridurre la politica a un ruolo ancillare alla logica prevalente del profitto dei grandi poteri finanziari internazionali.

Sull’edilizia scolastica come sulla sicurezza idrogeologica del territorio, DC e Popolari dovranno rovesciare l’aforisma di Leo Longanesi secondo cui: “ L’Italia e un paese di inaugurazioni e non di manutenzioni”, avviando finalmente un piano urgente per la messa in sicurezza degli edifici scolastici, con il loro adattamento alle nuove esigenze poste dalla pandemia, e un piano straordinario per la sicurezza idrogeologica, dal quale potranno derivare occasioni importanti per l’occupazione di giovani e meno giovani esperti nelle diverse discipline competenti nella materia.

Alla base di tale programma, prioritaria in maniera assoluta è, in ogni caso, la ripresa dell’economia e quindi dell’occupazione, se vogliamo evitare che queste prime avvisaglie di malcontento sociale sfocino nella rivolta senza controllo.

Ce la farà Draghi? Non possiamo che augurarcelo, mentre tutti noi, DC e Popolari dobbiamo compiere ogni sforzo per ricomporre politicamente l’area dei cattolici democratici e cristiano sociali italiani.

 

Ettore Bonalberti