L’iniziativa di Mastella che vuole riunire sotto uno stesso tetto tanti generali senza truppe e senza popolo la lasciamo alle fantasie dei più arguti romanzieri.

Mentre stupisce che il Corriere, da un po’ di tempo, dia spazio a singolari vagheggiamenti senza una palese agibilità politica.

Un ennesimo abbaglio estivo?

Se fosse, per assurdo, una ipotesi praticabile e decidessimo di entrare in questo frullatore, seppelliremo definitivamente il partito.

Questa, non solo a mio parere, è, con l’ultima prodezza trasformista di Di Maio che si è palesemente beffato del suo recente passato, quindi di se stesso, e dei suoi elettori, un'operazione di supponenza del potere, che non trova di certo estraneo Draghi, teso a rifarsi dalla bocciatura del suo irrefrenabile desiderio di andare al Quirinale, e si tramuterà in un flop inaudito, per lui e per tutti i carri del firmamento centrista, perché appare già al suo affacciarsi una costruzione su piedi di argilla che li farà sgretolare come il Colosso di Rodi, con il rischio di trovarsi nel Pantheon dei tanti, da Monti a Renzi e altri, passati improvvisamente dalle stelle alla polvere.

Scrive stamane, in un suo articolo su Il Domani d’Italia, Lucio D’Ubaldo:”..Dietro la politica di centro della Dc c’era una cultura di governo e un criterio direttivo, operava dunque una visione strategica, tanto da far dire a De Gasperi che il suo era un partito di centro in cammino verso sinistra”. E ancora: “Stare al centro voleva dire proporre una “terza via” tra collettivismo e capitalismo, dando alla lotta contro il comunismo una curvatura fortemente democratica e alla pregiudiziale antifascista un carattere fondativo dell’identità  di partito. Non solo Moro ma lo stesso Fanfani, magari con un taglio volontaristico eccessivo, propugnava la funzione di un centro dinamico, capace di rispondere alla domanda di giustizia che nasce e s’impone con l’evoluzione economica e civile della società. Tant’è vero che la storia più interessante e dunque più vera della Dc sta nella ricerca e costruzione di un progresso a dimensione umana, dove l’interclassismo costituiva la formula aideologica dell’alleanza tra ceti medi e classi popolari.”.

Oggi un’avventura centrista, come delineata dai tanti leader che stanno affollando quel punto spaziale dell’emiciclo parlamentare, riduce o annienta le potenzialità di ciascuna forza, con l’unico risultato di costruire un contenitore sterile, rissoso e dai mille volti, come fosse un caleidoscopio di maschere pirandelliane, e “brucerebbe” la grande opportunità di potersi giovare ancora, magari in un ruolo di titolare di un dicastero economico, delle elevate competenze di chi oggi possiamo definire essere stato la guida più autorevole di questi trent’anni di vita politica post-democristiana.

Penso che l’Italia abbia bisogno di imboccare, con la fine di questa tormentata legislatura, una strada diversa, ponendo fine a governi ibridi o tecnocratici.

Dobbiamo lavorare, assieme alle tante forze politiche che ne condividono l’idea, per una prospettiva di governo politico, chiudendo definitivamente il commissariamento di questa classe politica così inadeguata e incapace di assicurare al paese la diretta responsabilità nelle scelte, che sono e restano precipue della politica, non essendo più dignitosi continuare a paludare, dietro personalità, autorevoli, ma che hanno una visione tecnocratica e neutra degli effetti che le scelte dell’esecutivo determinano nei diversi strati sociali del paese, oggi sempre più minacciato da un crescendo delle sofferenze sociali che l’accelerato depauperamento di buona parte della classe media, in aggiunta a quello ormai consolidato della classe operaia, sta portando a livelli preoccupanti.

Per quanto ci riguarda dobbiamo accentuare le nostre iniziative mirando ad alcuni punti chiave del nostro programma politico che deve essere definito con molta oculatezza, tenuto conto che si sta profilando un dramma sociale per tante famiglie impoverite dall’aumento dei prezzi soprattutto delle energie e da una forte, soprattutto per i giovani, sempre più accentuata precarizzazione del lavoro.

Ma non possiamo dimenticare il fatto che c’è in atto un crescendo di patologie, soprattutto tra gli anziani, le cui cure essenziali in tantissimi casi sono state rinviate o non seguite nella giusta misura nei periodici protocolli, causa l’appesantimento delle procedure di accesso ai servizi ospedalieri ed ambulatoriali, per il Covid, con l’esposizione di tanti di questi pazienti ad aggravamenti e decessi che forse potevano essere evitati.

Poi c’è tutta la questione del ruolo dell’Italia, non solo in seno all’Europa, dove si assiste ad un appiattimento su posizioni scopertamente belliciste, ma anche per l’abbandono della sua naturale vocazione ad essere, nel quadrante mediterraneo, oggi teatro di ingerenze sempre più tentacolari di Russia, Turchia e Cina, un saldo punto di riferimento geopolitico,

Ma non pone da meno grandi interrogativi il riemergere prepotentemente nel mondo, con la recente Decisione della Corte suprema americana, dell’annoso conflitto sui cruciali temi della vita, della riconsiderazione dei confini della sua tutela e dei tanti artificiosi “diritti rifrangenti”.

Tutte questioni di cui ieri, nella relazione introduttiva, in seno all’Ufficio politico, pavida e senza anima, del segretario nazionale, non ho sentito accennare o delineare nella giusta valenza, a parte le solite frasi fatte che di prammatica si ripetono in queste sporadiche occasioni di confronto nazionale.

È mancata insomma una sapiente lettura della realtà sociale, economica e generale del paese, e una visione di insieme, prodromica alle tante iniziative che dobbiamo affrettarci a mettere in campo, per lavorare in aderenza alle necessità dei territori e del paese in generale, in mancanza di una chiave di lettura e di un nuovo conio propulsivo che potrebbe provenire dal Congresso, che invece inopinatamente si spinge sempre più in là, quando arriveremo oramai alla scadenza elettorale per il rinnovo del nuovo parlamento, a giochi fatti.

Non riesco a comprendere come questa Segreteria Nazionale non colga il fatto che è questo il momento per confrontarsi e non a ridosso degli impegni elettorali.

È lo stato stesso del Paese a imporre a tutte le forze politiche un immediato cambio di passo.

Sicché continuare a rinviare, alle calende greche, il Congresso, ci costringe a  fluttuare in un limbo senza via d’uscita.

Forse è l’effetto inebriante dell’epopea siciliana, che però sconta già un non ben valutato effetto “alone” indotto dai virulenti attacchi mediatici a Cuffaro e per conseguenza al partito.

Attacchi concentrati mediaticamente nella travisata ma efficace qualificazione di “partito di Cuffaro”, musica fine per quell’opinione pubblica cui le basta un tale battage per solleticarsi in modo ostile.

Mentre appaiono sempre più diradati i dubbi che questa campagna denigratoria stia colpendo nel segno, se risulta vero che, dopo un così impegnativo sforzo per conquistare rappresentanza in Comune, sembra farsi inopinatamente strada un'auto-condizionamento, a non entrare in giunta, per dimostrare che non si è mossi da alcuna brama di “potere”.

È un po’ come quelli che costruiscono una casa per poi non andarci ad abitare nessuno.

Posizione che, se fosse confermata, sarebbe sbagliatissima e assurda, per la semplice ragione che chi va a rappresentare una parte del territorio ha tutto il diritto-dovere, avendo contribuito ad esprimerne il Sindaco, di esplicitare nei fatti e di partecipare, all’amministrazione della cosa pubblica.

Se c’è da dimostrare il senso del cambiamento, è questo uno dei mezzi che l’impegno politico offre, anzi è un dovere.

Diversamente si darebbe l’impressione di fuggire dalle responsabilità che quelle promesse di trasparenza, di imparzialità e di sana capacità di gestione degli interessi collettivi di questa nuova classe politica democristiana, impongono, e finirebbe per tradursi in un mero atto di inconcludente testimonianza.

Se la nostra azione si ispira all'idea sturziana della politica come “spirito di servizio”, questa scelta non sarebbe mai stata approvata dal grande maestro, fondatore della DC.

A ciò si aggiunga la specificità di una visione di territorio e di comunità cittadina che si farebbe mancare, nel segno di tutte quelle istanze sociali e strutturali che caratterizzano quel martoriato territorio.

Ne discende per il partito, subito, la necessità ineludibile di definire una precisa strategia politica di breve e lungo periodo, che si fondi su una visione di società, di politica estera, (oggi tanto cruciale per la necessità di definire un nuovo assetto geopolitico che ponga fine alle guerre e consenta una pacifica convivenza tra i popoli),di efficaci teorie politico-sociali ed economiche capaci di scuotere le coscienze dell’opinione pubblica:di quella buona metà dell’elettorato che continua a stare alla finestra, ma anche di quelli che votano, turandosi il naso.

Ma dovrà essere anche il limite di quelle alleanze nelle coalizioni che non dovremo mai rinunciare a porte da catalizzatore per obiettivi comuni, in un quadro di politiche che si incarichino di bandire ogni sorta di propaganda populista e di malinteso sovranismo, o ancor peggio nazionalismo, capace di minare alle basi i principi di pacifica convivenza tra i popoli.

Serve pertanto senza indugio un Consiglio nazionale che deliberi prima possibile la convocazione del Congresso nazionale.

In questo quadro, senza questi ingredienti, saremo destinati a non esistere.

 

Luigi Rapisarda