di Ruggero Morghen
Il suo doppio cognome creava qualche confusione nel catalogo bibliografico trentino, confusione che abbiamo contribuito a dissipare. A 70 anni dalla morte di Teilhard de Chardin (1881-1955), dunque, Luciano Benoni Mazzoni – questo il nome dello studioso - lo presenta come un originale apostolo e un profeta del XX secolo. Ne evidenzia quindi – in “Sacerdote del mondo e mistico della materia” - la sua speciale attrazione proprio per la materia, “quella che più tardi – dirà Teilhard – ho chiamato la Santa Materia”, e segnala in particolare un suo scritto – Histoires comme Benson, del 1916 – che lo stesso Teilhard accosta allo spirito apocalittico dello scrittore cattolico Hugues Benson.
Centrale nel pensiero di Theilhard, che al fronte aveva toccato con mano “il ruolo benefico della sofferenza”, è il Cristo-Universale, “nato da un ingrandimento del Cuore di Gesù” (La parola attesa, 1940). “Credo che l’Universo – spiegava il controverso teologo di Orcines - sia un’Evoluzione. Credo che l'Evoluzione vada verso lo Spirito. Credo che lo Spirito si compia in qualcosa di Personale. Credo che il Personale supremo sia il Cristo-Universale”.
“Io spero, con l’aiuto di Dio – scriveva inoltre il de Chardin - di non fare mai niente contro la Chiesa, fuori dalla quale non riesco a discernere alcuna corrente di vita che abbia possibilità di successo”. L’uomo, nessun uomo – riteneva ancora Teilhard - può fare a meno del Feminino, come non può fare a meno della luce, dell’ossigeno e delle vitamine. Quanto al sacerdote, se è cosciente della propria dignità, non deve più vivere per se stesso, ma per il Mondo.
Un estimatore del gesuita francese fu monsignor Loris Capovilla, il segretario del Papa buono poi fatto cardinale da Francesco, il quale confessava di celebrarne ogni anno il dies natalis. “Venero Pierre Teilhard de Chardin – lasciò infatti scritto – quale uomo di Dio, obbediente al Magistero, infiammato di carità come san Francesco. Nel 1981, “centenario della nascita del sant’uomo e scienziato”, ne prese in mano le “Lettere di viaggio” che aveva letto – ammetteva – troppo celermente nel 1963, e uscì da quella rinnovata, più profonda, lettura colle lacrime agli occhi.
Non piange invece il giudice Carlo Alberto Agnoli, incontrato per caso a passeggio sulle rive benacensi, che sta in questi giorni lavorando proprio sul pensiero di Teilhard de Chardin, che egli vede affetto da martinismo. “Conosco questo teologo da molti anni – è il pronto commento di padre Giovanni Cavalcoli -, ma non ho mai sentito parlare di questa cosa. Tuttavia non mi stupirei che tali legami ci siano effettivamente stati, perché la teologia di Teilhard è una forma di materialismo gnostico, che può bene sposarsi con l’esoterismo massonico”.
In particolare lo lascia molto sorpreso come Teilhard parla della metafisica, mostrandone – ritiene - “un’abissale ignoranza, degna del più rozzo empirista inglese o di uno scaricatore di porto”. Sembra di sentire Gabriele d’Annunzio che, prendendosela col parroco di Gardone soprano per i suoi fastidiosi scampanii, assicurava - precisando che occorreva “ritornare ai larghi e santi ritmi tradizionali italiani” - che “una tanta volgarità non sarebbe sopportabile neppure nel più crasso villaggio tedesco”. Del resto – aggiungeva in altra occasione – era quella “la crassa volgarità de’tempi”.
A commento della filosofia del pensatore francese, padre Cavalcoli, domenicano a Fontanellato, aggiunge quindi: “La morte non sembra in Teilhard una contraddizione alla vita e all’evoluzione, ma un fattore di vita e uno stimolo all’evoluzione. Egli parla sì della morte di Cristo, ma sembra che per lui la morte sia via alla vita in quanto morte e non in quanto morte di Cristo. La stessa cosa – osserva conclusivamente (in cauda venenum) - si trova nella cristologia di Rahner”.