L’Istituto Paolo VI di Brescia ha deciso di conferire il Premio internazionale Paolo VI al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. La consegna del riconoscimento dalle mani di papa Francesco avverrà il 29 maggio, giorno dedicato alla memoria liturgica del santo di Concesio. Andrea Riccardi, membro del comitato scientifico dell’istituto, ha precisato che tale scelta è maturata per “una consonanza, una continuità tra queste due figure, pure lontane nel tempo e con curve esistenziali estremamente diverse”. “Ho percepito, ma è un’impressione personale - ha aggiunto quindi lo storico romano -, che è proprio il rispetto, vorrei dire anche la venerazione, per la figura di Paolo VI, che hanno spinto il presidente ad accettare questo premio”, lui solitamente così ritroso. 

L’evento non è passato certamente inosservato dalle parti del movimento dei Focolari, che com’è noto vede in papa Montini un padre e in Mattarella una sorta di fratello maggiore. Nei primi anni Sessanta, infatti, il due volte presidente della Repubblica era responsabile romano degli studenti della gioventù di Azione cattolica. In tale veste contattò per alcune conferenze Igino Giordani, già direttore del giornale associativo “Il Quotidiano” e inoltre biografato da suo padre Bernardo nel lontano 1937. Lo incontrò anzi più volte, rimanendo – così Mattarella ha confessato a Trento – affascinato dalla sua “travolgente semplicità e autenticità”. Nella prefazione a “Igino Giordani. Un eroe disarmato”, edito da Città nuova nel 2021, ne ricorda anzi la biografia “ricca e complessa” e la sua “straordinaria intesa” con Chiara Lubich. A Trento, nel gennaio del 2020, Mattarella ha anche lodato i principi dell’economia di comunione focolarina, definita “un orizzonte nuovo ma tutt’altro che marginale nelle società”. Mentre il concetto di focolare contiene ad avviso di Mattarella “un richiamo costante, generale, al senso di comunità”.

Quanto a Paolo VI, egli nel 1965 riconobbe pubblicamente Chiara Lubich quale fondatrice e presidente del movimento dei Focolari, di cui in precedenza aveva approvato la struttura, così come gli era stata delineata durante un’udienza privata, mentre l’anno successivo sancì l’approvazione piena del movimento e delle sue strutture. Ma già nel 1953 Chiara era convinta che Montini “è entusiasta dell’Ideale così come si vive, soprattutto della fede dei Focolarini e dell’amore per Gesù”. Ribadirà ancora la sua fiducia nel prelato bresciano scrivendo a mons. de Ferrari nel novembre del 1954: “Noi dobbiamo tutto a Dio, molto a molti (come S.E. Mons. Montini) ma moltissimo a Lei”. E, scrivendo allo stesso Montini arcivescovo di Milano, per la Pasqua del ‘55, gli augurava che Gesù lo rendesse Arcivescovo dell’Unità: un’unità – precisava la Lubich – “non esterna ma profonda, sentita, eroica, da pagarsi colla vita, se occorre”.  

 

di Ruggero Morghen