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La DC ha ritenuto opportuno offrire un contributo di riflessione durante la campagna elettorale per le elezioni provinciali riguardante un tema un po’ negletto, ma che ha rivestito grande importanza nel passato e che può rivestirne ancora al fine di una valorizzazione interessante delle aree di montagna.

Il segretario politico ing. Vito Bertè ha perciò organizzato un momento di riflessione lunedì 3 ottobre con il prof. Geremia Gios.

Introducendo il tema Bertè ha ricordato come il Trentino vanti una secolare e virtuosa esperienza di gestione dei demani civici e delle proprietà collettive diffusa su tutto il territorio e con un punto di eccellenza nella Magnifica Comunità di Fiemme. Ha anche ricordato che a Trento ha sede il Centro Studi sulla proprietà collettiva, sorto ad opera soprattutto del prof. Pietro Nervi recentemente insignito dell’Aquila di San Venceslao e di cui è attualmente referente proprio il prof. Gios.

Nella sua breve relazione il prof. Gios ha tracciato un quadro teorico interessante dell’importanza della realtà degli usi civici e proprietà collettive anche in un’economia moderna, perché espressione di un’esperienza di cogestione, di collaborazione tra soggetti liberi che si può o meglio dovrebbe essere estesa anche in altri ambiti. Anche la cooperazione trentina è stata particolarmente vitale fino a che è rimasta in questa logica. La sua importanza si evidenzia anche come diversità vitale di fronte alla logica privatistica del mercato ed alla asfissiante logica burocratica che penalizza la libertà d’iniziativa degli individui e dei soggetti intermedi.

A partire quindi da un campo d’osservazione che il sentire comune può ritenere come sorpassato, Gios ha tracciato spunti molto interessanti per una rivitalizzazione dell’economia che però consegue alla rivitalizzazione dello spirito comunitario del Trentino. Un approccio che deriva dalla sua originale esperienza di docente universitario che si è cimentata nel campo amministrativo e nella cooperazione. 

Studiare come le modalità di gestione degli usi civici e dei domini collettivi, con le loro logiche di fondo, possono probabilmente essere ancora utili, anzi indispensabili, per la gestione di una serie di altri beni e servizi.

Un po’ di teoria. Tutti i beni e servizi possono essere classificati facendo riferimento a due caratteristiche: rivalità ed escludibilità. Rivalità: se un bene è goduto (consumato) da un soggetto non può essere goduto da un altro soggetto. Escludibilità: implica il fatto che un soggetto può escludere la godibilità di un bene da parte di altri soggetti.

Tutti i beni che hanno queste due caratteristiche possono avere un mercato, passano per il mercato, e si calcola che rappresentano circa il 30-40% di quello che serve concretamente per vivere.

Ci sono poi beni non escludibili e non rivali, come l’aria, la cui gestione può essere solamente pubblica.

 

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Infine ci sono i beni o servizi intermedi che sono rivali e parzialmente escludibili: è proprio il caso dei beni collettivi. La gente si accorda per gestire i pascoli di montagna, il patrimonio forestale. La logica di gestione dei beni collettivi, basata sull’accordo, è sostanzialmente diversa da quella del mercato e da quella del pubblico.

Gios ha condotto una ricerca molto interessante: per una delibera comunale di alienazione del legname servivano 157 caratteri sotto l’impero austroungarico e 48 mila nel 2016 con un tempo di lettura di quest’ultima calcolato in tre settimane. Conseguenza: i costi di gestione delle aste di legname rischiano o superano effettivamente i ricavi, portando questo assurdo sistema al collasso. Grido d’allarme da tenere bene a mente. Un sistema di gestione flessibile, diverso da mercato e pubblico, riesce invece a gestire efficientemente questi beni. Questo terzo sistema con poche regole e condizioni può anche rivitalizzare una società che rischia di atrofizzarsi.

La condizione più importante è che ci siano degli ambiti in cui la gente possa gestirsi senza gli interventi asfissianti di una normativa. Se non ci sono questi ambiti di libertà rischia di venir meno il senso di appartenenza e la società tutta rischia di collassare.

Curiosa annotazione: mafia siciliana e banditismo sardo sorgono dopo l’abolizione in quei territori degli usi civici.

La Legge nazionale n. 168 del 2017 è importante perché riconosce queste forme di gestione come preesistenti alla Stato e quindi meritevoli di tutela. La loro origine si fa risalire infatti almeno al Medioevo.

Se l’opinione comune può erroneamente ritenere che queste gestioni siano antichità inefficienti, si può invece dimostrare che la presenza degli usi civici favorisce la partecipazione attiva della popolazione alla gestione del bene comune, quindi con un effetto positivo in un ambito più esteso, e con metodi di calcolo statistici si può stimare il rilevante valore complessivo della gestione di boschi e pascoli, di cui il valore vendibile rappresenterebbe solo un quinto.

Ma al di là dell’importanza specifica per la nostra realtà territoriale del tema proposto, anche perché forse completamente ignorato nel dibattito elettorale, vogliamo sottolineare la necessità di lavorare sempre per tener vivo lo spirito comunitario che ha da sempre contraddistinto i nostri padri.

Una postilla

Un importante sociologo americano Robert Putnam ha seguito per oltre 20 anni l’evolversi del regionalismo in Italia. La ricerca è stata pubblicata nel volume “La tradizione civica nelle regioni italiane” e documenta attraverso l’analisi di molti indicatori che il successo da una parte e il drammatico insuccesso dall’altra, da vari punti di vista considerato, del regionalismo in Italia è riconducibile al grado di presenza del “senso civico” nelle varie realtà territoriali. Questo senso civico viene rilevato con indicatori riconducibili al senso di appartenenza, alla presenza dell’associazionismo, del volontariato ed altri ancora. L’autore individua l’origine di questo senso civico ancora nell’epoca dei comuni. Un patrimonio storico quindi che rischia di scomparire.