La scissione del M5S insegna qualcosa, soprattutto a noi moderati “Noi di Centro” oppure “Punto al Centro”. Infatti il fatto eclatante atteso da mesi se non da anni mette in luce due aspetti, e non tanto marginali, della mentalità e del modello politico del “terzo millennio” ma decisamente importanti che obbligano a una riflessione. Una coalizione di persone con origine e passioni diverse va bene in una fase di attacco e di aventinismo del “tutto da cambiare” fuori dai palazzi e in piazza, ma non va assolutamente bene per governare un Paese complesso e così frammentato per storia e cultura come l’Italia, e per un motivo solo: emerge chiaramente la mancanza di una educazione, formazione, scuola dal basso di chi si vuole impegnare a fare cose pubbliche collettive e istituzionali per altri, cioè fare politica.

Seconda riflessione, un’idea nuova di politica, una politica trasparente, una politica rivolta al 100%, non meno, ai bisogni, interessi, necessità e responsabilità diretta del singolo cittadino-elettore paga in termini di attenzione e consenso se c’è una capacità di guida (non necessariamente carismatica e unipersonale) chiara, netta, unica. Quando il singolo “eletto” (non elevato) pensa più al suo tornaconto e si adegua, anzi diventa furbetto interprete dei regolamenti interni parlamentari che gli consentono di fare quello che vuole senza rendere conto a nessuno, ecco che il rapporto fiduciario crolla in consensi, ma soprattutto in progetti politici.

Poi ci saranno anche altre normali e banali motivazioni e semplici differenti visioni che fanno scattare i divorzi. Fatto sta che il campo largo sembra non perdere numeri nell’emiciclo, ma quanto può perdere o guadagnare nel campo aperto delle prossime elezioni politiche? 

Il 2023 è domani e con l’attuale legge elettorale si rischia una catastrofe non solo di eletti, da 900 a 600, ma soprattutto ancor più del legame candidati-collegi, regioni-rappresentanti. Per questo una legge elettorale nuova è necessaria, senza tanti studi, basta copiare! Resto convinto che “l’intero” impianto e non parziale della legge tedesca sia sufficientemente coerente sia con la rappresentanza territoriale, sia con i vincoli di mandato, sia con la stabilità di governo, sia con anche –un aspetto che mi sta a cuore – il rapporto fra numero di cittadini votanti e numero di eletti.

Infatti, il parlamento tedesco può essere composto, di volta in volta, da 600 a 900 parlamentari senza bisogno di tanti giochetti. Più cittadini vanno a votare, più sono i parlamentari. Sono anche dell’idea che il bicameralismo perfetto non esiste, diventa un modello eccezionale di dialettica e confronto politico ripetuto soprattutto per diversi ambiti territoriali ma che conduce a decisioni lente e lunghe che oggi non fanno bene al Paese.

L ’”Insieme” al centro, e quindi tutti i movimenti o partiti che oggi ne parlano, appare per un vecchio appassionato come il sottoscritto, come una scelta ovvia: diventa il polo, se uno solo, che determina la stabilità ma anche la corretta innovazione con il cambio di legislatura, dando al cittadino-elettore la “prova” che una alternativa c’è, che una alternanza è sempre dietro l’angolo in forma costruttiva senza bisogno di alchimie parlamentari, legislative, neonati gruppuscoli. Un aiuto in tal senso viene anche da una ri-organizzazione amministrativa con macroregioni (1 governo locale ogni 2 o 3 o 4 attuali) che già questo non avrebbe bisogno dell’ennesimo passaggio di un “quadro normativo”, ma di una determinazione federativa già pronta.

Gli stessi comuni-enti locali, oggi, con meno di 3000-4000 residenti fissi, sono territori abbandonati anche amministrativamente, quando invece potrebbero essere una risorsa “ecosistemica e occupazionale certa” dimenticandosi di essere territori già abbandonati, difficili, vulnerabili.

Un eventuale “Insieme al centro”, già l’amico Ettore Bonalberti nel 2008 con altri pensò all’importanza dell’avverbio “insieme” più che a coalizione, non può prescindere da valori, moralità, etica, educazione, rispetto verso gli elettori, coerenza…. e non può non formare un progetto politico che ponga il nucleo primario della famiglia (mi permetto di far rientrare, come cattolico impegnato nella politica del Paese, anche una famiglia laica e diversa) “al centro” inteso come visione futura, assistenza ai deboli che possono essere una risorsa, comunione sempre di diritti e doveri, onesto lavoro e corretto stipendio, sanità pubblica da imitare, scuola pubblica un esempio per tutti, meno debito pubblico e più responsabilità ai macroterritori, meno inquinamento al nord e visione caratteriale e autonoma del nostro sud…ma anche meno burocrati e più vera semplificazione e non doppioni, meno spreco e più solidarietà, meno finanza e più economia, meno scartoffie e più vigili per le strade, meno nazionalismo camuffato e più federalismo europeo su fisco, difesa, esteri, lavoro… 

In questo programma e progetto politico chissà dove si collocheranno i dimaiani. Ma fra i lettiani e i contiani c’è ancora posto? E dove si metteranno fra i vari renziani, calendiani, totiani, tabacciani e forse i casiniani? Una chiosa finale: un augurio, un pericolo, un lancio spot maldestro… E se anche Berlusconi e molti dei suoi, fedelissimi e fedelissime, dicesse si al centro e non al centro destra….il neo gruppo “Insieme per il futuro” che farebbe? Resterebbe nel campetto o campo largo di sinistra con i vecchi compagni del M5S? Una ipotesi anche questa. Ma è tutta una altra storia…

Giampietro Comolli