di Ruggero Morghen



Ormai 25 anni fa moriva a Roma Flaminio Piccoli; ma quand’era nato? Manlio Goio è probabilmente l’unico biografo al mondo che non indica la data di nascita del suo soggetto: forse per timore reverenziale, forse per non mescolarlo troppo alle umane cose. Lo ha fatto in un antico instant-book preelettorale per la collana rusconiana che recava un titolo singolare e tristemente profetico: si chiamava infatti, già nel 1972, “Prima linea”. Ma Flaminio Piccoli era nato nel 1915, dunque proprio centodieci anni fa, a Kirchbichl, un villaggio del Tirolo austriaco che già nel nome porta la parola “Chiesa”. Nomen omen, è appena il caso di dire.

Politico e giornalista, Piccoli ebbe a che fare (e molto) con la Dc, l’Adige (il giornale, non il fiume) e l’Ac. Nominato nel 1952 presidente dell’Azione cattolica trentina, si schierò con Mario Rossi e Carlo Carretto contro Luigi Gedda, rivendicando l'esigenza di distinzione tra i compiti di formazione religiosa e spirituale dell'associazionismo cattolico e il ruolo politico e autonomo del partito. Presa di posizione che gli costò un intervento de L’Osservatore Romano e la rimozione dalla presidenza diocesana dell'associazione cattolica trentina.

Fu inoltre nella Juventus: non la squadra di calcio ma l’associazione di studenti medi trentini, quella delle tendopoli di don Zio. Flaminio proveniva infatti naturalmente dal movimento cattolico, in particolare da un ambiente che a Trento fece storia: l’associazione animata da don Oreste Rauzi (poi stimato vescovo ausiliare a Trento) che ci teneva a marcare la propria autonomia dall’Azione cattolica nazionale e che a Piccoli insegnò la religione della libertà. Anche di quella religiosa. Negli anni della sua attività provinciale Piccoli fu dossettiano e fanfaniano, comunque “contro il clericalismo deteriore, che si esprimeva e si esprime in certa destra”. 

Luigi Targher racconta proprio i primi anni di impegno politico di Piccoli, dai giorni immediatamente successivi alla Liberazione fino alle elezioni politiche del 1958, che segnano la sua partenza per Roma e l’inizio di una lunghissima militanza parlamentare (36 anni!). Dalla tribuna de Il Popolo Trentino e poi de L'Adige Piccoli segue con attenzione gli avvenimenti locali, ma lo sguardo dei suoi fondi, quasi sempre domenicali, va ad indagare ciò che succede a Roma e fuori dell’Italia. “La preoccupazione per la questione comunista – rileva Targher - è costante, incalzante, quasi ossessiva, mentre la lotta giornalistica, eminentemente politica, è serrata, senza sconti ed esclusioni di colpi”. 

Politico e giornalista, anzi rappresentante di primo piano nell’organizzazione del giornalismo cattolico internazionale, Piccoli fu per il noto Fortebraccio (al secolo Mario Melloni) “un reazionario di montagna, col pelo ruvido e i piedi prensili”, ad avviso di Giorgio Postal invece “la personalità trentina che più ha concorso al riscatto economico delle nostre popolazioni”, mentre Franco de Battaglia lo vede come una “figura costruttiva, ma anche divisiva”. 

Ed ecco alcuni dei suoi titoli da giornalista: Onestà, Libertà (“Fuori – scriveva – ferve il rinnovamento e si accende la luce delle idee e delle fedi”), Domani. Flaminio amava... i monotitoli. Poi: Evoluzione o rivoluzione, La nostra fede (“C’è in noi l’assillo, il pungolo di quest’abito”), Patriottismo di patria e patriottismo di parte, La fede di Colombo. Dove sostenne che “soprattutto, da noi, vale il carattere”. Si riferiva, immagino, a quella specificità trentina che, secondo molti, ancora ci contraddistingue e caratterizza.