di Mario Tassone

 

Preoccupa il disegno politico che la Presidente del Consiglio porta avanti, che è quello del superamento dei principi democratici su cui si è fondata la Repubblica il 2 giugno del 1946, con il referendum istituzionale e con l’entrata in vigore della Costituzione il 1 gennaio del 1948.
Molti commentatori, più interessati agli slogan semplificativi che alle analisi, hanno deciso che questa fase è una seconda Repubblica.
E’ un abuso terminologico,un sottrarsi ad un serio approfondimento della situazione.

La Costituzione non è stata modificata nel suo impianto originale, ma sono state approvate leggi di riforma elettorale, confliggenti con la Costituzione, che garantisce al corpo elettorale la libera scelta dei propri rappresentanti.
Dunque la sovranità popolare è stata stracciata, iniziando dalla riforma elettorale con cui si è votato il 1994 (prima il 1992 in seguito al referendum Segni sulla preferenza unica).

Avendo eliminato le preferenze e previsto candidati in liste rigide concorrenti e in collegi uninominali, ha prodotto un Parlamento di nominati dalle nomenclature delle fazioni che hanno sostituito i Partiti.
Un vero e proprio ribaltamento della Costituzione attraverso riforme elettorali, che sono state lo strumento applicativo del disegno eversivo della metà degli anni ‘90.

La fase che viviamo non è la seconda Repubblica, ma un processo di smantellamento delle garanzie democratiche.
Questo processo dovrebbe approdare con la riforma costituzionale del premierato o di una riforma del sistema elettorale, caldeggiato sempre dalla Meloni, che sostanzialmente ripropone lo schema del premierato.

Si invoca la stabilità dei governi. La stabilità, forzando i canoni della della democrazia, diventa autocrazia.
Infatti con una riforma elettorale proporzionale con una alta asticella di accesso e con un premio di maggioranza sproporzionato, e’ un falso proporzionale, perché non assicura la rappresentanza della realtà del Paese: il Parlamento diventa il Consiglio del Principe come lo è già di fatto ora e avrebbe un assetto definitivo con l’indicazione nelle schede elettorali del nome del presidente del consiglio dei ministri: un regime.

Si vuole in sostanza riprodurre la legge regionale con un presidente sostanzialmente eletto con i pieni poteri e con un Parlamento piegato al capo dell’esecutivo.
Più volte ho auspicato che venga rivista la legge regionale, il cui presidente è stato battezzato “governatore “dai soliti adusi più alle suggestioni terminologiche che ai pensieri, mentre il vero appellativo dovrebbe essere di Vice Re.

Infatti un Consiglio senza voce, per lo spirito di conservazione, assicura l’ossequio sempre e comunque al Vice- Re.
Si uccide, così, il libero esercizio democratico degli eletti, il cui destino è legato alle scelte del Vice-Re.
Questo discorso vale anche per i comuni.

La soluzione sarebbe la sfiducia costruttiva e la continuità della consiliatura in presenza di dimissioni del presidente, con la elezione dal Consiglio del nuovo presidente (o sindaco per i comuni).
Il Capo di governo eletto surrettiziamente con la indicazione nella scheda elettorale non potrebbe essere battezzato vice re come per le regioni. Non potrebbe essere chiamato duce per evitare confusioni, forse “guida suprema” .
Infatti la sfiducia nel sistema democratico è una “religione”. Oggi la scelta è tra la democrazia-la libertà sostanziale e il richiamo di facciata.

Ecco il compito di quanti si dicono al centro e si richiamano alla esperienza dei cristiani democratici.
Le divisioni,i camuffamenti,l’uso improprio dello scudo crociato che offende una storia,contraddicono valori a cui si dice di rifarsi .
Le scelte sono come nel passato tra democrazia,diritti,libertà e altre visioni che le cotraddiccono. Chi viene da una esperienza democratica e dice di esserne ancora legato, deve avere il coraggio della coerenza e l’orgoglio della identità.