Quel che più splende nella memoria dello scrittore Umberto Saba, ormai anziano, è un piatto di pasta al pomodoro che gli venne servita da Rocco Pesce. Si trattava di una minestra sontuosamente condita che al giovane triestino, che allora aveva appena vent’anni, apparve come una purpurea meraviglia. “Quel piatto – ancora vivamente ricorda – sembrava una bandiera trionfale”. Era semplicemente preparato all’uso meridionale ma il candido Umberto, rapito, pensò addirittura che fosse una nuova invenzione (l’ennesima) dell’Imaginifico: il Bianco immacolato signore di cui fu ospite nella memorabile settimana dannunziana della sua giovanezza

A proposito di primi piatti, anzi proprio di pasta e del suo valore simbolico (festa, abbondanza, casa): “Molto cara Albina, mi duole di darti un gran dolore. Ma io ho una improvvisa passione per i can-nel-lo-ni. Bisogna che tu abbia cannelloni pronti in ogni ora del giorno e della notte. Cannelloni! Cannelloni! Grazie!”. Così scriveva nell’aprile del 1934 Gabriele d’Annunzio a Suor Intingola, come il poeta amava chiamare la veneta Albina Lucarelli Becevello, cuoca del Vittoriale. Lo ricorda Giacomo A. Dente ne “Il Messaggero” e il suo è un rilievo quanto mai opportuno, visto che la pasta – noi italiani – preferiamo com’è noto consumarla rigorosamente… al Dente. 

Luca Goldoni, dal canto suo, ha un ricordo struggente delle inchieste solitarie da lui condotte negli anni, le lunghe settimane da inviato passate in Iran o in Turchia, in Giappone o in Africa. “Penso che non ci sia niente di più solo – confessa – di un giornalista solo”. E aggiunge: “Credo di non aver mai mangiato tanti spaghetti come nelle missioni dei frati francescani sparse in tutte le latitudini”. Spaghetti freudiani – li definisce – “insperati appigli a qualcosa di casalingo” e che hanno pure aperto spiragli affettuosi ai difficili rapporti col clero del giornalista-scrittore di Parma recentemente scomparso, tanto più che i frati da lui incontrati in capo al mondo parlavano dialetti spesso simili al suo.

 

Ruggero Morghen