di Ruggero Morghen
“Ci sentivamo sempre un reggimento e per noi il mondo era piccolo” raccontava la trentina Giosi Guella, una delle prime compagne di Chiara Lubich, a proposito degli inizi del movimento dei Focolari. Anche le gemelle Keller avvertivano laicamente quest’angustia, questo senso del limite, quando cantavano – siamo nei lontani, mitici anni Sessanta dello scorso secolo – “La notte è piccola per noi, troppo piccolina”. “C'è poco tempo – spiegavano - per ballar. E per cantar”.
Ma il 17 novembre, quindi ormai quasi un mese fa, quella loro voglia d’aria, quel desiderio di respirare in più ampi spazi ed a pieni polmoni si è rovesciata nel suo contrario e alle più famose gemelle è bastata un’urna per due, così da stare ancora insieme e risparmiare (anche al cimitero) spazio prezioso: un’urna che non è mai “piccola per noi – canterebbero ora - mai “troppo piccolina”. “Desideriamo che le nostre ceneri – avevano detto del resto, propugnando una sorta di comunismo cimiteriale - siano unite a quelle di nostra madre, tutte in un’unica urna: risparmiamo spazio. L'urna comune fa risparmiare spazio. Al giorno d'oggi si dovrebbe risparmiare spazio ovunque. Anche al cimitero”. E ancora: “Desideriamo lasciare questo mondo lo stesso giorno. L’idea che una resti senza l’altra sarebbe troppo difficile da sopportare.” Da vere tedesche si erano anche ricordate di disdire l'abbonamento al quotidiano di Monaco, di cui erano attente lettrici, a far data dal 17 novembre, data prescelta per la loro uscita di scena.
Michel Ettenauer rilevò nell’occasione della loro morte che “due star mondiali non ci sono più: Alice ed Ellen Kessler, le gemelle Kessler famose in tutto il mondo (die weltberühmten Kesslerzwillinge), ricordando commosso che nel 2013 aveva avuto l’onore di accompagnarle con la telecamera ad una festa di compleanno privata. Danilo Masotti, invece, le ha salutate con un racconto immaginario: “Una sera Davide mi fa: Dai, vieni con me, andiamo in un posto alla Bolognina dove ci sono le Kessler. Ho due pass. Io penso a un locale elegante, luci soffuse, camerieri con il papillon. Invece entriamo in un bar dove facevano karaoke. Aria pesante di vodka-lemon. Le Kessler salgono sul palco e cantano Maledetta Primavera di Loretta Goggi…”.
Per Marino Bartoletti chi pensa che le gemelle Kessler, nella storia della televisione - ma anche in quella del nostro costume - abbiano rappresentato soprattutto la trasgressione dovrebbe documentarsi meglio sul livello della loro professionalità e della loro serietà, doti imprescindibili per chi a quel tempo veniva chiamato ad esibirsi nel servizio pubblico. “Nella tristissima vicenda della loro morte contemporanea in virtù di un suicidio assistito – osservava - non so se prevalga il dispiacere sincero per la perdita o lo sgomento per la modalità scelta. Erano nate nello stesso giorno, hanno deciso di andarsene ugualmente nello stesso giorno, non ritenendo di poter sopravvivere l'una alla scomparsa dell'altra”.
Acuto, come spesso accade, il commento di Marcello Veneziani. “L’eutanasia o il suicidio assistito – osserva infatti il pensatore pugliese - è oggi l’unico messaggio dominante che riguarda il passaggio tra la vita e la morte. Non c’è più il mistero di Dio, la scommessa sulla fede, la contemplazione della morte, il destino dell’uomo, la sua memoria e le impronte, le eredità che lascia, e nemmeno il naturale decorso biologico ma la possibilità del singolo di tagliare la corda, di recidere il cordone della vita, come si recidono i cordoni ombelicali per mettere al mondo i neonati. La recisione – conclude - ha un significato inverso, come inverso è ormai il canone odierno: non prelude alla nascita ma alla morte”.

























