di Ruggero Morghen
“Sacerdote”. Così, semplicemente, s’intitola il fresco volume che ricorda la figura di don Vito Libera, zio dell’ingegner Vito Bertè, attuale segretario politico della Dc trentina. Don Libera, classe 1923 come Giosi Guella ed Egidio Molinari, rimase per 37 anni a Riva del Garda essendone parroco dal 1971. Viene in mente don Bortolo Bellicini, che “fu lungo esempio di bontà e di semplicità a noi tutti”, come ne scrisse Gabriele d’Annunzio donando mille lire per i poveri alla parrocchia di Gardone Riviera.
Il libro si deve alla penna di Claudio Molinari, già sindaco, assessore provinciale trentino e senatore della Repubblica ed è una pubblicazione autoprodotta, affidata come costume dell’autore alla tipografia Tonelli di Riva del Garda. Una nota di colore: nel testo ricorre spesso l’aggettivo “impegnativo”, che Molinari usa ripetutamente come faceva il compianto Attilio Mazza con la parola “intrigante”.
L’autore ci tiene a non passare per nostalgico od “indietrista” (per dirlo alla bergogliana) e ricorda don Vito e la Chiesa di allora “per non dimenticare”, come ormai si dice per ogni dove. “Voi lo conoscete da molti anni, ed egli conosce voi – disse nell’occasione dell’insediamento di Libera come parroco benacense il vescovo di Trento monsignor Alessandro Maria Gottardi -: è infatti una caratteristica del pastore quella di conoscere le pecore ed essere da quelle conosciuto”. Una nota su quegli anni: gli insegnanti di religione venivano chiamati catechisti, i vicari parrocchiali cappellani, e c’erano ancora i sacerdoti beneficiati, i quali godevano per l’appunto dei benefici missari.
Introducendolo ai rivani, Gottardi non mancò di riconoscere che “oggi vi sono situazioni sociali nuove che richiedono nuove forme e metodi di pastorale”. In effetti Molinari rileva in quegli anni un fermento ministeriale che coinvolse anche i laici. Da ricordare la costituzione del centro culturale “Paolo VI”, sul presupposto (già allora avvertito) della mancanza di una cultura cristiana che incidesse sulla società contemporanea.
Riferimento costante di don Vito durante il suo ministero – assicura l’autore di “Sacerdote” – fu il Concilio Vaticano II. Egli fece inoltre della comunicazione con i parrocchiani “uno degli elementi caratteristici della sua azione pastorale”. Ecco i ciclostilati, ecco l’epopea del bollettino parrocchiale (cui anche lo scrivente modestamente concorse), con lo slogan “Vogliamo una comunità aperta, una parrocchia viva”. Ecco le omelie di don Vito, non gridate ma orientate in senso esortativo, e i collaboratori suoi nell’opera pastorale. I più efficaci erano i malati, i sofferenti e – come si diceva allora – gl’impediti. Se mancavano ai riti celebrati in chiesa, don Libera li scusava così: “Essi non son qui con noi oggi, perché si trovano con Cristo nell’Orto degli Olivi o sul Calvario”.



























