Il centenario del nostro giornale è l’occasione propizia per riandare ad aspetti salienti della sua storia, ricordando ad esempio il direttore Guido Gonella come anche altri personaggi legati in quegli anni al Popolo, quali De Gasperi, Spataro, Tupini, Scodro, Ridomi, Amadei Segreto. Ecco il Popolo clandestino, la tipografia condivisa col Popolo di Roma, Palazzo Sciarra. Narratore d’eccezione Giulio Andreotti, che a quelle vicende partecipò in prima persona rievocandole poi nel suo famoso “Visti da vicino”, proposto dall’editore Rizzoli di Milano coi bei disegni di Vincio Delleani (“I suoi profili – ne scrisse modestamente l’autore del testo – sono certamente più eloquenti dei miei”).

“Guido Gonella – ricorda dunque Andreotti - mi convocava anche nel suo ufficio all’Osservatore Romano, facendomi nascondere dietro la porta quando entrava il severissimo direttore conte Giuseppe Dalla Torre, assolutamente contrario all’ingresso di disturbatori. E quando io divenni direttore di Azione Fucina mi iscrisse a mia insaputa nello schedario dei possibili collaboratori del Popolo, prima ancora che De Gasperi e Spataro mi invitassero ad occuparmi della DC.

Lo aiutai nella raccolta degli articoli (aureo ruolo di “camminatore”) e nella impaginazione e stampa del Popolo clandestino, fatte ogni volta in una tipografia differente. Per la diffusione lavoravano invece prevalentemente i giovani di Giorgio Tupini, mentre Spataro si occupava personalmente delle consegne del fascicoletto Idee ricostruttive scritto da De Gasperi, su un “canovaccio” preparato da Gonella.

Ricordo con emozione la prima copia del Popolo non più clandestino, la sera stessa della liberazione, nella redazione e tipografia del Popolo di Roma. Regdo Scodro improvvisò un discorsetto in via del Tritone per presentarla al pubblico, ma non credo che fu per questo che ne vendettero centomila copie. E lo stesso avvenne per un certo tempo, essendoci intanto spostati a Palazzo Sciarra (già sede del Giornale d’Italia), in condominio con il Risorgimento Liberale di Mario Pannunzio.

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Gonella – confida Andreotti – era un direttore esigentissimo. Ogni pomeriggio teneva riunione collegiale della redazione e, consultando tutti gli altri giornali, chiedeva conto dei buchi verificati nel nostro. Si passava poi all’impostazione del giorno successivo; ed era con grande pazienza che ascoltava – non sempre per servirsene – i suggerimenti del redattore capo Cristiano Ridomi, della segretaria Luciana Amadei Segreto e di tutti noi. Incaricato del reparto Interni, io ero in una posizione di privilegiato per la funzione che svolgevo di collegamento tra De Gasperi e il giornale (posizione che mi dava qualche vantaggio anche sui colleghi delle altre redazioni quando si trattava delle cronache del Consiglio dei ministri o delle riunioni interpartitiche).

Verso le diciannove Gonella intimava l’extra omnes per scrivere l’articolo di fondo o qualche corsivo di impostazione. Qualche volta gli portavo fogliettini con appunti di De Gasperi, che accettava regolarmente, sorridendo sui verba magistri. Non si fa torto ai successori di Gonella – conclude Giulio Andreotti – dicendo che mai più il Popolo avrebbe avuto l’autorevolezza (e la diffusione) di quel periodo iniziale, quando più o meno tutti noi collaboratori provenivamo dalla FUCI o dai Laureati cattolici”. 

Nei ricordi dello statista romano quel tempo lontano diventa, per così dire, una sorta di perduta età dell’oro.

 

 Ruggero Morghen