REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI ROMA
SEZIONE SECONDA CIVILE
Benedetta THELLUNG de COURTELARY Presidente
Marina TUCCI Consigliere
Mario MONTANARO Consigliere rel.
riunita in camera di consiglio ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile in grado d’appello iscritta al numero 350 del ruolo generale degli affari contenziosi dell’anno 2023, trattenuta in decisione all’udienza del giorno 4.3.2024
tra
CERENZA RAFFAELE (cod. fisc. CRN RFL 61B01 H892J) E DE SIMONI
Franco (cod. fisc. DSM FNC 41T16 H501A), elettivamente domiciliati in Roma, Via Nizza n. 63, presso lo studio dell’avv. Marco Croce, che li rappresenta e difende per procura in calce all’atto di citazione in appello;
-appellanti-
e
DEMOCRAZIA CRISTIANA (cod. fisc. non indicato), in persona del Segretario Politico Nazionale, Nino Luciani, e LUCIANI NINO (cod. fisc. LCN NNI 37D30 C912R), domiciliati presso l’avv. Giuseppe Stefanucci (p.e.c.: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.), che li rappresenta e difende per procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta in appello;
-appellati-
e
GRASSI RENATO (cod. fisc. GRS RNT 40D13 F158X), elettivamente domiciliato in Roma, Via Guido Guinizelli n. 23, presso lo studio dell’avv. Filippo Chiaramonte, che lo rappresenta e difende per procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta in appello;
-appellato-
e
ALESSI ALBERTO (cod. fisc. LSS LRT 39E30 B429E), FONTANA Giovanni (cod. fisc. FNT GNN 44D01 L781F), GUBERT RENZO (cod. fisc. GBR RNL 44M11 H066R), MELILLO GIANFRANCO (cod. fisc. MLL GFR 48M03 H703M), SANDRI ANGELO (cod. fisc. SND NGL 54A31 G284), STRIZZI GA- BRIELLA (cod. fisc. STR GRL 63D47 D643J), SCALABRIN PALMIRO, DUCA GRAZIELLA (cod. fisc. DCU GZL 40P61 Z149D) e D’AGRO’ LUIGI;
-appellati contumaci-
OGGETTO: associazione non riconosciuta.
CONCLUSIONI
per Raffaele Carenza e Franco De Simoni: “Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello di Roma adìta, ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione disattesa:
- in accoglimento dell’appello, riformare totalmente, per i motivi sopra esposti, la sentenza n. 10654/2022, pronunciata dal Tribunale di Roma, Prima Sezione civile, in data 30.6.2022, depositata in cancelleria in data 4.7.2022, resa nella causa iscritta al n. 26813/2017 R.G. e, pertanto, voglia, respinta ogni contraria deduzione, argomentazione e istanza, definitivamente giudicando, per le ragioni in fatto e in diritto sopra esplicitate ovvero, comunque, per tutte quelle che risulteranno di legge e di giustizia, dichiarare la nullità ovvero, in ogni caso, l’invalidità e/o l’inefficacia di tutti gli atti, ivi compresi quelli preparatori, nonché di ogni atto, verbale, deliberazione adottati dalla e nella ‘assemblea’ del 25/26 febbraio 2017 e di tutte le connesse, pretese, definizioni e qualifiche derivatene, dai Signori Nino Luciani ed altri in riferi- mento alla ‘Democrazia Cristiana’ storica, nonché di qualsiasi situazione o qualificazione giuridica ex adverso pretesa e derivante dalle deliberazioni e verbalizzazioni della detta ‘assemblea’ in riferimento alla ‘Democrazia Cri- stiana’; con ogni altra legittima e consequenziale statuizione.
Con vittoria di spese e compensi professionali di entrambi i gradi di giudizio”;
per la Democrazia Cristiana e Nino Luciani: “Voglia l’Ecc.ma Corte di Appello di Roma, contrariis reiectis per i motivi indicati in premessa, confermare la sentenza n. 10654/2022 emessa in data 4.07.2022 dal Tribunale di Roma, nella persona del Giudice Dr. Goggi Paolo il tutto con vittoria di spese e onorari di causa oltre accessori di legge del primo e del secondo grado di giudizio”;
per Renato Grassi: “Voglia l’Ill.mo Tribunale adito, contrariis reiectis,
In via di correzione:
espungere dall’epigrafe relativa alla descrizione dei convenuti (Luciani Nino, Alessi Alberto, Grassi Renato, Gubert Renzo e Fontana Giovanni) al rigo 4 della pag. 1 della sentenza la locuzione ‘dell’Associazione degli iscritti alla Democrazia Cristiana del 1993’ in quanto gli stessi sono semplicemente soci della Democrazia Cristiana ‘storica’.
Nel merito, in via principale: dichiarare inammissibile l’appello ai sensi degli artt. 342 cpc e/o 348 bis cpc; in ogni caso rigettare l’appello integralmente perché infondato in fatto e in diritto confermando la sentenza impugnata.
Con vittoria di compensi professionali”;
per Renato Grassi: “Voglia l’Ecc.ma Corte adita, contrariis reiectis,
In via di correzione:
- espungere dall’epigrafe relativa alla descrizione dei convenuti (Luciani Nino, Alessi Alberto, Grassi Renato, Gubert Renzo e Fontana Giovanni) al rigo 4 della 1 della sentenza la locuzione ‘dell’Associazione degli iscritti alla Democrazia Cristiana del 1993’ in quanto gli stessi sono semplicemente soci della Democrazia Cristiana ‘storica’.
Nel merito, in via principale:
- dichiarare inammissibile l’appello ai sensi degli 342 cpc e/o 348 bis cpc;
- in ogni caso rigettare l’appello integralmente perché infondato in fatto e in
diritto confermando la sentenza impugnata.
- Con vittoria di compensi professionali”.
FATTO E DIRITTO
- Con atto di citazione notificato il 4.2017 Raffaele Cerenza e Franco De Simoni, quali iscritti alla “Democrazia Cristiana” nell’ultimo tesseramento al partito del 1992/93, nonché quali rappresentanti – rispettivamente, Presi- dente e Vice Presidente – della “Associazione Iscritti alla Democrazia Cristiana del 1993”, hanno convenuto in giudizio innanzi al Tribunale di Roma Nino Luciani, Alberto Alessi, Luigi D’Agrò, Renato Grassi, quest’ultimo in proprio e quale presidente della “assemblea” del 26.2.2017, Renzo Gubert e Giovanni Fontana, quest’ultimo in proprio e quale presidente della associazione “Democrazia Cristiana”, rilevando preliminarmente la perdurante vi- genza dello Statuto della Democrazia Cristiana dell’aprile 1992, impugnando tutti gli atti e i documenti, ritenuti nulli e comunque invalidi o inefficaci, relativi alla convocazione della assemblea tenutasi il 25/26.2.2017 nell’adu- nanza degli “associati al partito della DC”, che all’ordine del giorno preve- deva “la nomina presidente pro tempore della riunione e del segretario ver- balizzante, con presa d’atto che a tal funzione di Presidente il decreto del Tribunale ha designato il prof. Nino Luciani e ad eseguire tutte le formalità necessarie conseguenti alla disposta convocazione. Nomina del Presidente e del Vice Presidente della Associazione, ai sensi dell’art. 36 codice civile e principi generali dell’ordinamento. Varie ed eventuali”. In particolare, gli at- tori hanno dedotto che:
- tutti i convocati all’assemblea del 25/26.2.2017 risultavano decaduti dalla qualità di soci della Democrazia Cristiana, non avendo dato prova della loro iscrizione al partito nel 1993, atteso che con sentenza n. 17831/2015 emessa dal Tribunale di Roma, in composizione monocratica, in data 8.9.2015, passata in giudicato, era stato dichiarato invalido anche il tesseramento attuato nel 2012 mediante autocertificazione da Giovanni Fontana e dal proprio gruppo (di cui facevano parte i convenuti), i quali avevano dichiarato di essere iscritti al partito dal 1992, e che quindi era stata confermata la qualità di associati di coloro che si erano associati nel 1993 a mezzo di campagna di tesseramento conforme alla legge e allo Statuto;
- gli atti e le deliberazioni assunte dall’assemblea del 25/26.2.2017, quindi, risultavano viziati per contrarietà alla legge e allo Statuto della Democrazia Cristiana, nonché per mancata corrispondenza tra la compagine che vi ha preso parte e gli iscritti alla Democrazia Cristiana “storica”, e segnatamente perchè: a) l’ordine del giorno del 25/26.2.2017 risultava difforme nel contenuto a quanto statuito dal Tribunale di Roma con provvedimento n. 9374/2016 reso all’esito del procedimento avviato dai convenuti ai sensi dell’art. 20 c.c., né si era provveduto alla previa elezione di tutti gli organi indicati nello Statuto, tra cui la Commissione per la verifica dei poteri; b) non corrispondevano i proponenti il ricorso ex 20 c.c. con gli iscritti del 1993 alla Democrazia Cristiana storica, atteso che il loro tesseramento era stato dichiarato invalido; c) né corrispondevano i ricorrenti ex art. 20 c.c. agli iscritti alla Democrazia Cristiana, atteso che tra i primi alcuni avevano fondato altre formazioni politiche o vi erano migrati o ancora avevano acquisito la carica di deputato o senatore in altri partiti, decadendo dalla qualità di socio della Democrazia Cristiana; d) non rispondeva al vero che non vi erano organi sociali dell’Associazione di cui era presidente l’on. Fontana, tanto da dover adire l’Autorità Giudiziaria per la convocazione dei suoi iscritti, come da elenco prodotto dai ricorrenti, in quanto tale associazione risultava ancora operante; e) nonostante il mancato riscontro da parte dei convenuti alla richiesta degli attori di visionare i verbali dell’adunanza contestata, risultava una partecipazione di meno di 100 persone a fronte dei circa 1.750 iscritti asseritamente rappresentati in assemblea.
Parte attrice ha concluso, quindi, perché il Tribunale di Roma volesse “dichiarare la nullità ovvero, in ogni caso, l’invalidità e/o l’inefficacia di tutti gli atti, ivi compresi quelli preparatori, nonché di ogni atto, verbale, deliberazione adottati dalla e nella ‘assemblea’ del 25/26 febbraio 2017 e di tutte le connesse, pretese, definizioni e qualifiche derivatene, dai Signori Nino Luciani ed altri in riferimento alla ‘Democrazia Cristiana’ storica, nonché di qualsiasi situazione o qualificazione giuridica loro eventualmente e pretesamente derivante dalle deliberazioni e verbalizzazioni della detta ‘assemblea’ in riferimento alla ‘Democrazia Cristiana’. Con ogni conseguenza anche in ordine alle spese del presente procedimento”.
Con atto del 24.5.2017 hanno svolto intervento volontario nel giudizio di primo grado Gianfranco Melillo, Angelo Sandri, Gabriella Strizzi, Palmiro Scalabrin e Graziella Duca, quali iscritti alla Democrazia Cristiana nell’anno 1992/93 e inoltre nelle rispettive qualità, facendo proprie le deduzioni in fatto e in diritto, nonché le istanze già spiegate da parte attrice, di cui hanno condiviso le seguenti conclusioni, chiedendo dunque al Tribunale di Roma di: “dichiarare la nullità ovvero, in ogni caso, l’invalidità e/o l’inefficacia di tutti gli atti, ivi compresi quelli preparatori, nonché di ogni atto, verbale, deliberazione adottati dalla e nella ‘assemblea’ del 25/26.2.2017 e di tutte le connesse, pretese, definizioni e qualifiche derivatene, dai Signori Nino Luciani ed altri in riferimento alla ‘Democrazia Cristiana’ storica, nonché di qualsiasi situazione o qualificazione giuridica loro eventualmente e pretesamente derivante dalle deliberazioni e verbalizzazioni della detta assemblea. Con vittoria di spese, diritti ed onorari di causa”.
In data 29.9.2017 si sono costituiti nel giudizio di primo grado i convenuti Nino Luciani, Alberto Alessi, Renato Grassi e Renzo Gubert, allegando che:
- con decreto del 12.2016, emesso su ricorso ex artt. 20 e 2637 c.c., il Tribunale di Roma aveva disposto la convocazione dell’assemblea nazionale degli associati della Democrazia Cristiana nei seguenti termini: “- Dispone la convocazione dell’assemblea nazionale degli associati della associazione non riconosciuta Democrazia Cristiana presso la sala Lepis Magna dell’Hotel Ergife di Roma (via Aurelia n.619) per il giorno 25 febbraio 2017 ore 21,00 in prima convocazione e per il giorno 26 febbraio 2017 ore 10,00 in seconda convocazione per deliberare sul seguente ordine del giorno: a) nomina del presidente pro tempore della riunione e del segretario verbalizzante; b) nomina del presidente della associazione; c) varie ed eventuali. – Designa il ricorrente Nino Luciani a presiedere detta assemblea e ad eseguire tutte le formalità necessarie conseguenti alla disposta convocazione”; e, con succes- sivo decreto del 14.2.2017, lo stesso giudicante ha integrato quanto disposto, prevedendo che fosse devoluto a Nino Luciani, designato con il precedente decreto quale presidente dell’assemblea, l’esecuzione degli adempi- menti connessi alla convocazione dell’assemblea della Democrazia Cristiana;
- gli attori erano decaduti dal diritto di contestare la legittimità dell’assemblea del 25/26.2.2017, i cui presupposti per la convocazione erano stati ritenuti legittimi dal Tribunale di Roma nel decreto del 14.12.2016;
- gli attori erano privi di legittimazione ad agire, in quanto non avevano fornito prova della loro iscrizione alla Democrazia Cristiana nel 1993, nonché di interesse ad agire, stante la natura meramente amministrativa del decreto ex 20 e 2637 c.c., che aveva reso possibile lo svolgimento dell’assemblea contestata;
- le doglianze in merito all’invalidità dei tesseramenti del 1992 e del 2012 erano prive di fondamento in quanto, in riferimento al primo, non vi era una norma statutaria che comportasse la decadenza dalla qualità di socio in caso di mancata conferma dell’iscrizione nell’anno successivo; in riferimento al secondo, invece, perché la sentenza 17831/2015 emessa dal Tribunale di Roma il 8.9.2015 non aveva annullato “tutti gli atti”, tanto meno il tesseramento dei soci del 2012 che, in ogni caso, non era stato mai impugnato dagli attori, e che si riduceva – più che a un tesseramento vero e proprio – a una ricognizione dell’elenco dei soci del 1992 sulla base di un’autocertificazione;
- l’ordine del giorno dell’assemblea del 25/26.2.2017 era regolare e con- forme alle statuizioni del Tribunale di Roma rese all’esito del giudizio promosso dai convenuti ai sensi dell’art. 20 c.;
- l’assemblea era stata convocata conformemente alle disposizioni giudiziarie e, in ogni caso, non era sindacabile dall’Autorità Giudiziaria se non per motivi di legittimità o contrarietà a norme;
- in merito alla rispondenza tra i proponenti il ricorso ex 20 c.c. e gli iscritti al 1993, con il decreto in data 14.12.2016 il Tribunale di Roma aveva valutato la sussistenza di tutti i requisiti per la regolare convocazione dell’as- semblea;
- irrilevanti erano le ulteriori doglianze attoree in merito all’assunzione di cariche in altri partiti da parte di alcuni soci, alle deleghe ed alla consegna della documentazione inerente all’assemblea, nota e acquisibile dagli attori – presenti in assemblea – presso l’Associazione.
Sulla base di tali argomentazioni, i convenuti rassegnavano le seguenti conclusioni, come precisate nelle memorie ex art. 183, co. 6, n. 1) c.p.c.: “– nel merito, in via principale, rigettare e dichiarare inammissibili ogni domanda ed eccezione attrice confermando la validità della convocazione dell’assemblea del 25/26.02.2017 della Democrazia Cristiana storica nonché di tutti gli atti preparatori e assembleari e delle deliberazioni adottate. Rigettare e dichiarare inammissibili ogni domanda ed eccezione degli intervenuti in quanto privi di legittimazione ed estrometterli dal processo, confermando la validità della convocazione dell’assemblea del 25/26.02.2017 della Democrazia Cristiana storica nonché di tutti gli atti preparatori e assembleari e delle deliberazioni adottate – Con vittoria di spese e competenze di lite”.
All’udienza di prima comparizione del 3.10.2017 il giudice designato ha dichiarato la contumacia del convenuto Luigi D’Agrò.
Con sentenza n. 10654/2022 del 4.7.2022 il Tribunale di Roma, in composizione monocratica, ha così statuito: “- dichiara il difetto di legittimazione ad agire dei terzi intervenuti Melillo Gianfranco, Sandri Angelo, Strizzi Gabriella, Scalabrin Palmiro e Duca Graziella;
- dichiara l’inammissibilità dell’intervento adesivo dipendente, in favore di parte attrice, spiegato da De Simoni Franco, nella qualità di Segretario Politico del partito Democrazia Cristiana, con sede in Roma, Via Gioberti 54;
- rigetta le impugnazioni proposte dagli attori Cerenza Raffaele, in proprio e quale presidente della Associazione degli iscritti alla Democrazia Cristiana del 1993 e De Simoni Franco, in proprio e quale vice presidente della Asso- ciazione degli iscritti alla Democrazia Cristiana del 1993;
- condanna gli attori ed i terzi intervenuti, in solido, alla rifusione, in favore dei convenuti, delle spese del presente giudizio, che liquida in euro 9.275,00 per compensi professionali, oltre IVA, spese generali e CPA come per legge”.
Avverso la suddetta decisione hanno proposto tempestivamente appello Raffaele Cerenza e Franco De Simoni, affidandosi ai due motivi riportati di seguito.
Si sono costituiti nel presente grado di giudizio la Democrazia Cristiana, in persona del Segretario Politico, Nino Luciani, nonché quest’ultimo in proprio, che hanno concluso per il rigetto dell’appello, rilevando come Raffaele Crenza e Franco De Simoni “non sono più legittimati a proseguire essendo stati espulsi in corso di causa dal partito della Democrazia Cristiana con verbale del 14.03.2020 perdendo automaticamente interesse ad agire”, ritualmente comunicata con raccomandate a.r. del 3.6.2020 agli stessi, i quali nei successivi sei mesi non proponevano impugnazione all'espulsione com- minata che dunque diveniva definitiva.
Si è inoltre costituito nel presente grado di giudizio Renato Grassi, che ha contestato la fondatezza delle censure mosse dagli appellanti e ha concluso per il rigetto dell’impugnazione, chiedendo inoltre di disporre la correzione dell’errore materiale da cui è affetta l’intestazione della sentenza appellata.
Alberto Alessi, Giovanni Fontana, Renzo Gubert, Nino Luciani, Luigi D’Agrò, Gianfranco Melillo, Angelo Sandri, Gabriella Strizzi, Palmiro Scalabrin e Graziella Duca, pure ritualmente evocati nel presente grado di giudizio, non si sono costituiti e con la presente sentenza ne deve essere dichiarata la contumacia.
La presente causa è stata trattenuta in decisione alla prima udienza, ai sensi dell’art. 80-bis disp. att. c.p.c., e decisa senza assegnare alle parti i termini di cui all’art. 190 c.p.c. in ragione di quanto disposto con il decreto in data 31.1.2024, ritualmente comunicato alla parte appellante dalla Cancelleria e inserito agli atti del processo telematico, rendendolo così conoscibile anche alle parti appellate.
- Preliminarmente, deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità dell’impugnazione proposta da Raffaele Cerenza e Franco De Simoni avverso le deliberazioni assunte dall’assemblea dei soci della Democrazia Cristiana in data 25/26.2.2017 in quanto questi sono stati esclusi dall’associazione con deliberazione dell’assemblea del 3.2020 (v. doc. n. 2 del fascicolo di parte appellata DC e Luciani), comunicata con raccomandate a.r. del 3.6.2020 agli stessi (v. doc. n. 3 del fascicolo di parte appellata DC e Luciani).
La circostanza dell’esclusione dei due associati odierni appellanti dalla Democrazia Cristiana è stata allegata e documentata da quest’ultima e dal suo presidente, Nino Liguori, nel costituirsi tardivamente nel presente giudizio, in data 26.2.2024, a fronte di un’udienza di comparizione fissata, a seguito di differimento ai sensi dell’art. 168-bis, co. 5, c.p.c. – applicabile al giudizio di appello, nel regime processuale applicabile al presente giudizio, in ragione del richiamo operato dall’art. 359 c.p.c. – per il giorno 4.3.2024. Inoltre, l’esclusione è stata disposta nel corso del giudizio di primo grado, anche se è stata dedotta dall’associazione e dal suo legale rappresentante in proprio soltanto nel costituirsi nel presente grado di giudizio.
In ogni caso, trattandosi di legittimazione all’azione, e quindi anche all’impugnazione, è rilevabile d’ufficio in qualsiasi stato e grado del giudizio, non assumendo dunque rilevanza quanto appena osservato.
È principio da gran tempo consolidato in giurisprudenza quello per il quale non è sufficiente che le condizioni dell'azione, ivi compresa la legittimazione ad agire, siano presenti al momento della proposizione della domanda giu- diziale, occorrendo che esse sussistano anche quando il giudice si pronuncia sulla domanda. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che questo principio si applica anche con riguardo alle azioni promosse per far annullare le deliberazioni assembleari di società per azioni (cfr. Cass. civ., Sez. I, 7.11.2008, n. 25842), e si deve ritenere applicabile anche all’impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea delle associazioni non riconosciute. Ne discende che il venire meno, in corso di causa, del requisito di legittimazione consistente nell'essere l'attore socio dell’associazione convenuta impedisce al giudice di pronunciare l'eventuale annullamento della deliberazione as- sembleare impugnata, perché è venuto altresì meno il potere dell'attore di interloquire sul modo di essere e di operare degli organi dell’associazione, e perciò anche, attraverso l'annullamento di quella deliberazione, il potere d'incidere sugli effetti che essa ha prodotto (o è ancora in grado di produrre) nella sfera dell’associazione stessa e di imporre eventualmente agli organi rappresentativi di adottare i conseguenti provvedimenti.
Ai principi sopra richiamati fa eccezione (ma solo in apparenza) unicamente il caso in cui il venire meno della qualità di socio in capo all'impugnante sia diretta conseguenza proprio dalla deliberazione la cui legittimità egli contesta. Infatti, se l'annullamento della deliberazione può condurre al ripristino della qualità di socio dell'attore, e ciò costituisce giustappunto una delle ragioni per le quali la deliberazione viene impugnata, sarebbe logicamente incongruo, e si porrebbe insanabilmente in contrasto con i principi enunciati dall'art. 24, co. 1, Cost., l'addurre come causa del difetto di legittimazione proprio quel fatto che l'attore assume essere contra legem e di cui vorrebbe vedere eliminati gli effetti.
Anche laddove si volesse consentire con quella parte della dottrina che preferisce non qualificare i requisiti soggettivi posti dall’art. 23, co. 1, c.c. per l'impugnazione delle deliberazioni assembleari come condizioni di legittimazione dell'azione, e reputa invece trattarsi di disposizioni che operano sul piano sostanziale e che attribuiscono (o meno) la titolarità del diritto a op- porsi alla deliberazione non condivisa, le conclusioni non muterebbero. An- che l'esistenza del diritto azionato in giudizio deve infatti permanere intatta sino al momento della pronuncia del giudice.
Ciò ritenuto, nel caso in esame la parte eccipiente non ha documentato l’avvenuta comunicazione ai due appellanti della deliberazione di esclusione: infatti, sono state prodotte esclusivamente le ricevute di spedizione di due raccomandate a.r. indirizzate a Raffaele Cerenza e di Franco De Simoni in data 3.6.2020, ma non è stato allegato il testo della comunicazione in questione. Non è possibile, allora, riferire le due ricevute di spedizione in questione alla comunicazione ai due appellanti della deliberazione assunta dall’assemblea dei soci della Democrazia Cristiana in data 14.2.2020.
Inoltre, anche a voler ritenere fornita la prova della comunicazione ai due associati dell’esclusione in questione, che peraltro potrebbe ritenersi avvenuta con il deposito nel presente giudizio, in ogni caso non sarebbe provata la definitività della disposta esclusione. La Democrazia Cristiana e Nino Luciani non hanno provato la mancata proposizione di impugnazione da parte degli odierni appellanti, nel termine di sei mesi, la disposta esclusione, e che dunque la stessa è divenuta definitiva.
Ed è appena il caso di rilevare che qualora si volesse ritenere che la comunicazione in questione sia avvenuta soltanto con il deposito della delibera in data 14.3.2020 al momento della costituzione dei due convenuti suddetti nel presente giudizio, e quindi in data 26.2.2024, non sarebbe ancora decorso il termine per proporre impugnazione.
Conclusivamente sul punto, non essendo stata provata dalla parte eccipiente il difetto di legittimazione all’impugnazione delle delibera assembleare in capo agli odierni appellanti, e quindi alla proposta impugnazione, l’eccezione non può trovare accoglimento.
- Con il primo motivo di appello si deduce “l’illogicità manifesta” della sentenza di primo grado, sostenendo che il giudice di prime cure “si contraddice ed erra allorché nega agli attori in primo grado la legittimazione ad impu- gnare l’assise di non aventi titolo, giungendo a determinare la causazione di effetti giuridici pregiudizievoli a discapito dei veri soci della Democrazia Cristiana del 1993 per opera di persone prive di titolo per farlo”. In particolare, gli appellanti deducono che, se da un lato, “implicitamente, il Tribunale riconosce nei soci del 1993 gli unici legittimati a partecipare ad una assemblea atta a dare nuova vita alla Democrazia Cristiana”, dall’altro “non ha percepito che i convenuti, per ottenere il provvedimento di volontaria giurisdizione [vale a dire, il decreto Tribunale di Roma in data 12.2016, che ha disposto la fissazione dell’assemblea le cui determinazioni sono state impugnate], hanno invocato la convocazione della Democrazia Cristiana storica, omettendo essi di indicare che, in base allo Statuto del partito, la qualifica di socio si ha con l’iscrizione da effettuarsi anno per anno (…)”. E che, pertanto, “solamente i soci del 1993 avevano la qualifica giuridica legittimante alla richiesta di convocazione della assemblea dei soci della Democrazia Cristiana legittimati a partecipare ad una assemblea atta a dare nuova vita alla Democrazia Cristiana”.
Il motivo non è fondato.
Il giudice di prime cure, seppure nell’epigrafe della sentenza appellata ha erroneamente qualificato i convenuti in primo grado quali “iscritti alla Democrazia Cristiana del 1993”, e non quali soci della Democrazia Cristiana “storica”, in motivazione ha chiaramente evidenziato come la questione relativa alla legittimazione di chi ha richiesto, con ricorso al Tribunale di Roma, la convocazione dell’assemblea del 25/26.2.2017, “indipendentemente dalla circostanza, eccepita dalla difesa dei convenuti, del difetto di impugnazione del provvedimento del giudice Romano presso la Corte d’Appello entro il termine previsto dall’art. 739 c.p.c., non afferisce alle modalità di convocazione dell’assemblea dei soci della Democrazia Cristiana tenutasi il 26/02/2017, all’esito della quale sono state adottate le delibere impugnate, ma al diverso profilo della legittimazione ad agire dei convenuti in quel procedimento di volontaria giurisdizione che si è concluso con il provvedimento sopra riferito e che non è stato oggetto di impugnativa nemmeno nel presente giudizio (cfr. pag. 3 memoria di replica parte attrice), anche qualora si ritenesse la relativa facoltà ancora attuale in virtù dell’omessa notifica del provvedimento idonea a far decorrere il termine di cui all’art.739 secondo comma c.p.c.. E ciò tenuto conto che tale provvedimento non può certamente farsi rientrare, neppure implicitamente, tra gli ‘atti prodromici alle delibere assembleari del 26/2/2017’ di cui è stato chiesto l’accertamento dell’invalidità, proprio in quanto provvedimento giurisdizionale reso in sede di volontaria giurisdizione ed avente la diversa finalità sottesa alla disciplina di cui all’art. 20 c.c. (superare l’inerzia nella convocazione assembleare su iniziativa di un decimo degli associati), quindi, a definizione di una fase logicamente preliminare e cronologicamente precedente a quella, successiva, di convocazione dell’assemblea dei soci da parte del soggetto designato dall’autorità giudiziaria.
Ne consegue l’irrilevanza, nel presente giudizio, di ogni questione attinente alla dedotta violazione dello Statuto della Democrazia Cristiana dell’aprile 1992, da parte dei ricorrenti ex art. 20 c.c., che vizierebbe in radice, secondo le allegazioni di parte attrice, gli atti e le deliberazioni dell'assemblea oggetto di causa e l’assorbimento delle altre censure strettamente connesse a quella in esame”.
In ordine a tale statuizione della sentenza appellata Raffaele Cerenza e Franco De Simoni nulla deducono con l’atto introduttivo del presente giudi- zio di appello, e quindi non svolgono alcuna censura avverso la decisione assunta dal giudice di prime cure al riguardo, limitandosi a dedurre l’asserito difetto di legittimazione dei soggetti che avevano presentato il ricorso ex art. 20 c.c., in esito al quale il Tribunale di Roma ha disposto la convocazione dell’assemblea degli associati in cui è stata assunta la deliberazione oggetto dell’impugnazione proposta dagli odierni appellanti. Il giudice di prime cure ha motivato in ordine a tale motivo di impugnazione proposto dagli attori, riguardante appunto la legittimazione dei convenuti a richiedere la convocazione dell’assemblea, statuendo che – anche a volere tralasciare il rilievo per cui il decreto emesso dal Tribunale di Roma in data 14.12.2016, con cui è stata convocata l’assemblea dei soci della Democrazia Cristiana del 25/26.2.2017, non è stato impugnato – non afferisce alle modalità di convocazione dell’assemblea in questione, ma piuttosto alla legittimazione dei ricorrenti nel procedimento di volontaria giurisdizione sopra richiamato.
Il giudice monocratico del Tribunale di Roma, pertanto, non ha affatto “negato” agli attori di impugnare la delibera assembleare (come si sostiene erroneamente nell’atto di appello), ma anzi ne ha riconosciuta la legittimazione. Nella decisione impugnata si legge, infatti: “Deve essere (…) accertata la legittimazione ad agire degli attori Cerenza Raffaele, in proprio e quale Presidente dell'Associazione degli iscritti alla Democrazia Cristiana del 1993 e De Simoni Franco, quest’ultimo in proprio” (v. pag. 9). Inoltre, affermare che il giudice di primo grado avrebbe implicitamente riconosciuto ai soci del 1993 il diritto di partecipare alla assemblea suddetta è errato, ma in ogni caso è del tutto irrilevante ai fini dell’impugnazione proposta, non soltanto perché il motivo di impugnazione svolto dagli odierni appellanti non afferiva a ciò, ma in ragione del rilievo per cui sia Raffaele Cerenza che Franco De Simoni hanno in verità partecipato a detta assemblea.
- Parte appellante qualifica come “secondo motivo” di appello quello che costituisce, invero, un mero, generico rinvio a “tutte le ulteriori deduzioni svolte in primo grado a sostegno della domanda attorea, sopra articolate nei punti da 1 a 9 del riepilogo della controversia, in quanto autonomamente idonee ad infirmare in toto la validità dell’operato dei convenuti e odierni appellati” “giacché non esaminate dal Tribunale”.
In verità, il giudice di prime cure, con la sentenza appellata, ha statuito con riguardo a tutti i motivi di impugnazione proposti dagli odierni appellanti e ha ritenuto gli stessi infondati, per tale ragione rigettando l’impugnazione proposta dagli stessi avverso la deliberazione assunta dall’assemblea dei soci della Democrazia Cristiana in data 26.2.2017. Nell’impugnare tale decisione Raffaele Cerenza e Franco De Simoni non hanno censurato le motivazioni in questione, e quindi – in buona sostanza – non hanno proposto alcuna impugnazione avverso tali parti della decisione di primo grado.
- L’appellato Renato Grassi, nel costituirsi nel presente grado di giudizio, ha chiesto a questo giudicante di disporre la correzione dell’errore materiale da cui è affetta la sentenza di primo grado, nell’intestazione, e segnatamente laddove – come si è detto sopra – indica i convenuti come soci “dell’Associazione degli iscritti alla Democrazia Cristiana del 1993”, laddove questi sono soci della Democrazia Cristiana “storica”.
L’impugnazione assorbe anche la correzione di errori (cfr. Cass. civ., Sez. II, 19.5.2021, n. 13629; Cass. civ., Sez. III, 27.7.2001, n. 10289), sebbene nel caso in esame sia stata richiesta non dagli appellanti, ma da un appellato.
Ciò chiarito, con riguardo alla locuzione sopra riportata, la stessa risulta inserita nell’integrazione della sentenza, dopo “LUCIANI NINO, ALESSI ALBERTO, GRASSI RENATO, in proprio e quale Presidente pro tempore dell’assemblea del 26.02.2017, GUBERT RENZO, FONTANA GIOVANNI, in proprio e quale Presidente eletto dall’Assemblea dei soci del 26.02.2017”, per un mero refuso, non essendo in relazione con quanto prima indicato. In particolare, neanche viene indicato nell’intestazione che tali convenuti sono tutti soci “dell’Associazione degli iscritti alla Democrazia Cristiana del 1993”.
In ogni caso, tale circostanza non è corretta e non è quanto documentato agli atti del giudizio di primo grado.
Ne consegue che, con la presente sentenza, deve essere disposto che, nell’intestazione della sentenza n. 10654/2022 emessa dal Tribunale di Roma, in composizione monocratica, il 4.7.2022, dopo “LUCIANI NINO, ALESSI ALBERTO, GRASSI RENATO, in proprio e quale Presidente pro tempore dell’assemblea del 26.02.2017, GUBERT RENZO, FONTANA GIOVANNI, in proprio e quale Presidente eletto dall’Assemblea dei soci del 26.02.2017”, venga eliminata la locuzione “dell’Associazione degli iscritti alla Democrazia Cristiana del 1993,”.
- In conclusione, l’appello proposto da Raffaele Cerenza e Franco De Simoni avverso la sentenza 10654/2022 emessa dal Tribunale di Roma, in composizione monocratica, il 4.7.2022 deve essere rigettato.
Le spese del presente giudizio di appello seguono la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo tra le parti costituite, avuto riguardo all’attività difensiva in concreto svolta in ragione della decisione della causa alla prima udienza. Non deve essere assunta alcuna statuizione, invece, in ordine alle spese tra gli appellanti e gli appellati contumaci, che dunque non hanno alcuna attività difensiva.
La Corte deve dare atto, con la presente sentenza, della sussistenza dei pre- supposti di cui all’art. 13, co. 1-quater, del d.P.R. 30.5.2002, n. 115, intro- dotto dall’art. 1, co. XVII, della legge 24.12.2012, n. 228.
P.Q.M.
La Corte di appello di Roma, definitivamente pronunciando nella causa indicata in epigrafe, ogni altra difesa, eccezione e istanza disattesa, così provede:
dichiara la contumacia di Alberto Alessi, Giovanni Fontana, Renzo Gubert, Nino Luciani, Luigi D’Agrò, Gianfranco Melillo, Angelo Sandri, Gabriella Strizzi, Palmiro Scalabrin e Graziella Duca;
rigetta l’appello proposto da Raffaele Cerenza e Franco De Simoni avverso la sentenza n. 10654/2022 emessa dal Tribunale di Roma, in composizione monocratica, il 4.7.2022;
dispone che nella sentenza n. 10654/2022 emessa dal Tribunale di Roma, in composizione monocratica, il 4.7.2022, dopo “LUCIANI NINO, ALESSI ALBERTO, GRASSI RENATO, in proprio e quale Presidente pro tempore dell’assemblea del 26.02.2017, GUBERT RENZO, FONTANA GIOVANNI, in proprio e quale Presidente eletto dall’Assemblea dei soci del 26.02.2017”, venga eliminata la locuzione “dell’Associazione degli iscritti alla Democrazia Cristiana del 1993,”;
condanna Raffaele Cerenza e Franco De Simoni, in solido tra loro, a rimborsare alla Democrazia Cristiana ed a Nino Luciani, con vincolo di solidarietà tra loro, le spese del presente grado di giudizio, che liquida in € 5.000,00 per compensi, oltre rimborso spese forfetarie (art. 2, co. 2, d.m. 10.3.2014, n. 55), I.V.A. qualora dovuta e C.P.A. nella misura di legge;
condanna Raffaele Cerenza e Franco De Simoni, in solido tra loro, a rimborsare a Renato Grassi le spese del presente grado di giudizio, che liquida in € 5.000,00 per compensi, oltre rimborso spese forfetarie (art. 2, co. 2, d.m. 10.3.2014, n. 55), I.V.A. qualora dovuta e C.P.A. nella misura di legge;
nulla per le spese del presente grado di giudizio tra Raffaele Cerenza e Franco De Simoni, da un lato, e Alberto Alessi, Giovanni Fontana, Renzo Gubert, Nino Luciani, Luigi D’Agrò, Gianfranco Melillo, Angelo Sandri, Gabriella Strizzi, Palmiro Scalabrin e Graziella Duca, dall’altro;
dà atto che, per effetto della presente decisione, sussistono i presupposti di cui al primo periodo dell’art. 13, co. 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002.
Roma, 15.4.2024
Il Giudice est. Il Presidente
Mario Montanaro Benedetta Thellung de Courtelary