di padre Vito Nardin, rosminiano.  

 

La Costituzione della Repubblica Italiana, tanto stimata ovunque, si appoggia su solidi princìpi che garantiscono e promuovono la vita personale e civile dei cittadini. Alcuni di questi si fondano sul pensiero del Beato Antonio Rosmini. 

Ne fece cenno autorevole anche papa Benedetto XVI. Il 17 marzo 2011, in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, inviò un Messaggio al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Tra le personalità del mondo cattolico che influirono positivamente per l’Unità della Nazione egli elogiava Rosmini con queste parole: 

«Per il pensiero filosofico, politico ed anche giuridico risalta la grande figura di Antonio Rosmini, la cui influenza si è dispiegata nel tempo, fino ad informare punti significativi della vigente Costituzione italiana».

Questo specialissimo apprezzamento merita alcune conferme. La prima viene dalla testimonianza di un religioso rosminiano; la seconda dalla Segreteria dell’Archivio della Presidenza della Repubblica; la terza dal confronto di alcuni articoli della Costituzione con il pensiero filosofico, giuridico e politico di Rosmini.

Il primo aiuto per una conferma viene dall’opera di padre Giuseppe Bozzetti, superiore generale dell’Istituto della Carità fondato da Antonio Rosmini nel 1828 a Domodossola. Suo padre Romeo aveva partecipato alla spedizione dei Mille, quale tesoriere. Divenne poi tenente generale dell’esercito italiano, ma la sua carriera non andò oltre, perché si rifiutò di aderire alla massoneria (1). Si può ben dire che diede anch’egli un contributo concreto all’unità d’Italia, ai suoi valori più elevati, un buon esempio ai suoi figli, e non soltanto a loro. Il terzogenito Giuseppe, nato nel 1878, quando frequentava la Facoltà di Giurisprudenza a Torino, ebbe occasione di leggere la Filosofia del Diritto di Rosmini, ma non per merito dei suoi docenti. Ecco il racconto della folgorazione che lo sorprese.

«Quando ho cominciato a filosofare? Parola grossa, ma non si applica a tutti il primum vivere, deinde philosophari?  Certo, io vivevo ma non filosofavo quando a diciott’anni ebbi quasi un diverbio con mio padre a proposito del diritto naturale. All’Università allora si insegnava come una cosa fuori discussione che il diritto naturale non era mai esistito. Io lo ripetei nel corso di una conversazione, con la sicurezza presuntuosa del matricolino. Mio padre, che passava i sessant’anni, ma aveva ancora tutta intiera la purezza di cuore di un uomo del Risorgimento, saltò su, infuriato.  – Come? Il diritto naturale non esiste? – Io tenni duro naturalmente, a confermare senza accorgermene l’antica legge del latente conflitto tra i padri e i figli. Ma quel profondo sdegno di un’anima nobile e cara mi lasciò, contro mia volontà, turbato. Da quel momento credo che sia sorto il primo forte stimolo per me ad una ricerca personale. (…) Quando trovai nella Filosofia del Diritto di Rosmini(2) che la persona è il diritto sussistente, io esclamai: Ecco!»(3). Entrato tra i Rosminiani subito dopo, nell’ anno 1900, completò gli studi filosofici e teologici a Roma, fu rettore nel Collegio Mellerio-Rosmini a Domodossola, poi superiore provinciale e, infine, superiore generale dal 1935 al 1956. Fu tra i rosminiani il massimo studioso del pensiero giuridico di Rosmini.  

Nel 1943 si trovava a Domodossola. Anche Tullio Bertamini, giovane chierico rosminiano, che fu successivamente alunno apprezzato da Enrico Medi all’Università della Sapienza per la laurea in matematica e fisica – tanto da invitarlo ad essere suo assistente, invito declinato subito perché fedele alla propria vocazione religiosa - era a Domodossola.  Ecco le sue parole:

«Padre Giuseppe Bozzetti, superiore generale, durante quel burrascoso tempo di guerra risiedeva al Calvario di Domodossola, da cui seguiva gli eventi politici e militari che stavano maturando e che gravavano pesantemente anche sulla nostra vita quotidiana e poi lo saranno anche sulla nostra storia. Era chiaro che il regime politico di allora stava per cadere e per dissolversi con l’avanzata delle truppe americane dal sud e la presenza sui monti dell’Ossola di gruppi armati di varie fazioni. L’Italia doveva rinnovarsi politicamente e di questo bisogno Don Bozzetti era ben consapevole. Prese perciò l’iniziativa di trattarne con alcuni amici, ai quali premeva che una nuova Costituzione garantisse la giusta libertà alle persone e alle istituzioni e il rispetto della religione. Don Bozzetti presumeva che alcune delle idee politiche che Rosmini aveva formulato nei suoi scritti potessero essere utili a quelli che avrebbero dovuto scrivere la nuova Costituzione italiana. Per tal motivo si premurò di far giungere ad alcuni studiosi e uomini politici molti brani desunti dalla Filosofia del Diritto e da altri testi rosminiani riguardanti la politica che egli riteneva fondamentali per questo scopo(4). Allora era ancora da inventare la fotocopiatrice e quindi, avendo una certa pratica della macchina da scrivere, mi diede l’incarico della copiatura di molti brani da far pervenire a questi amici, dei quali ricordo in particolare l’Avv. Achille Marazza di Borgomanero e per suo mezzo anche ad altri. Questo lavoro mi fu particolarmente utile perché potei valermi dell’occasione per leggere molte delle opere di Rosmini»(5). L’on. Achille Marazza partecipò ai lavori dell’Assemblea Costituente.

Questa attività culturale di don Bozzetti era iniziata già da diverso tempo, anche se non aveva potuto partecipare alla settimana che diede origine al Codice di Camaldoli. Alla preparazione di quel Codice era presente, tuttavia, tra altri estimatori del pensiero rosminiano, Giuseppe Capograssi, insigne giurista e amico di don Bozzetti. Nelle notizie sulla stesura finale del Codice di Camaldoli figura il suo nome: «Sarebbero stati tre economisti, Silvio Paronetto, Pasquale Saraceno, Ezio Vanoni, tutti e tre Valtellinesi di Morbegno, coadiuvati da Ludovico Montini (per il tema della famiglia), da Gesualdo Nosengo (per i temi educativi), da Giuseppe Capograssi e da alcuni ecclesiastici a rielaborare il tutto»(6). Quindi l’unico giurista citato, presente a quei ritocchi conclusivi del testo che fu utilizzato durante l’Assemblea Costituente era lui, esperto del diritto di Rosmini, amico di Bozzetti.  

Rientrato a Roma il 13 luglio 1945, il 9 ottobre fa visita a mons. Montini, e il 22 ottobre partecipa alla XIX Settimana Sociale dei Cattolici Italiani a Firenze. I suoi appunti vengono pubblicati, anonimi, nel 1946 (Roma. A.R.C.E, 1946) e, poi, a dieci anni dalla sua morte (7). Vi si trovano molte riflessioni feconde in vista appunto dell’Assemblea Costituente. Iniziano gli incontri che ben presto fecero della sua Casa generalizia in via di Porta Latina un punto di riferimento. Il 10 dicembre hanno inizio gli incontri dei Laureati Cattolici e successivamente quelle dei Docenti Universitari. Alle Giornate di questi ultimi partecipavano decine di giuristi e uomini politici: tra questi l’on. Achille Marazza, Guido Gonella. Anche mons. Giovanni Battista Montini, allora pro-segretario della Segreteria di Stato, intervenne a concludere qualcuna di queste. Anche Alcide De Gasperi frequentò quella Casa, addirittura anche per qualche partita a bocce nel giardino che si concludeva con una semplice merenda preparata dalle suore rosminiane. In quel tempo Don Bozzetti riuscì perfino a portare ben 120 Laureati Cattolici per una settimana di ritiro a Domodossola dall’11 al 16 agosto 1947. 

La seconda conferma è più recente. Nel mese di giugno del 2019 a Roma, ebbi l’occasione di salutare il presidente della Repubblica on. Sergio Mattarella, che conoscevo già da quando ero parroco, successore di don Antonio Riboldi a Santa Ninfa nel Belice, mentre il Presidente veniva per partecipare alla S. Messa nella Basilica di San Giovanni a Porta Latina. Gli feci omaggio del mio libro sulla ricostruzione nella Valle del Belice dopo il terremoto del 1968. Nella lettera di accompagnamento chiedevo se si poteva cercare, nell’Archivio del Quirinale, una traccia dei fogli dattiloscritti inviati da don Bozzetti all’on. Marazza, divenuto poi membro dell’Assemblea Costituente. 

Il 2 agosto mi giungeva la risposta da parte del Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica. Mi veniva donata una copia anastatica della Costituzione della Repubblica italiana commentata con gli interventi dei componenti di ciascuna commissione e sottocommissione, pubblicata a Roma il 21 aprile 1948 (8). Il Sovrintendente dell’Archivio storico dott.ssa Marina Giannetto mi comunicava che nell’Archivio non vi era quello che cercavo, ma aggiungeva che nel libro: «ritroverà, specie negli interventi e nelle proposte di Moro e Dossetti, molti dei temi cari a Rosmini».

Per la terza conferma guardiamo, appunto, ad alcuni “temi cari a Rosmini”, attingendo a questo dono prezioso. Sono: la dignità e la libertà del lavoro; la persona - e non lo Stato - quale fonte del diritto; il riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo; la famiglia quale cellula originaria della società, la libertà dell’insegnamento. 

Già fin negli interventi dei deputati per la formulazione dell’Art. 1, sul tema del lavoro, è possibile riscontrare la consonanza con il pensiero rosminiano sulla dignità del lavoro e dell’attività umana. 

L’on. Fanfani intervenne con queste parole: «Niente pura esaltazione della fatica muscolare, come superficialmente si potrebbe immaginare, del puro sforzo fisico; ma affermazione del dovere di ogni uomo di essere quello che ciascuno può in proporzione dei talenti naturali». (ivi, pag. 22). 

Sullo stesso tema, trattato nell’ art 4, sul diritto/dovere riguardo al lavoro, ecco l’intervento dell’on Dominedò: 

«La parola “lavoro” fu considerata in tutta la sua pienezza» perché si tratta di svolgere un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società. (Ivi, pag. 27). Proseguì, a nome del Gruppo democristiano: “Appare opportuno snodare l’idea del lavoro, contemplando così le attività come le funzioni; appare opportuno considerare tutta la gamma della possibile espansione del concetto di lavoro, da quello materiale a quello intellettuale, appare opportuno sottolineare che l’idea del lavoro si ricollega così allo sviluppo materiale come a quello spirituale della società, nella interdipendenza e nella inscindibilità di questi due aspetti fondamentali”. L’on. Ruini, nella relazione al progetto, scrisse: “Ad evitare applicazioni unilaterali, si chiarisce che il lavoro non si esplica soltanto nelle sue forme materiali, ma anche in quelle spirituali e morali che contribuiscono allo sviluppo della società. È lavoratore lo studioso e il missionario; lo è l’imprenditore, in quanto lavoratore qualificato che organizza la produzione”. (pag. 28).

Si può cogliere facilmente la sintonia con il pensiero di Rosmini, riguardo alle tre forme della carità, materiale/corporale, intellettuale, spirituale, e con le tre forme dell’essere reale, ideale, morale. L’influsso rosminiano è riconoscibile: «Appartiene alla perfezione di un ente l’essere egli autore del proprio bene» (9).  Un’indicazione autorevole in questo stesso senso è anche nelle Massime di perfezione adattate ad ogni tipo di persone: «Il cristiano professerà infine l’operosità più assidua, in modo che non gli accada mai di perdere un briciolo di tempo»(10). 

Riguardo all’Art. 2, a proposito dei diritti inviolabili, ecco l’ordine del giorno presentato alla 1 Sottocommissione dall’on. Dossetti: 

«La Sottocommissione, esaminate le possibili impostazioni sistematiche di una dichiarazione dei diritti dell’uomo; esclusa quella che si ispiri a una visione soltanto individualistica; esclusa quella che si ispiri a una visione totalitaria, la quale faccia risalire allo Stato l’attribuzione dei diritti dei singoli e delle comunità fondamentali; ritiene che la sola impostazione veramente conforme alle esigenze storiche, cui il nuovo statuto dell’Italia democratica deve sodisfare è quello che riconosce la precedenza sostanziale della persona umana (intesa nella completezza dei suoi valori e dei suoi bisogni, non solo materiali, ma anche spirituali) rispetto allo Stato e la destinazione di questo a servizio di quella; riconosce a un tempo la necessaria socialità di tutte le persone, le quali sono destinate a completarsi e a perfezionarsi a vicenda mediante una reciproca solidarietà economica e spirituale: anzitutto in varie comunità intermedie, disposte secondo una naturale gradualità (comunità familiari, territoriali, professionali, religiose, ecc.), e quindi, per tutto ciò in cui quelle comunità non bastino, allo Stato; che perciò affermi l’esistenza sia dei diritti fondamentali della persona, sia dei diritti delle comunità intermedie anteriormente ad ogni concessione da parte dello Stato» (11).

Davvero questa formulazione si fonda in tutto sulla dottrina filosofico-giuridica rosminiana riguardo alla persona nelle varie relazioni sociali. Basti questa sola citazione: «Lo Stato si può concepire e fu concepito in tre maniere: o come una signoria, o come una tutela, e come un’amministrazione sociale.(…). Ma egli è chiaro che i primi due concetti non costituiscono popoli liberi: solamente quando uno Stato sia ordinato secondo il terzo concetto, la nazione gode della libertà politica»(12).  Alcune formulazioni furono effetto non solo della lettura dei testi rosminiani, ma anche da colloqui, propiziati in casa sua da padre Bozzetti, tra esponenti dei principali schieramenti.  

Riguardo all’Art. 29 ci fu pure notevole discussione sulle parole “società naturale”. Il relatore, on. Corsanego, pose in evidenza “la preesistenza del diritto originario e imprescrittibile che ha la famiglia per la sua costituzione, finalità e difesa”, aggiungendo che “lo Stato non crea questo diritto che è preesistente, ma lo riconosce, lo tutela e lo difende”. (pag. 67). Anche l’intervento dell’on. Aldo Moro tende a precisare lo stesso tema della priorità della comunità familiare, ove lo Stato è il regolatore dei diritti, non la fonte. «Dichiarando che la famiglia è una società naturale si intende stabilire che la famiglia ha una sua sfera di ordinamento autonomo nei confronti dello Stato, il quale, quando interviene, si trova di fronte ad una realtà che non può menomare né mutare»(13).

Un ulteriore punto significativo di influsso rosminiano è il verbo “riconoscere”, che ricorre specialmente in questa parte introduttiva e fondativa della Costituzione. 

Il Presidente della Repubblica on. Sergio Mattarella, fermo custode della Costituzione, nel messaggio alla Nazione del 31 dicembre 2023 ha precisato: «Quando la nostra Costituzione parla di diritti, usa il verbo «riconoscere». Significa che i diritti umani sono nati prima dello Stato». La Costituzione usa quel verbo 9 volte, rispettivamente negli art. 2,4,5,10,29,35,42,45,46.

La conferma viene è in queste parole:

«In senso rigoroso riconoscere suppone il conoscere precedente e un conoscere che faccia equazione, dirò così, col riconoscere, sicché l’oggetto della ricognizione rimanga tale nella cognizione si trova. Questo accade talvolta, e allora la ricognizione volontaria è vera, giusta, morale perché la volontà riconoscendo l’entità conosciuta non ne altera il pregio, ma se ne compiace in quella sola misura che la cognizione diretta le prescrive»(14). 

Infine, l’influsso rosminiano tocca l’art. 33, che sancisce la libertà dell’arte e dell’insegnamento. Gli interventi dell’on. Moro e dell’on. Dossetti furono efficaci per giungere alla formulazione finale, con la quale si garantisce a tutti gli iscritti ad una scuola non statale una formazione equipollente anche sotto il profilo giuridico. (pag. 74). Su questo tema Rosmini ha scritto molto, e tra l’altro: 

«La libertà è l’esercizio non impedito dei propri diritti». I diritti son anteriori alle leggi civili. Il fondamento della tirannia è la dottrina che insegna il contrario. (…). Uno dei più nobili e santi usi che si possono fare delle proprie potenze, è quello di insegnare ad altri cose utili e vere, e d’impararne da tutti. È chiaro che il diritto d’imparare da tutti è correlativo a quello d’insegnare, e che offendendosi il primo si offende anche il secondo».

Onore e riconoscenza al filosofo, politico e giurista Antonio Rosmini, il quale attingendo alle fonti più pure e sicure, ha consegnato indicazioni sapienti e durature per «il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità. (…). Difendere la verità, proporla con umiltà e convinzione e testimoniarla nella vita sono pertanto forme esigenti e insostituibili di carità».

 

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NOTE

1 LIA COPPOLA, Giuseppe Bozzetti, Una traccia nella storia, Suore rosminiane, Borgomanero 2006, pag. 8.
2 Fu indirizzato alla conoscenza di questo testo dal Canonico Vincenzo Papa, direttore della rivista Sapienza, e persona
molto devota di Rosmini, di cui conosceva a fondo anche gli scritti. (Cfr. Clemente Riva, La persona nel pensiero di P. G.
Bozzetti, Justitia, luglio-settembre 1957).
3 (GIUSEPPE BOZZETTI, Opere complete, Marzorati, pag. 2924). 

4 GIUSEPPE BOZZETTI, Opere complete, vol. 1, pp. 1107-1189, La persona umana (Corso di Lezioni di Filosofia Morale
all’Università di Roma, Anno Accademico 1945-1946, 26 lezioni).
5 (Cfr. Charitas, bollettino rosminiano mensile, maggio 2006, pag. 142-143).
6 (AVVENIRE, 2.7.2013, Antonio Airò).
7 Ivi, vol. III, I Cattolici e la Costituente, vol. III. Pagg. 2969-2984, Marzorati, 1966.

8 LA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA, Colombo in Via Campo Marzio 74, Roma, maggio 1948, copia
anastatica.

9 A.ROSMINI,Teodicea, Città Nuova, n. 359, e «Il maggior benefizio che può farsi all’uomo non è di dargli il bene, ma di
fare che di questo bene sia egli autore a sé medesimo» (Ivi, n. 371).
10 A. ROSMINI, Massime di perfezione cristiana adattate ad ogni tipo di persone, Vita Trentina Editrice,
2003, (Quinta massima, n. 12, e Sesta massima: Disporre tutte le occupazioni della propria vita secondo uno spirito di
intelligenza, nn. 1-25).
11 LA COSTITUZIONE…., pag. 24.

12 A. Rosmini, Libertà dell’Insegnamento, cap. IX, pp. 220-221).
13 Ivi, pag. 67.
14 (A. Rosmini, Psicologia, vol. 2, Città Nuova editrice, n. 1103, pag. 278).