In una fitta agenda di confronti, si terrà domani un significativo scambio di idee tra le diverse anime di provenienza democristiana.

Una Camaldoli nuova edizione?

L’intento, così leggiamo dalla presentazione dell’evento, è “di superare la diaspora e le divisioni che hanno compromesso in Italia una presenza culturale e politica dei cattolici e dei democratici cristiani e intende costruire un’alternativa sia alla nuova destra che si è sviluppata nei tempi recenti, sia alla sinistra in crisi di identità”. 

Segue poi una agenda di incontri ove predominano tanti illustri esponenti della cosiddetta galassia democristiana, che da tempo, e senza ripensamento, hanno data per morta e sepolta la DC.

Vien da chiedersi, allora, al di là delle formali prefazioni, a cosa serve realmente questo appuntamento?

La nostra formazione culturale ci fa guardare sempre con favore, questa, come qualsiasi occasione di incontro, perché dall’analisi dei contesti e dalle soluzioni che ciascuno propone si ricava sempre linfa vitale su cui poi innestare la sintesi di un comune denominatore, nell’intento di dare aggregazione e la più ampia rappresentazione ad un patrimonio culturale e politico, che da molto tempo sembra aleggiare nel vuoto.

Tuttavia una certa ambiguità che si ricava da quella presentazione, fa affiorare una qualche diffidenza su questa “Mission” che sembra guardare altri sfondi, non facilmente sussumibili ad inquadrare questo confronto, tra le tante anime che trovano la loro scaturiggine nella DC, come un momento prodromico per ritrovare, nelle differenti letture e sensibilità sul territorio e negli obiettivi, un comune cammino, nella riorganizzata Democrazia Cristiana.

Obiettivi che già in prima lettura, appaiono nebbiosi e velleitari e non giustificano i toni enfatici con cui taluni promotori stanno sottolineando l’evento.

Così ci chiediamo: è una risposta efficace rispetto alle attese di un certo elettorato e di parte di quella opinione pubblica assai sensibile ad un ritorno della capacità di proposta e di mediazione politica che seppe interpretare la DC?

O si sta architettando, non so quanto inconsapevolmente, un tentativo di salvataggio e di riconversione di una classe dirigente, che ha arrembato, in questi venticinque anni, parte nel centrodestra e parte nel centrosinistra, nella consapevolezza che gli spazi si sono ridotti, anche, per una eccessiva estremizzazione delle proposte politiche?

Ma, ancora più sconcertante è la constatazione che, forse, un prevedibile parricidio stia per essere consumato, anche con la complicità di esponenti interni al partito, al contempo impegnati nello sforzo di riorganizzazione della DC, mai sciolta.

Insomma, mentre uno strano percorso si delinea e non vi vediamo coerenza e lungimiranza, non riusciamo a cogliere l’obiettivo dirimente, ossia il ritornare alla formazione di origine.

Così, anziché ricomporre i diversi pezzi della galassia per riaggregarsi attorno allo sforzo che il gruppo dirigente, a cominciare dal Segretario politico Renato Grassi, sta portando avanti per rimettere in campo, nella continuità dell’azione politica e degli ideali che nell'attualità del loro portato valoriale sono in grado di assicurare, le giuste risposte alle istanze e alle attese dei cittadini e del sistema produttivo per avviare un processo di sviluppo coerente e sostenibile: che si fa?

Si insiste nell’idea di formare una nuova entità politica (o entità politica nuova,ma a questo punto rischia di essere solo un dilemma inutile) che al momento non sembra potersi concepire in nessun altro modo che non sia un inafferrabile ectoplasma.

Che non sia una semplice impressione lo dimostra il fatto che già, nella Direzione di qualche mese fa, il Segretario DC, R. Grassi così ne delineava i tratti di un percorso plausibile:

“..In tal senso la convocazione di una nuova Camaldoli,  proposta da Bonalberti, è un'ottima idea. Tuttavia va preparata con ampie e qualificate presenze partecipative dell'associazionismo di ispirazione cattolica e dei movimenti popolari e cristiano democratici. Sarà, quindi, opportuno chiarire preventivamente e assai concretamente le finalità, gli obiettivi, le mete di Camaldoli 2.

Si esige, pertanto, un opportuno lavoro preventivo per individuare e registrare la disponibilità effettiva per un successivo percorso comune. Si tratta di evitare una ennesima passerella che, senza filo conduttore, porterebbe magari a un ampio dibattito, a una bella manifestazione, ma come Todi 1 e Todi 2  e tanti altri casi, senza  produrre un risultato concreto.

La vera ed effettiva verifica non potrà che esser quella  di un impegno comune alle prossime scadenze elettorali per confermare volontà politica, impegno e rappresentatività. Inoltre per costruire uno spazio competitivo nell'area centrale bisogna allargare il campo e coniugare il popolarismo democratico cristiano con la carica riformatrice delle  forze politiche di stampo liberal democratico.
E' questa, a mio giudizio, la scommessa sulla quale si gioca un progetto vincente che può far uscire il confronto politico dalla rigida contrapposizione destra/sinistra aprendo spazi inediti di iniziativa politica e di rappresentanza elettorale a una coalizione centrista.

E' necessaria una forte iniziativa che acceleri i processi politici che abbiamo ipotizzato senza crogiolarsi o impantanarsi nella messianica attesa del leader carismatico o dei federatori politici.

I nuovi scenari che incombono hanno bisogno del riformismo tipico delle politiche popolari e liberal democratiche.

La D.C. guarda avanti ed ha storicamente dimostrato di essere capace di costruire un patto sociale e politico con le culture liberal democratiche. Inoltre il filone politico culturale cattolico democratico trova nel popolarismo la capacità di adeguarsi  al passo dei tempi e ai nuovi scenari che emergono dalle trasformazioni delle istituzioni e dell'economia. Abbiamo piena consapevolezza  della sfida che è davanti a noi  con le responsabilità da assumere e le scelte da effettuare”.

Come si legge, qui la riaggregazione viene intesa come un ovvio ritorno alla sede naturale, che per ciascuno non può che essere la DC.

Ossia un partito che non è morto. 

Che esiste avendo riavviato la ricomposizione statutaria e politica con il XIX Congresso del 13-14 ottobre 2018 e che ora si accinge a scendere in campo.

E non si fa mistero di ricomporre, com'è giusto che sia, le diverse anime che erano e potranno di nuovo essere la linfa vitale della dialettica interna capace di produrre le migliori sintesi progettuali nel nuovo percorso che si prefigge di intraprendere distinta e distante da ogni sorta di populismi e sovranismi, trasformismi e ambiguità identitarie delle attuali forze in campo.

Ma quale impatto hanno avuto quelle analisi prospettiche e quelle affermazioni?

Nessuno!

Del resto già il parterre dei promotori e dei protagonisti del confronto ci da il segno di ben altri orizzonti.

Cosa altrimenti potremmo attenderci da tanti esponenti di primo piano, da Follini a Rotondi, da Tassone a Gargani da Tabacci a Pomicino, protagonisti illustri di questa “Convention”  ma che da tempo hanno fatto il funerale alla DC, sbandierando ai quattro venti che quell’esperienza non è più riproponibile e occorre cercare altro?

Posizioni che non trovano argine neanche in taluni esponenti della rinata DC.

In un post del 13.06.2021 del prof. A. Giannone, della Fondazione Democrazia Cristiana, così  leggiamo: ”..Speriamo che tutti noi, eredi delle radici: Cattolico democratica, Liberal Popolare, Democristiana ci rendiamo conto a breve (19 Giugno) che senza una larga nostra aggregazione, Federazione di Tutti, non costruiremo mai più il Centro politico di cui il Paese e la Politica hanno bisogno”.

Ma davvero questo amico ritiene che il “centro politico” che in questo frangente è estremamente atomizzato e con strategie politiche talora non sovrapponibili, possa trovare, al momento, sufficiente spinta da un’ardita operazione di ricomposizione di piccole aree culturali e di proposta civile, dismettendo i tratti peculiari di una identità, ossia nome e simbolo, ritenendo bastevole il richiamarsi al patrimonio di valori e di ideali della Democrazia Cristiana?

Quel processo come delineato dal Segretario attiene alla ricerca delle compatibilità che possano accomunare le diverse forze centriste nella più articolata espressione di quelle culture democratiche, liberali e riformiste, che già nella prima Repubblica seppero dialogare con la visione cattolico-popolare e democratica.

Ma questo processo ha una sua gradualità e non si possono mischiare i due diversi passaggi: il primo non può che attenere alla più ampia ricomposizione del partito che tale patrimonio culturale e politico esprime, ossia la DC, rafforzandone la riproposta identità politica.

Questo, e non altro, dovrebbe essere l’intento di questa “ Convention “: perché nel contributo di idee dei rappresentanti di forze sociali e civili del paese che a quei principi del popolarismo e del cattolicesimo democratico si ispirano, si trovi nuova linfa.

Di questo, purtroppo, non ne intravediamo traccia nelle affermazioni del prof. Giannone.

Al contrario, Egli proiettandosi subito alla seconda fase di questo percorso, rischia di dare manforte ad una strategia che sembra mirare ad un’aggregazione disegnata per favorire la rianimazione di quelle forze ancillari, al crepuscolo della loro parabola politica, che ormai stentano a trovare passo ed identità in un'alleanza innaturale con i valori cui si richiamano.

A tal proposito ci pare illuminante quanto scriveva in un Comunicato del 06.08.2020 nell’imminenza delle amministrative dello scorso anno l’on.Giuseppe Gargani:

” La lista per le elezioni regionali dell’UDC  va al di là della stessa DC perché interessa i settori della società più vasti e associazioni varie che anche in Campania e nella nostra provincia hanno costituito la “Federazione Popolare dei Democratici Cristiani”. Questa è l’unica novità della campagna elettorale, a fronte di liste  trasformiste e di ammucchiate senza identità.
L’identità della Federazione  che fa perno  sull’UDC e sullo scudo crociato ha il compito di risvegliare la politica proprio perché non inventa nuovi simboli che sono fuori dalla tradizione politica del nostro paese..”.

Egli inneggiando all'esperimento come unico esempio di innovazione del quadro politico generale, esalta l'Udc di Cesa come motore della federazione e alfiere di una nuova stagione elettorale( ma davvero era stato assegnato questo ruolo all’Udc?) mentre ignora come non abbia mai portato bene nessuna lista a doppio simbolo.

Sappiamo poi com'è andata a finire!

Infine, anche l’amico Bonalberti, in un post dell’11.06.2021, non ci pare da meno.

Ecco alcune testuali affermazioni:

“..Definito il programma, tutti insieme potremo condividere le regole per indire una grande assemblea costituente del soggetto politico nuovo democratico e popolare. Un’assemblea nella quale si sceglierà, con il programma, la linea politica e la classe dirigente del partito”.

Ed ancora Egli prosegue:” Il nostro impegno sarà di attivare politiche tese a ribaltare l’idea di un’Italia “ paese di inaugurazioni e non di manutenzioni”, proponendo una grande piano nazionale di difesa idrogeologica capace di coinvolgere tecnici e ditte specializzate, giovani e anziani, servizi territoriali di protezione civile a salvaguardia della montagna, delle foreste, delle nostre coste. Premessa indispensabile del nostro documento di programma è il testo del patto/statuto costitutivo della Federazione Popolare dei DC”.

 E poi ancora:

“..I sottoscritti consapevoli della particolare situazione politica che attraversa il paese dopo la costituzione di un governo di emergenza tra due gruppi politici non omogenei il PD e cinque stelle e della esigenza di superare il “nazionalismo” e l’antieuropeismo che si erano affermati dopo le elezioni del 2018;
consapevoli che la scomposizione dell’ attuale assetto politico possa portare alla costituzione di nuovi soggetti politici capaci di superare le incertezze e le patologie che abbiamo patito in questi anni;
consapevoli che la novità in Italia e in altri paesi europei vi è la presenza di una destra eversiva e xenofoba che si è sviluppata per la crisi del centro e della sinistra;
consapevoli che per queste ragioni è urgente superare le attuali formazioni politiche che si richiamano alle posizioni di centro politico per una nuova aggregazione e quindi un nuovo soggetto politico, 

RITENGONO che nel ricordo di un monito a tutti noto di Alcide De Gasperi “ solo se saremo uniti saremo forti, solo se saremo forti saremo liberi“, si debba con urgenza costruire un nuovo centro politico cristiano democratico, popolare, liberale e riformista, come il naturale argine alle posizioni radicaleggianti di sinistra e alle posizioni sovraniste e populiste, per affermare i valori democratici e liberali;

invitano tutti coloro che si riconoscono in questi principi e in questi valori ad aderire al costituendo “Polo di Centro” per dar vita con urgenza ad un patto federativo e per seguire una comune linea politica che sarà indicata dagli organi della federazione;

propongono di avviare un processo culturale di coinvolgimento territoriale, che abbia come obiettivo rendere possibile la formazione di una grande area, ricca che si faccia carico di esperienze e tradizioni diverse e che condivida l'urgenza di partecipare alla competizione politica; pertanto si impegnano, sin da subito , a cercare le opportune intese, da proporre già alle prossime elezioni comunali, provinciali e regionali.

propongono che le associazioni e i partiti politici, che aderiscono alla federazione, possano conservare per intanto la loro attuale individualità giuridica e politica, restando vincolati dal comune impegno a rispettare le norme contenute nel patto federativo e da quelle che saranno approvate dai costituenti organi della Federazione;

propongono che le singole associazioni e singoli partiti politici siano rappresentati, all’interno della federazione, dai propri segretari politici e responsabili delle associazioni, o loro delegati, capaci di esprimere, in seno all’organismo comune, la volontà del proprio gruppo;

propongono in occasione della prima riunione del consiglio della federazione, che i singoli aderenti esprimano la loro proposta per la formazione di un simbolo unitario da adottare a maggioranza qualificata e da presentare alle prossime elezioni comunali regionali e nazionali nel quale tutti si possano riconoscere..”

Un miscuglio di intenti e di obiettivi, troppo farraginoso e palesemente, in alcuni passaggi, in aperta antinomia con quel processo di ricomposizione della DC cui Egli, che al contempo propone di superare, sta partecipando a realizzare. 

Forse sarebbe il caso di mettersi, un po', d’accordo con se stesso!

È di tutta evidenza, infatti, che seguendo le linee tracciate da Bonalberti ci si espone ad un salto nel buio, con tutto il rischio che comporta, dopo una prova del nove difficile, come può essere una consultazione amministrativa, che ci attende in autunno, presentandosi in ordine sparso, con una costellazione di sigle, una nuova formazione ed una nuova identità, nel confronto o in alleanza con altre matrici culturali centriste, in questo momento assai più radicate.

Esperienze già praticate e mai foriere di buono risultati, anzi, spesso,causa di scissioni e tensioni interne.

Perdendo quella specificità identitaria che ha contraddistinto una lunga stagione dell’Italia, nella prima Repubblica, a nulla varrebbe richiamarsi a valori passati senza riproporre, a garanzia, quel nome e quel simbolo.

Una scelta incomprensibile nel voler, a tutti i costi, rendere tortuoso e complesso un problema semplice,ossia che quel partito che si cerca, esiste ed è pronto a rientrare in campo.

Sono sicuro che tale tortuosità di intenti non troverebbe validazione neanche ad una elementare applicazione del principio di parsimonia, conosciuto universalmente come “ il rasoio di Occam”, che nella sua composizione originaria, così ammonisce: “Pluralitas non est ponenda sine necessitate” (Non considerate la pluralità se non è necessario) e “ Frustra fit per plura quod potest fieri per pauciora” È inutile fare con più ciò che può essere fatto con meno)che, appunto, vuole che tra più ipotesi, per la soluzione di una questione, a parità di risultati, si scelga la via più semplice.

Nel nostro caso quale può essere la via più semplice: l'andare a inerpicarsi nelle pastoie dialettiche tra miriadi di associazioni e filoni culturali le cui evoluzioni progettuali non sempre appaiono di facile composizione per un nuovo partito che non troverà facile terreno nell’accreditare una inedita identità?

O non sarà meglio il ricomporsi attorno alla rinata DC, sostenendo e valorizzandone il ruolo di motore e di guida di un tale processo, volto a riannodare le fila di un dialogo, affinché, tutte quelle dimensioni culturali e politiche che hanno preso strade autonome e che diedero linfa, con il portato culturale delle correnti, prima di divenire una degenerazione malsana del sistema di democrazia interna ai partiti, ritrovino il proprio punto di riferimento politico.

 

Luigi Rapisarda