di Tommaso Stenico
Era l’8 dicembre 1965 quando su sagrato della Basilica di San Pietro, attorniato da oltre 2300 vescovi della Chiesa Cattiolica, Paolo VI ha concluso il Concilio Ecumenico Vaticano II. A sessant'anni dalla conclusione di quella grande Assise, si può affermare senza retorica che il Concilio ha restituito alla Chiesa i colori del Vangelo dopo secoli in cui l'immagine ecclesiale ha corso il rischio di apparire in bianco e nero: vera, sì, ma piatta, rigida, poco adatta a riflettere la varietà della vita e dei volti umani.
Il Concilio non ha cambiato la fede, ma ha cambiato la luce in cui la contempliamo. E, cambiando la luce, ha trasformato la nostra percezione dell'intero panorama ecclesiale.
Tra i suoi risultati più decisivi, cinque documenti spiccano come colori primari in questa nuova tavolozza. Ognuno di essi ha acceso un colore, un tratto, un modo di essere Chiesa che ancora oggi ne illumina il cammino.
La Dei Verbum ha restituito alla Parola di Dio il suo splendore originario: non un testo sacro, ma una voce viva che interpella, plasma e converte. Il Concilio ha ricordato che la Rivelazione non è solo un insieme di verità, ma un Dio che parla nella storia, in un dialogo che coinvolge tutta l'umanità. Da qui la centralità della Scrittura nella liturgia, nella teologia e nella vita spirituale. È come se la Chiesa avesse aperto le finestre e fatto entrare aria fresca nella casa del credente.
Con la Lumen gentium l’ecclesiologia ha scoperto la sua dimensione più genuina: la Chiesa non è una piramide, ma un popolo in cammino, animato dallo Spirito, nel quale tutti – laici, consacrati, ministri ordinati – condividono la stessa dignità battesimale nella differenza dei carismi e ministeri. Il Concilio ha rimesso al centro il mistero della Chiesa come comunione, come icona della Trinità. È il colore della fraternità, della responsabilità condivisa, della santità quotidiana.
La Sacrosanctuum Concilium ha riportato la liturgia al centro della vita ecclesiale, restituendole il calore della partecipazione e la bellezza della semplicità. La riforma liturgica non è stata un restyling estetico, ma un ritorno all'essenziale: il Popolo di Dio radunato, la Parola proclamata, il Mistero pasquale celebrato in modo comprensibile e coinvolgente. La liturgia è tornata a essere fonte e culmine, non uno spettacolo per esperti.
Con la Gaudium et Spes, il Concilio ha riconosciuto apertamente che il mondo non è un nemico da cui difendersi, ma una terra da abitare con responsabilità e stupore.
La Chiesa ha scelto il dialogo, non il confronto; la compassione per l'umanità, non il sospetto. "Le gioie e le speranze... " non sono uno slogan passeggero, ma il DNA stesso di una Chiesa che prende sul serio l'Incarnazione. Il sentimento prevalente qui è quello di umanità condivisa, responsabilità per il futuro e passione per la dignità di ogni persona.
Infine, Dignitatis Humanae ha prodotto uno dei frutti più maturi del Concilio: il riconoscimento della libertà religiosa come diritto fondamentale.
Una Chiesa che non teme la libertà è una Chiesa che vive nella verità; una Chiesa che difende la libertà degli altri difende anche la propria. Qui risplende la luce pura della coscienza, il luogo interiore dove Dio parla e l'umanità risponde.
Cosa rimane oggi di questa chiesa di stampo evangelico?
L'ultimo Concilio è stato un momento straordinario, un'occasione per ripensare, rilanciare e proporre qualcosa di nuovo; un'occasione in cui hanno trovato nuova linfa, libertà di parola e capacità di intuizione. Indubbiamente, molte sono le eredità che rimangono di quel periodo entusiasmante.
Chi lo ha vissuto ha compiuto un passo molto importante nella sua vita, perché ha ricevuto dal Concilio una rinnovata fiducia nella possibilità che la Chiesa possa rivolgersi a tutti.
La Chiesa, infatti, in questo periodo post-conciliare, ha respirato profondamente il clima nuovo scaturito da quello straordinario evento spirituale, tanto che molti dei suoi frutti sono penetrati addirittura nelle fibre del corpo ecclesiale.
Basti ricordare la maturità della consapevolezza di ogni battezzato della propria vocazione ecclesiale; la qualità della celebrazione eucaristica; la chiamata a vivere l'autorità come servizio e non come dominio; l'invito allo studio assiduo della Scrittura (Lectio Divina ); la consapevolezza di tutti i credenti di essere chiamati ad annunciare il Vangelo e a testimoniarlo con la vita; l'impulso al dialogo ecumenico e all'incontro dialogico con le altre religioni; la rinnovata apertura al mondo e alla cultura; la riscoperta della dignità di ogni persona umana e il riconoscimento dell'atto di fede come chiamata alla libertà.
E l'elenco potrebbe continuare.

























