Le Istituzioni della nostra Repubblica trovano il loro regolamento nella  Carta Costituzionale a partire dall’art. 55 fino all’art. 138. 

L’ultimo articolo, il 139, sancisce che:”La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale”.

In questo corpo di articoli sono delineate le composizioni, le funzioni e le attribuzioni che l’ordinamento costituzionale attribuisce al Parlamento, al Governo e alla Magistratura, espressione dei tre poteri fondamentali dello Stato, alla figura del Presidente della Repubblica e alla Corte costituzionale.

Le proposte che qui si compendiano sulle tematiche che attengono alle Istituzioni della nostra Repubblica vogliono essere lo spunto iniziale per il correlativo dibattito sulle diverse questioni che afferiscono al loro funzionamento, a concrete disarmonie e alle prospettive di riforma, che in questo momento attraversano il nostro sistema politico.

Esse propongono un progetto che, nel quadro di una visione organica,  vuole affidare al dibattito congressuale la sintesi di una comune condivisione su temi così cruciali.

Va da sé che tanto più sarà capillare la partecipazione di ciascuno alla costruzione di questo nostro progetto di paese sulle direttrici di quei valori solidi che la DC seppe rappresentare, a partire dalla elaborazione, da parte dei nostri padri costituenti della Carta costituzionale, alla rapida ricostruzione del paese dalle rovine del secondo dopoguerra, tanto più si offriranno al paese robusti elementi di riflessione e di proposta politica che da tempo mancano nell’orizzonte prossimo e di lungo periodo.

Il nostro progetto dovrà proporsi come nuova leva per una società fondata sugli assi portanti di un nuovo Umanesimo ed agire come volano per un nuovo modello di sviluppo e di progresso dell’Italia.

È perciò sotto gli occhi di tutti l’importanza di questa assise per il florilegio di questioni, percorsi e approdi, che per una migliore organicità di trattazione, vale la pena affrontare brevemente secondo l’autonoma specificità delle questioni.

 

1.  Democrazia e bene comune

Se pensiamo che nel mondo sono circa il 20% le democrazie consolidate dobbiamo ritenere ancora lungo ed irto di ostacoli il cammino dell’unico modello di governo che si basa sulla partecipazione di tutti.

Eppure non è poco il fascino che la democrazia esercita sui popoli.

Il problema è che quando in un paese oppresso si tenta un percorso democratico( come nel caso delle cosiddette primavere arabe)le reazioni delle élite - economiche o religiose -  che fino a quel momento lo hanno avuto in mano, riescono sempre a rendere quell’esperimento un fenomeno spurio per quelle comunità non aduse ai modelli di democrazia, riportando in auge regimi illiberali o ibridi, con qualche parvenza di pluralismo elettorale incapace però di incidere su una struttura saldamente autocratica, dove è facile mettere in discussione l’autonomia del potere giudiziario e delle Corti costituzionali, le autonomie territoriali e il pluralismo dei media e dei corpi intermedi.

 

2.  II taglio dei parlamentari: una ferita alla democrazia rappresentativa

Il referendum sul taglio dei parlamentari del 2020 è stata l'ennesima mistificazione imbastita dal movimento 5stelle messa in atto con l’ingenua complicità del Pd allettato da un’alleanza di governo che evidentemente si è giocata cinicamente anche a prezzo, disinvolto, di un progetto di indebolimento delle nostre istituzioni rappresentative, pregiudicandone il sagace equilibrio, come sapientemente fu disegnato dai nostri padri costituenti.

Esso nulla aveva a che fare realmente con obiettivi di risparmio di costi, che peraltro quando si tratta di presidi democratici volti ad assicurare la più capillare rappresentanza del paese non sono mai eccessivi.

Basterebbe por mente ai costi per le auto blu, per dirne una, che impegnano ogni anno il bilancio dello Stato.

Così mescolando tematiche disomogenee e prendendo a pretesto la diatriba dei costi della politica, si è finito per assimilare il massimo organo legislativo, alla maniera di un qualsiasi bene di mercato, e come tale, di poter operare disinvoltamente con tagli e riduzioni, assai consistenti, senza contare che si incideva poderosamente, su funzioni cruciali che richiedono attenta ponderazione e delicati bilanciamenti per mantenere un giusto rapporto tra territorio e rappresentanti.

Occorre fare argine alle tante insidie alla rappresentanza e alla centralità del Parlamento.

 

3. Recuperiamo il giusto equilibrio tra i poteri e difendiamo dalle tante insidie la rappresentanza e la centralità del parlamento 

Nella dolorosa congiuntura sanitaria e socioeconomica generata da una pandemia senza precedenti non sono state infrequenti le aggressioni improprie ai cardini dello Stato di diritto e alla concezione tripartita di Montesquieu. 

Esempio tipico sono stati i famigerati Dpcm della presidenza del consiglio, facile strumento per aggirare il controllo parlamentare, usati come sostitutivi delle procedure garantiste della normazione primaria, unica misura normativa, ablativa di diritti, conforme a Costituzione.

V'è anche l’annosa questione di un sempre più soverchiante rapporto tra Magistratura e gli altri poteri dello Stato, mentre con il referendum sul cosiddetto taglio dei parlamentari abbiamo avuto un ulteriore irrazionale attacco al sistema del mandato popolare, con la riduzione del numero di deputati e senatori, rivelatore di insidiosi filoni di pensiero che ritengono oggi di poter fare sempre più a meno della rappresentanza parlamentare, in una visione che si preannuncia sempre più spocchiosamente volta a stravolgere l’intero assetto costituzionale, frutto invece di un sapiente lavoro di cesellatura da parte dei nostri  padri costituenti.

 

4. Il presidenzialismo colpisce al cuore la centralità del parlamento

Nel consegnarci una delle più belle Costituzioni i nostri padri costituenti ebbero molta cura nel disegnare un impianto imperniato su un ruolo centrale del Parlamento nel sistema politico-istituzionale.

Essa richiese un lavoro di elaborazione e finitura giovandosi delle migliori competenze accademiche cui non fu da meno la sapiente mediazione politica tra le diverse culture politiche a cominciare dall'opera svolta dalla DC. 

Si evitò così sia l’adozione pura di modelli che producessero nell’esercizio delle funzioni di governo aprioristiche divisioni nel paese, come accade con il presidenzialismo, sia commistioni ibride, favorendo invece la coesione e il coinvolgimento di altre forze politiche.

Non a caso, disancorandolo da funzioni che la riconducessero attivamente ad uno dei tre poteri fondamentali dello Stato, si attribuì alla figura del Capo dello Stato il delicato compito di rappresentante dell’unità nazionale.

L’annunciato intendimento da parte di questa maggioranza di modificare la forma di governo della nostra Repubblica, introducendo un sistema presidenziale, oltre al fatto di vanificare il sapiente equilibrio dei poteri sostituendo alla centralità del parlamento la preminenza decisionale dell’esecutivo, facente capo direttamente al presidente della Repubblica, che eletto direttamente dal popolo perderebbe la sua funzione di neutralità, non appare comunque di facile applicazione, almeno come risulta nella forma pura del presidenzialismo americano dove l’elettorato ha sempre espresso un netto bipartitismo.

Non altrettanto agevole si presenta l’ipotesi di un semi presidenzialismo alla francese, espressione costituzionale della V Repubblica che risale a Charles De Gaulle.

Questa forma di governo è messa, in questi mesi, sempre più sotto assedio da oceaniche proteste di piazza accusando di tentazioni monocratiche il presidente Macron per aver bypassato, nel varare la riforma delle pensioni, ogni concertazione con partiti e parti sociali, imponendo il proprio punto di vista, avvalendosi di una norma ad hoc, senza alcun dibattito parlamentare.

Di certo se all’attuale scenario geopolitico, sempre più estremizzato, aggiungiamo l’inconsulto assalto a Capitol Hill, tempio della democrazia americana, il 6 gennaio 2021 da parte di sostenitori estremisti di Donald Trump, gli eventuali rischi di derive antidemocratiche, in queste forme di governo presidenziali non appaiono essere, poi, oggi, così poco verosimili.

 

5. Si al proporzionale per dare rappresentatività ad ogni angolo di territorio del paese e sì alla sfiducia costruttiva

Da sempre il nostro modello elettorale è stato il sistema proporzionale nell’idea che una democrazia deve assicurare la più capillare realtà dei territori.

Per questo oltre ad un impianto costituzionale imperniato sulla centralità del parlamento fu prioritario il principio, seppur non costituzionalizzato, che il sistema elettorale non potesse fare a meno di un modello che consentisse di assicurare la più ampia rappresentanza ad ogni angolo di territorio della Repubblica.

Purtroppo la crisi e la degenerazione del sistema politico degli anni ‘90, favorì la demagogica propaganda della priorità della stabilità dei governi sul principio della più ampia rappresentanza dei territori.

Con il referendum che ne seguì nel 1991 ed il successivo del 1993, promossi, tra altri, proprio da un democristiano, il prof. Mariotto Segni, si introdusse un sistema maggioritario denominato “Mattarellum” dal nome del suo principale ideatore, l’allora on. Sergio Mattarella.

Ne seguì un periodo di turbolenta alternanza tra i due principali poli, il centro destra ed il centrosinistra, rappresentati rispettivamente per quasi un ventennio dai due leader, Silvio Berlusconi e Romano Prodi.

Dopo arrivò inopinatamente il governo dell’austerity di Mario Monti che introdusse un regime di lacrime e sangue con grandi restrizioni nella spesa pubblica e nel sistema di welfare.

Tuttavia l'agognata stabilità non fu mai un traguardo raggiungibile per una sempre più diffusa consuetudine di scelte trasformiste e facili cambi di casacca.

Appare invece di particolare rilievo introdurre, sul modello tedesco, la sfiducia costruttiva onde evitare crisi di governo al buio e facili cambi di maggioranza.

 

6. L’Autonomia differenziata sia una giusta risposta all’endemico divario nord-sud

Non è un impegno da poco e neanche eludibile con i soliti slogan o le demagogie propagandistiche.

Un problema atavico quello della questione meridionale, mai risolto, che richiede una chiara e solida visione di paese, con lungimiranti investimenti infrastrutturali, misure di contrasto alla criminalità ed una efficace tutela della produzione nazionale, costretta da un forsennato quadro di sfrenata globalizzazione ad inevitabili delocalizzazione, causando grosse sacche di disoccupazione ed una sempre più temibile esposizione alle mire espansionistiche di economie egemoni.
Di certo poi non renderà più agevole questo compito se in parlamento dovesse trovare ingresso senza quei giusti emendamenti il progetto di autonomia differenziata così come è stata disegnata dal ministro Calderoli.

Ci auguriamo che siano attivate sapientemente tutte quelle misure compensative capaci di controbilanciare il consistente divario tra i gettiti delle diverse regioni.

 

7. L’uso improprio dei Decreti Legge

Eravamo ancora nella prima Repubblica quando Cossiga, da Capo dello Stato, non smetteva di sottolineare l’abuso della decretazione d’urgenza per materie e settori che non trovavano nel presupposto del Decreto Legge alcuna giustificazione.

A più di trent’anni da quell’epoca, e nonostante i richiami della Corte costituzionale, la decretazione d’urgenza continua ad essere facile veicolo per introdurre nei serrati limiti temporali di conversione del provvedimento governativo, materie e fattispecie che non sono compatibili con tale strumento legislativo.

Per quanto anche l’attuale Presidente della Repubblica non abbia mancato di esercitare il suo vaglio critico nella sottoscrizione dei Decreti Legge presentati dal governo, sono molte le escamotage cui si ricorre per introdurre durante il suo iter legislativo tematiche non riconducibili ai presupposti della necessità e dell’urgenza.

Ci appelliamo ad una più corretta etica parlamentare per arginare questo fenomeno.

 

8. Referendum e Petizione popolare

Come è noto l’istituto del Referendum è da noi previsto solamente come pronuncia popolare abrogativa.

Esso riproduceva la giusta logica che una Carta costituzionale che poneva al centro il parlamento non aveva di che replicarsi in interpelli popolari propositivi per regolamentare vuoti normativi.

La crescente perdita di credibilità delle istituzioni parlamentari, sempre più subalterne alla pessima consuetudine di agire in ogni campo con le decretazioni d’urgenza( D.L) ha finito per assorbire molta parte del confronto parlamentare, nella conversione in legge dei Decreti, perdendo quel ruolo di mediazione delle istanze del paese veicolate dalle proposte di legge dei rappresentanti di maggioranza e opposizione, presupposto di regolamentazioni assai meno divisive.

L’introduzione del Referendum propositivo potrebbe spingere l’istituzione parlamentare a prendere in considerazione aspetti della realtà non sufficientemente disciplinati.

Lo stesso istituto del Referendum abrogativo andrebbe meglio commisurato nel quorum sulla scia della consolidata tendenza di buona parte del corpo elettorale a non trovare più interesse a recarsi a votare.

Del resto l’ultima consultazione nazionale di settembre scorso ha sancito l’ulteriore trend in discesa, essendosi recato a votare poco più del 50 per cento dell’elettorato.

Un astensionismo assai preoccupante cui evidentemente in nessun modo, ad oggi, i partiti sono stati in grado di fronteggiare con le loro proposte politiche.

Con il paradossale risultato che questa maggioranza non rappresenta che circa il 30 per cento dell’elettorato.

Se Alexis de Tocqueville, che mise sapientemente sotto la sua serrata analisi i meccanismi della Democrazia americana, si fosse imbattuto in un quadro politico simile allo stato del nostro attuale sistema politico, sicuramente avrebbe avuto qualche difficoltà a definire democrazia un simile paradosso fondato su una sorta di “tirannia della minoranza”.

Quanto all’istituto della petizione popolare, strumento propositivo ma senza una effettiva incidenza, manca un’efficace previsione di obbligo di calendarizzazione e di emanazione del relativo testo entro l’ordinaria legislatura.

Non sarebbe ultronea una migliore regolamentazione di questo prezioso atto di impulso popolare. 

 

9. Magistratura e politica

Anche la Magistratura deve trovare una virtuosa sintesi nell’evitare i troppi magistrati, fuori ruolo, di fatto sottratti alle funzioni giurisdizionali.

Occorre che il CSM, organo di autogoverno della magistratura, recuperi tutta quella credibilità che ha in qualche modo perso a seguito di noti episodi, al momento ancora oggetto di inchieste penali, mediaticamente definiti come “sistema Palamara”, di cui c’è già ampia letteratura, in cui si tentavano improprie trattative tra togati e politici in occasioni di nomine di vertice di taluni Uffici giudiziari.

Episodi, di cui ovviamente attendiamo l’esito delle inchieste giudiziarie, che hanno portato, nel precedente CSM, alle dimissioni di alcuni componenti togati.

Occorre perciò recuperare il giusto rapporto di fiducia tra magistratura e politica onde evitare che legittime proposte, come la separazione delle carriere, finiscano per innescare una ingiusta crociata contro il potere giudiziario.

L’obiettivo, a parte i tanti altri aspetti, appare poi strettamente collegato al concreto bilanciamento del rapporto tra i poteri dello Stato come disegnato dalla Costituzione.

Questo, tra le altre cose, presuppone che la politica sappia intercettare le nuove realtà che l’evoluzione e il progresso sociale spesso affacciano, per non lasciare vuoti normativi.

Pur riconoscendo che talune materie, soprattutto in tema di tutela della vita e della natalità, non sono facilmente agibili se non in un quadro di saggia composizione dei valori come sancito dalla nostra Carta costituzionale, governo e parlamento non possono lasciare per lungo tempo vuoti normativi, idonei solo a creare fattispecie comportamentali le più disparate con il rischio di compromissione di situazioni giuridiche talora meritevoli di tutela.

 

10. Governo, lentezza della Giustizia e politica criminale 

C’è la tendenza a rispondere, anche di recente in occasione dei noti imbrattamenti di opere d’arte e di palazzi storici, ai comportamenti illeciti con immediato inasprimento delle pene.

Così esponendo spesso il sistema sanzionatorio a palesi sbilanciamenti delle pene previste in rapporto ad altre fattispecie criminose.

Una consuetudine, ascrivibile all’esigenza artificiosa di rispondere affrettatamente, ricorrendo alla decretazione d’urgenza, a frequenti recidive comportamentali, anche se talvolta di non grande allarme sociale, che rivela un’idea impulsiva e populista di politica criminale che, se, da una parte, spesso non attutisce l’entità del fenomeno criminale da arginare, non si mostra neanche in linea con la giusta esigenza di mantenere un ragionevole bilanciamento del sistema sanzionatorio, come spesso richiamato dalla Corte Costituzionale.

In questa direzione si iscrive l’articolata critica di questi giorni da parte dell’attuale presidente della Consulta, prof.ssa Silvana Sciarra.

Appare evidente che occorre trovare altri modelli di dissuasione e risposta, non necessariamente collegati alla pena edittale, a comportamenti recrudescenti, penalmente rilevanti.

Permane invece sostanzialmente l’annosa lentezza dei processi in sede civile e penale, mentre è prevedibile che neanche la recente riforma Cartabia avrà l’effetto di riportare tempi ragionevoli nel breve periodo.

 

11. Principio di non colpevolezza e diritto di cronaca

La recente riforma Cartabia che ha di fatto vietato ogni pubblicazione sulla stampa di notizie su indagini penali in corso, senza che vi sia stata l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica per garantire l’effettiva attuazione del principio di non colpevolezza(art. 27 Cost.) fino a sentenza definitiva, ha creato, una sorta di “oblio di Stato”, così definito da rappresentanti dell’informazione, su tutti i procedimenti penali in corso, ed ha di fatto desertificato l’informativa giornalistica sulle indagini penali e sui processi, fino a sentenza definitiva.

Un duro colpo al sacrosanto diritto di cronaca?

Forse andrebbe meglio bilanciata la tutela della presunzione d’innocenza( per la cui giusta osservanza abbiamo avuto un formale richiamo dall'Ue) con l’altro valore da salvaguardare, appunto, il diritto di cronaca( art.21 Cost.), anch’esso di rilievo costituzionale.

Occorre però uscire da certi cliché giornalistici che da tangentopoli in poi ci hanno portati spesso all’ automatica assimilazione dell’indagato con il colpevole del fatto, fino a rendere irrilevante la notizia dell’esito effettivo del processo, soprattutto se concluso con pronuncia assolutoria.

Appare pertanto opportuno, pur salvaguardando concretamente la presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva, contemperare meglio i due principi tenendo conto del cruciale ruolo riconosciuto all’informazione in democrazia, in quanto incomprimibile strumento di conoscenza delle realtà quotidiane e fattore di coscienza critica, pur se la tendenza alle concentrazioni non aiuta il pluralismo dell’informazione.

 

12. PA: qualità delle procedure e investimenti, un binomio inscindibile

È sempre più evidente l'inscindibilità del binomio tra procedure snelle e rapide e crescita degli investimenti non solo del nostro sistema imprenditoriale.

L’Italia continua a contare un basso tasso di investimenti, sia interno che estero, per l'elefantiaco sistema burocratico che deprime le migliori intenzioni di investire nel nostro paese.

Ciò risulta aggravato dalla lentezza del nostro sistema giudiziario nel dare risposte celeri e certe in breve tempo sui contenziosi cui vanno incontro i rapporti d’impresa.

Non è pertanto più rinviabile la riforma della PA e il superamento di tutte quelle procedure farraginose e i passaggi talora evitabili da un ufficio ad un altro, per liberare le tante potenzialità del sistema imprenditoriale, non solo interno, che spesso per non farsi macerare da mesi o anni di incomprensibili logiche burocratiche preferisce investire in altri paesi dove il disbrigo delle pratiche si risolve in poco tempo.

Esso pur essendo un punto assai rilevante del Pnrr, non pare aver trovato finora, nell’ambito di una  riconversione digitale, un grande e convincente progetto attuativo.

 

Luigi Rapisarda