di Ettore Bonalberti
La mia nota sui “cattodestri” ha stimolato la reazione di alcuni amici che sostengono il governo Meloni. Particolarmente interessante quella di Gianfranco Rotondi, “ il miglior fico del bigoncio”, il quale ha replicato così: Carissimo Ettore, ho già letto il tuo pezzo, e non mi riconosco nei ‘cattodestri’ , avendo frequentato Sullo, Gerardo Bianco, Donat Cattin, e dunque avendo respirato sinistra sociale cattolica a piene mani. Non potrei essere sospettato di simpatie per i nostalgici del fascismo, né per il MSI, della cui storia mi affascinavano solo alcune tesi di Pino Rauti, che ho avuto la fortuna di conoscere e frequentare assieme a Gerardo Bianco, che ne apprezzava lo spessore di latinista insigne.
Suvvia, Ettore: ho troppa stima di te e della tua storia per allinearti allo schemino propagandistico della Schlein, ‘di là ci sono gli eredi del MSI, dunque dovete stare tutti con me’. Fondare una proposta politica su un dato falso è un errore, anzitutto per chi la propone: Giorgia Meloni non è mai stata iscritta al MSI, è entrata in politica con An, dopo il congresso di Fiuggi, che del MSI fu il rinnegamento, al punto che il mio amico Rauti non vi aderì. Assieme a Finì, Giorgia Meloni entrò nel Pdl di Berlusconi, di cui fu ministro giovane e stimato anche a sinistra , accolta - per dire- persino alla prima edizione del Gay Pride come ministro della Gioventù di vedute aperte e pragmatiche.
Questa evoluzione fu possibile perché Berlusconi riempì lo spazio lasciato pericolosamente vuoto dalla Dc, a causa della diserzione proditoria degli uomini della sinistra interna . E Berlusconi fu aiutato , su questa strada, dalla decisione del Partito Popolare di scegliere il centrodestra , con un voto traumatico provocato dal segretario Buttiglione, che ricevette - in una notte memorabile - il sostegno mio e tuo, come ricorderai.
Dobbiamo mantenere l’orgoglio di una scelta strategica che riunisce la storia democristiana e quella del centrodestra , raccontando ottanta anni di progresso italiano nel segno della alternativa agli statalisti. Se in questa stagione alla guida c’è una donna di destra , non deve dispiacerci, né dobbiamo cambiare schieramento perché al vertice non ci sta uno di noi. Magari io e te non lo vedremo , o forse sì, ma chissà che un domani al posto della Meloni non ci sarà qualcuno dei ragazzi democristiani che intervengono con impertinenza su su questo profilo. Con l’affetto di sempre ti saluto, Gianfranco.
In un articolo di diversi mesi fa avevo scritto le ragioni per cui “Fratelli d’Italia non è la nuova DC”. Le riassumo brevemente: Questo partito non è e non potrà mai essere una nuova DC, dato che le sue radici etico culturali e politico organizzative sono distanti anni luce dalla nostra storia e tradizione etica, culturale, sociale e politica.
I riferimenti culturali dell’On Meloni, per quanto si è potuto sin qui comprendere, dalle sue dichiarazioni pubbliche o dalla lettura del suo libro autobiografico: “Io sono Giorgia. Le mie radici, le mie idee”, non sono, né potranno mai essere le nostre. Difficile, se non impossibile, trovare elementi di omogeneità culturali tra chi si considera erede della tradizione sturziana e degasperiana, con una leader che si collega a Julus Evola, così caro alla cultura neofascista almirantiana e missina, e ha deciso di scegliere Roger Scruton, filosofo conservatore morto nel 2020 o lo scrittore della “Filosofia infinita”, Micheal Ende, inventore del protagonista, il piccolo Atreju, nel riferimento al quale, Fratelli d’Italia ogni anno organizza il suo incontro di approfondimento formativo.
Gli eredi della Democrazia Cristiana, lontani da queste ideologie, hanno come riferimenti essenziali, gli orientamenti pastorali della dottrina sociale cristiana: dalla Rerum novarum alle ultime encicliche sociali di Papa Francesco: Laudato SI e Fratelli Tutti e i principi di solidarietà e sussidiarietà scritti dai nostri padri fondatori nella Costituzione repubblicana.
Il nostro vero compito è e sarà proprio quello di tradurre nella città dell’uomo quei principi, adattandoli alle esigenze di questo difficilissimo tempo della globalizzazione dominante, oggi stravolta dalle pericolose capriole trumpiane. Dobbiamo rifuggire da ogni facile tentazione di ridurci al ruolo di ruota di scorta della destra o della sinistra italiana, ma, semmai, impegnarci, a partire dalle nostre realtà locali, a favorire la ricomposizione al centro della nostra area cattolico democratica e cristiano sociale. Il tempo della diaspora e della nostra Demodissea finirà, se ciascuno di noi si farà portatore di questa necessità e sostenitore di questo impegno.