C’era una volta il partito unico dei cattolici. Ora rimangono i resti di un frammentarismo insignificante, irrilevante, evanescente ed esiziale dei cattolici in politica.

Non possono esistere luoghi differenti dell'impegno sociale e politico per i cattolici; non si può vivere la fedeltà ai valori della persona e della comunità sparsi come rivoli destinati ad approdare a differenti mari.

Mi sembra una logica stringente. Anche perché è difficile pensare che ciascuno, all’interno di coalizioni che non assumano apertamente, evidentemente, marcatamente il riferimento ai valori cattolici nella gestione della res pubblica, consentano l’esercizio della libertà di coscienza soprattutto quando i numeri non lo permettono.

La Chiesa ha un'alta stima per la genuina azione politica; la dice "degna di lode e di considerazione" (Gaudium et spes, 75), l'addita come "forma esigente di carità" (Octogesima adveniens, 46). Riconosce che la necessità di una comunità politica e di una pubblica autorità è inscritta nella natura sociale dell'uomo e quindi deriva dalla volontà di Dio.

Di conseguenza, tutti gli uomini sono chiamati da Dio a vivere con responsabilità i propri doveri sociali e a perseguire lo sviluppo personale e comunitario anche nel compimento di tali doveri. Questo è oggi un diritto ampiamente accettato nella società.

Ma è anche un dovere, poiché libertà non significa soltanto mancanza di coazione o indifferenza nell'agire; la libertà è una formidabile energia, una fonte potenziale di progresso che non deve rimanere inattiva, né nelle singole persone, né nelle comunità e nei paesi. Anzi, la "salute" di una comunità politica si esprime, tra l'altro, «mediante la libera partecipazione e responsabilità di tutti alla cosa pubblica».

Nell'esortazione apostolica Christifideles laici, è scritto che la politica è la «molteplice e varia azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale, destinata a promuovere organicamente e istituzionalmente "il bene comune"». E poco dopo ricorda: «Una politica per la persona e per la società trova il suo criterio basilare nel perseguimento del bene comune, come bene di tutti gli uomini e di tutto l'uomo, bene offerto e garantito alla libera e responsabile accoglienza delle persone, sia singole che associate».

Queste frasi sintetizzano un costante insegnamento della Chiesa: lo scopo immediato della politica è quello di promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune. Perciò la politica, ad ogni suo livello, non va considerata soltanto come un metodo per costituire, consolidare ed esercitare il potere pubblico; né va vista come una procedura tecnica per il buon andamento di quanto corrisponde alla natura, alla finalità, ai mezzi e alle forme di organizzazione dello Stato.

La politica è soprattutto un servizio al bene comune, che necessariamente include il bene integrale di ogni persona. Parlando di bene comune ci si riferisce al bene comune politico, come spesso accade nell'insegnamento sociale cristiano. Tale bene non abbraccia, di conseguenza, tutto il bene umano, neanche quello proprio di questa vita. Deve tener conto però dell'uomo nella sua integrità, che non è soltanto materiale, ma anche e soprattutto spirituale e morale.


Oggi si assiste a una crescente spoliticizzazione dei cittadini, che si manifesta con una indifferenza generalizzata verso i problemi che riguardano la società (a condizione che essi non ledano gli interessi personali). L'uomo appare ipersensibile di fronte a ciò che lo riguarda personalmente, e incredibilmente apatico nei confronti del bene comune. La causa principale di tale atteggiamento è forse la perdita di significato della vita personale e sociale, per cui le persone tendono a rifugiarsi nell'immediato e nell'effimero.


In definitiva la spoliticizzazione sembra essere dovuta, soprattutto, a cause morali e culturali. Una ragione in più per impegnarsi seriamente e con un alto profilo etico nell'ambito dell'attività politica. Il cristiano coerente non può disinteressarsi di tale attività, non può essere succubo della passività o della rassegnazione in questa sfera così importante per il bene di tutti gli uomini.

La partecipazione alla vita politica è un diritto e un dovere, che ognuno dovrà assumersi a seconda delle personali competenze e delle proprie condizioni, ma senza cessioni né scoraggiamenti.

 

  1. La politica come vocazione

Nella nostra società è sempre più facile emettere un giudizio negativo sulla attività politica e sulle persone che si occupano di essa. Non v’è dubbio che la politica sia necessaria e una società che non la apprezza si pone in una situazione di pericolo democratico. Si legge in Deus caritas est di Benedetto XVI che “il giusto ordine della società e dello Stato è compito centrale della politica” (28, a)

Gli abusi che nell’esercizio dell’attività politica si possono produrre non debbono essere l’albero che non ci permette di vedere il bosco di tutti coloro che, motivati da una aspirazione di giustizia e di solidarietà, lottano in favore del bene comune e intendono la loro attività come servizio e non come mezzo per soddisfare la propria ambizione personale. Fare politica deve essere considerato come una vera vocazione al servizio del bene comune.

Il Concilio Vaticano II sottolinea la grandezza della attività politica. “La Chiesa stima degna di lode e di considerazione l'opera di coloro che, per servire gli uomini, si dedicano al bene della cosa pubblica e assumono il peso delle relative responsabilità” (GS 75). Già precedentemente il Papa Pio XI aveva affermato che “niente, al di fuori della religione, può essere superiore al campo della politica che si riferisce agli interessi di tutta la società, che da questa prospettiva, è la forma più alta della carità, la carità politica”. (Discorso alla Fuci, 1927)

L’attività politica in se stessa ha una grande dignità morale e quando è esercitata come atto di impegno personale per il bene della società esige generosità e disinteresse. L’impegno politico vissuto in questa maniera – specialmente quando è motivato da uno spirito cristiano – è stato qualificato come una dura scuola di perfezione e come un esigente della virtù e certamente la dedizione alla vita politica deve essere riconosciuta come una delle più alte possibilità etiche e morali e professionali dell’uomo. 

Le attuali società democratiche esigono nuove e più vaste forme di partecipazione dei cittadini, cristiani e non cristiani nella vita pubblica. Poiché la vita in un sistema democratico non può svilupparsi profittevolmente senza una attiva, responsabile e generosa partecipazione di tutti.

I laici cristiani sono Chiesa e partecipano dell’unica missione di essa tanto nel senso della comunità ecclesiale quanto nel mondo. Il campo proprio dell’attività dei laici, come ricorda il Concilio Vaticano II quando afferma che “il carattere secolare è proprio e peculiare dei laici”. Ai laici "quindi particolarmente spetta di illuminare e ordinare tutte le realtà temporali, alle quali essi sono strettamente legati, in modo che sempre siano fatte secondo Cristo, e crescano e siano di lode al Creatore e al Redentore" (LG 31).

Ancora il Concilio dopo aver insistito sulla necessità che "i laici assumano la instaurazione dell'ordine temporale come compito proprio", il Decreto sull'apostolato dei laici aggiunge che nella loro azione diretta e specifica essi devono essere "guidati dalla luce del Vangelo e dal pensiero della Chiesa, e mossi dalla carità cristiana" (AA 7).

Il papa san Paolo VI stabilì una priorità nella funzione ecclesiale dei laici affermando che “Il loro compito primario e immediato non è l'istituzione e lo sviluppo della comunità ecclesiale — che è il ruolo specifico dei pastori — ma è la messa in atto di tutte le possibilità cristiane ed evangeliche nascoste, ma già presenti e operanti nelle realtà del mondo" (Evangelii nuntiandi 70).

Mediante il compimento dei suoi doveri civili comuni i laici cristiani – uomini e donne – sono chiamati ad animare cristianamente l’ordine temporale e in nessun modo possono abdicare dalla loro partecipazione alla vita pubblica. E devono evitare la tentazione lasciare da parte le proprie responsabilità per essere come il lievito nella massa del mondo compiendo le proprie responsabilità in ambito professionale. Sociale, economico, culturale e politico.

 

  1. L’attività politica e l’ordine morale

L’attività pubblica, come la politica, non può essere esclusa dalle esigenze etiche. Ci sono dei principi propri della coscienza cristiana che devono ispirare l'impegno sociale e politico dei cattolici nelle società democratiche. La partecipazione alla vita pubblica pone ai cristiani un duplice compito. Conoscere e rispettare la natura, le leggi e le finalità proprie della vita politica, e conoscere e rispettare le esigenze inderogabili della coscienza cristiana in tale ambito.

Di fronte alla poca autostima che la fede ha portato alla vita cristiana e al bene comune, merita di leggere il quarto capitolo della enciclica La luce della fede di Papa Francesco. In questo capitolo, scrive il Papa, “Quanti benefici ha portato lo sguardo della fede cristiana alla città degli uomini per la loro vita comune! Grazie alla fede abbiamo capito la dignità unica della singola persona, che non era così evidente nel mondo antico …. [Ma] Quando questa realtà viene oscurata, viene a mancare il criterio per distinguere ciò che rende preziosa e unica la vita dell’uomo. Egli perde il suo posto nell’universo, si smarrisce nella natura, rinunciando alla propria responsabilità morale, oppure pretende di essere arbitro assoluto, attribuendosi un potere di manipolazione senza limiti” (54)

E' noto a tutti il relativismo culturale che si manifesta nella difesa del pluralismo etico secondo il quale non vi è alcuna legge morale radicata nella natura stessa dell'essere umano che debba ispirare l'intera concezione dell'uomo, del bene comune e dello Stato perché promuova il bene della persona e l'esercizio dei loro diritti.

Detto questo, non possiamo dimenticare che ci sono principi morali oggettivi e assoluti che hanno il loro fondamento nella dignità, inviolabilità e la libertà della persona umana e nella salvaguardia delle esigenze etiche fondamentali per il bene comune della società. Come ricorda il Concilio Vaticano II, "la norma suprema della vita umana è la legge divina eterna, oggettiva e universale".

La legge morale naturale si fonda, in ultima istanza in Dio, e in prima istanza nell’uomo come essere spirituale, intelligente, libero e responsabile. Così, anche quelli che non ammettono Dio, ma considerano che l'uomo ha un valore assoluto e deve sempre essere trattato come un fine e mai come un mezzo, possono accettare i valori della morale naturale.

Tutti i cittadini, soprattutto i politici, dovrebbero contribuire alla vita politica e sociale secondo la concezione della persona e del bene comune che considerano umanamente veritiera e corretta, utilizzando tutti mezzi leciti che l'ordinamento giuridico democratico mette a disposizione di tutti membri della società. Se stabiliranno leggi ingiuste o prenderanno misure contrarie all'ordine morale, tali disposizioni non potranno essere vincolanti in coscienza.

Nessun politico, e ancor meno un politico cristiano, può prendere in considerazione l'idea relativistica che tutte le concezioni sul bene dell'uomo sono ugualmente vere e hanno lo stesso valore. E ciò senza intaccare il principio di libertà nell’esercizio della loro attività politica.

Si legge ancora nel documento citato: “Se togliamo la fede in Dio dalle nostre città, si affievolirà la fiducia tra di noi, ci terremmo uniti soltanto per paura, e la stabilità sarebbe minacciata … Saremo noi a non nella nostra vita pubblica, a non proporre la grandezza della vita comune che Egli rende possibile? La fede illumina il vivere sociale; essa possiede una luce creativa per ogni momento nuovo della storia, perché colloca tutti gli eventi in rapporto con l’origine e il destino di tutto nel Padre che ci ama” (55).

Queste premesse ─ che sempre debbono/dovrebbero (!) stare davanti agli occhi dei pubblici amministratori per la ricerca del bene comune ─ facilitano il compito di riflettere su una questione in discussione in questi giorni. Si parla in ogni dove, sia a sproposito che a proposito della legge che determinerà le modalità democratiche dell’atto supremo del popolo sovrano nel momento della scelta dei propri rappresentanti. La legge elettorale. Il motivo del mio intervento è solo quello di considerare in termini etici e morali le differenti ipotesi che sembrano connotare l’approvazione della prossima legge elettorale.

La legge elettorale è una cosa seria e merita l’assoluta attenzione etica e morale di coloro che ci accingono ad approvarla. Il bene comune dovrebbe e deve essere il file rouge che la ispira, non giochetti di parte e/o di partito; non altri calcoli, non altre finalità.

Sono quattro i punti che vorrei confrontare con la morale, l’etica e il bene comune.

Il primo punto è se il proporzionale sia così deleterio. E’ proprio vero che sia deleterio un eccesso di democrazia che porta sì a una proliferazione di partiti e partitini. Ma l’eccesso di democrazia è davvero pericoloso? E’ chiaro che questo invocherebbe poi il ricorso alle coalizioni, ma è certo che il popolo sovrano sarebbe rappresentato.

Il secondo punto è quello dello sbarramento. Quale soglia può essere considerata etica e morale? Mentre non spetta allo scrivente esprimere cifre, spetta alla considerazione morale mettere in guardia il legislatore dall’evitare calcoli opportunistici al fine di stroncare le piccole aggregazioni che potrebbero – ad esempio - rappresentare anche quel grande partito degli astensionisti che non si sente rappresentato dalle grandi coalizioni in corsa. La soglia di sbarramento per essere etica e morale dovrebbe essere assai vicina a una realtà che mentre fa evitare lo sbriciolarsi di percentuali che si attestano attorno all’1 o al 2%, tutela i partiti minori e consente a essi di entrare nell’agone politico. Elevare eccessivamente tale soglia significherebbe escludere milioni di votanti dal partecipare al gioco politico. Lo sbarramento “alto” favorirebbe solo i partiti maggiori, ma sarebbe pur sempre un vulnus alla manifestazione della volontà dell’elettorato. E questa deve essere tutelata perché la competizione sia etica e mortale, ancor prima che democratica.

Analogo discorso deve essere fatto in merito al premio di maggioranza. L’attribuzione di un grande coefficiente quale premio di maggioranza equivarrebbe a un’operazione certamente non rispondente alla volontà dell’intero Paese votante. Se un partito o una coalizione raggiunge il 36-38% non può moralmente e eticamente governare come se avesse conquistato il 51%! Il Popolo sovrano NON ha attribuito a quella forza politica un successo così alto. Anche la recente sentenza della Corte Costituzionale ha detto: fatelo, ma non esagerate! Tutto ciò sarebbe antidemocratico o forse anticostituzionale, piaccia o non piaccia ai fautori della governabilità. Occorre costringerli a un accordo.

Quarto punto: la scelta dei candidatiIl candidato deve essere scelto dagli elettori, non dal Segretario del partito. Con ciò intendo dire che neppure le liste dei candidati devono essere decise dai partiti. Avrebbe assai poco senso che il popolo sovrano abbia facoltà di esprimere la propria preferenza nei confronti di candidati che egli non conosce perché scelti dai segretari di partito e pochi altri. Se si deve por mano a una legge elettorale etica, morale e finalizzata al bene comune allora la via regia è quella delle elezioni primarie. 

Ogni cittadino deve avere facoltà di candidarsi. Si iscriverà, pertanto nelle liste delle primarie di ogni singolo partito e i segretari di partito dovranno prendere atto della volontà assoluta del popolo sovrano mettendo in lista coloro che hanno ottenuto il numero maggiore dei suffragi. Tra questi l’elettorato esprimerà nuovamente la propria preferenza al momento delle elezioni politiche. Questa è l’unica via etica e morale. E il popolo sovrano dovrà in tal modo assumersi tutta la responsabilità dei candidati e della loro elezione.

Mi auguro che di fronte a queste gravi questioni prevalga la ricerca del bene comune veicolato dal principio dell’etica e della morale sociale.

 

  1. Vita politica e teologia

Il cielo è così distante dalla terra e viceversa? Sembra di no. Che la politica – sia a livello nazionale che locale – stia conoscendo picchi di grave immoralità è sotto gli occhi di tutti e da tutti vista. E’ ricorrente la riproposta della antica “questione morale” della vita pubblica. E nonostante tutto il degrado della politica è sotto gli occhi di tutti. Ed è degrado politico anche lo sparare nel mucchio attraverso le azioni della magistratura ... Quante persone sono rovinate dall’ io credevo ..... 

Al contrario, la vita politica è uno tra i luoghi privilegiati dove il cristiano può verificare la propria fede, prendendo parte attiva nelle pubbliche istituzioni che la società si è date.

E’ tuttavia urgente che tutte le frontiere del pensiero tribùtino alla politica la sua condizione virtuosa che ravvisarono in essa i filosofi greci e che i grandi pensatori di ogni tempo hanno tentato invano di recuperare.

In verità credo sia doveroso ridire che la politica è una delle virtù pubbliche che dobbiamo tutti praticare se volgiamo moralizzare la società. Senza la pratica delle virtù pubbliche non c’è davvero redenzione della persona umana.

In questo senso si parla della opportunità che la virtù emerga dal fondo dell’anima per rendere la virtù laica. I filosofi attuali che si occupano di etica insistono sul fatto che la politica deve essere onesta e sensibile nei confronti delle carenze della società. In tal senso la politica si può qualificare la massima espressione della carità, come ebbe a dire Paolo VI.

Diceva don Milani che: "La giustizia senza la carità è incompleta; ma la carità senza la giustizia è falsa."

A partire dalla affermazione del Papa la politica non è mai stata troppo presente nella riflessione teologica. E’ stato il Concilio Vaticano II che con la Costituzione Pastorale Gaudium et Spes iniziò a prestare molta attenzione a una vera teologia politica.

La vita che vivono gli uomini e le donne nel mondo è lo scenario nel quale si sviluppa la storia della salvezza perché il Dio della Bibbia si rivela in essaAlla luce di Gaudium et Spes è possibile sostenere che la teologia ha quale priorità di servire la vita degli uomini e delle donne, credenti e non, santi e peccatori.

 

  1. Per una spiritualità della politica

La spiritualità è una vita secondo lo Spirito che tende ad abbracciare tutta l’esistenza. La spiritualità è la Scienza dell'Anima o vera religione dello spirito, È un processo interiore dello spirito. La Spiritualità è un'eredità comune dell'umanità intera, universale nella sua accessibilità, illimitata nella sua portata e libera dalle restrizioni dovute al credo, alla fede e alle nozioni religiose professate da ciascuno.

“La pietà – scrisse Sturzo agli inizi del secolo scorso – non consiste nel passare tutte le ore a recitar preghiere, ma principalmente nell’abito virtuoso dell’umiltà, nell’esercizio della presenza di Dio, nel desiderio di patir per Gesù Cristo e per lui mortificare se stesso, nell’ordinare tutto a Dio come a fine ultimo” (L. Sturzo, Scritti inediti, vol. I 5 Lune, Roma 1974, 231).

L’impegno sociale dei cristiani presuppone una spiritualità incarnata.

4.1. La fede e l’impegno sociale e politico del credente

Il problema dei rapporti fra fede e impegno sociale e politico costituisce uno dei nodi principali della odierna vita ecclesiale e trova ampie risonanze nel più vasto dibattito culturale e politico presente nella nostra società.

Questo interesse testimonia che il cristianesimo è un messaggio di salvezza che si incarna nella storia e si rivolge all’uomo integralmente universalmente preso, per illuminare e guidare tutta l’esperienza umana alla luce della fede in Cristo, della speranza nella vita eterna, dell’amore verso Dio e verso il prossimo.

Don Luigi Sturzo fu definito dal Santo Padre Giovanni Paolo II nel suo discorso all’Università di Palermo “infaticabile promotore del messaggio sociale cristiano ed appassionato difensore delle libertà civili” e indicato dallo stesso Pontefice come modello ai sacerdoti nel “loro apostolato di evangelizzazione e di promozione umana”[discorso ai vescovi siciliani del 1981].

4.2. Il mistero dell’Incarnazione come fondamento teologico dell’impegno sociale del credente

L’impegno sociale del cristiano trova il suo fondamento nel fatto che Dio in Gesù Cristo si è incarnato, si è fatto uomo. Dunque non si può sfuggire alla storia, alla promozione della dignità della persona umana, all’impegno per la giustizia, per la pace, per la salvaguardia del creato. La storia umana, attraverso l’eucaristia, si trasforma in storia salvifica per riconciliare gli uomini tra loro e con Dio.

A partire dal mistero dell’incarnazione di Gesù Cristo in cui la natura umana e quella divina sono unite nell’unica persona del Verbo “senza confusione e separazione” bisogna evitare i due errori opposti

-        il monofisismo pratico che confonde fede e impegno sociale fino a identificarli sfociando nell’integrismo,

-        il nestorianesimo pratico che separa fede e vita sociale sfociando in un dualismo di stampo laicista.

Si tratta di stabilire un equilibrio non facile, ma necessario.

Jacques Maritain parlando del pensiero e dell’attività sociale e politica di don Luigi Sturzo la sintetizza in questi termini: “In lui l’attività temporale e la vita spirituale erano tante più perfettamente distinte in quanto intimamente unite, nell’amore e nel servizio di Cristo” (J. Maritain, “Hommage à Don Sturzo” in F. Della Rocca, Itinerari sturziani, Ed. di Politica Popolare, Napoli 1958).

Scrisse don Luigi Sturzo: “Ogni separazione in Cristo dell’uomo da Dio, come ogni separazione nell’uomo della natura dalla sopra-natura, ci fa cadere nell’irreale; perché non esiste un Cristo solo uomo, come non esiste l’uomo solo natura. L’umanità di Cristo è assunta dalla divinità, la natura dell’uomo è elevata dalla grazia (...). L’umanità fin dal primo inizio dell’elevazione alla grazia con Adamo, vive nell’atmosfera del soprannaturale” (Cristo Re e l’apostasia dal Cristo, in Problemi spirituali del nostro tempo, Zanichelli, Bologna 1961, 163).

È a partire dal mistero dell’Incarnazione che si deve stabilire un rapporto tra Chiesa e mondo, come è messo in evidenza nel prologo della Gaudium et spes: La Ciesa non è mossa da alcuna ambizione terrena; essa mira a questo solo: a continuare, sotto la guida dello Spirito Santo paraclito, l’opera stessa di Cristo, il quale è venuto nel mondo a rendere testimonianza alla verità, a salvare e non a condannare, a servire e non a essere servito.

4.3. L’urgenza dell’evangelizzazione del sociale

L’urgenza dell’evangelizzazione del sociale e del conseguente impegno politico deriva dalla necessità di superare la frattura fra Vangelo e cultura e di rendere effettivo l’impegno di amore verso il prossimo.

I grandi statisti cristiani hanno concepito la propria attività sociale e politica come esigenza e manifestazione dell’amore cristiano strettamente collegato con la giustizia, considerato non come un valore astratto, ma come il principio ispiratore dell’azione concreta.

In tal senso l’amore per il prossimo non mai è un epidermico sentimento di filantropia, né dettato da un superficiale sentimentalismo, ma è un amore consapevolmente cristiano che è fondato come sulla “fratellanza comune per la divina paternità”. (Luigi Sturzo)

L’urgenza di evangelizzare il sociale scaturisce dalla necessità di rispondere alla sfida della società contemporanea nella quale si afferma la tendenza a privatizzare la fede nell’ambito sociale e a considerare irrilevanti anche per la stessa vita personale i valori morali assoluti.

Disse Giovanni Paolo II a Loreto: “L’evangelizzazione deve entrare nel vivo della storia e nel tessuto concreto dell’esistenza: conoscere la vita dell’uomo, le sue contraddizioni, i problemi nuovi che lo toccano da vicino, svelarne il senso e fare esercizio di sapienza cristiana, traducendo in progetti e in concretezza di analisi, secondo la legge dell’incarnare”. Evangelizzare il lavoro, l’economia e la politica non è soltanto un diritto incontestabile per la Chiesa, è anche ed anzitutto un dovere che nasce dal suo essere mandata da Gesù Cristo, redentore dell’uomo, a salvare tutto l’uomo e tutti gli uomini.

Annunciare il messaggio del Vangelo, porlo costantemente in rapporto con il lavoro, l’economia e la politica, conformare queste stesse realtà al messaggio evangelico: sono questi i criteri fondamentali dell’evangelizzazione del sociale, che devono ispirare e orientare la formazione all’impegno sociale e politico di coloro che voglio mettersi a servizio della politica come la “più alta forma della carità”.

4.4. La formazione della coscienza dei cristiani e delle comunità alla responsabilità, alla moralità e alla legalità.

L’affievolirsi del senso della legalità nelle coscienze e nei comportamenti denuncia una carenza educativa non solo nella formazione sociale dei cittadini, ma anche nella stessa formazione personale. L’educazione alla legalità deve sempre essere coniugata con l’educazione alla socialità e ad una cittadinanza responsabile.

Nasce da queste istanze l’esigenza della preparazione di soggetti sociali e politici all’altezza dei tempi. Le comunità cristiane e le aggregazioni ecclesiali sono state in passato luoghi e occasioni per preparare uomini che, con onore e competenza, hanno esercitato il potere politico, democraticamente assunto, nella ricerca del bene comune. La storia del movimento cattolico lo documenta. Le comunità cristiane non possono permettere ora che un simile patrimonio venga disperso.

Il compimento della formazione all’impegno sociale e politico per il cristiano è lo sviluppo di una vera e propria “spiritualità”. Elemento essenziale di tale spiritualità è l’impegno a vivere la profonda unità tra l’amore di Dio e l’amore del prossimo, tra la preghiera e l’azione, tra la vita “spirituale” e la vita “secolare”.

La proposta della spiritualità è la proposta più appropriata e urgente che la comunità ecclesiale deve fare ai cristiani chiamati a vivere la fede e la carità sul fronte arduo della politica e della gestione delle istituzioni pubbliche. Non c’è dubbio, infatti, che solo una spiritualità radicata saldamente nell’ascolto della parola, nella preghiera, nella celebrazione dei sacramenti e nella vita di grazia, può aiutare il cristiano a coniugare la carità verso i fratelli e il rispetto delle leggi, l’attenzione alle persone e l’efficacia operativa, l’ascolto di tutti e la capacità decisionale.

Da questa spiritualità il cristiano riceverà forza per resistere alle lusinghe del potere fine a se stesso e del facile arricchimento personale e di gruppo.

Chi è unito, da una profonda comunione, a Gesù Cristo, l’Uomo nuovo – Colui che incarnandosi in ognuno di noi e nella materia, è venuto per ricapitolare in sé ogni cosa e a propiziare l’avvento di “cieli e terra nuovi”, di società più fraterne

– non può trascinare la sua esistenza nella noia e nella disperazione. Porta in sé un’innata vocazione al sociale, l’impulso a collaborare con il Redentore nella trasformazione della convivenza e della politica.

Il nuovo umanesimo, di cui ha bisogno la nostra società ha il suo principio e il suo modello ispiratore nella comunità per eccellenza: la Trinità. Ogni persona, nella sua struttura d’essere e d’agire, è immagine della Trinità, ove il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, realmente distinti e realmente uno, sono comunione infinita d’amore. Perché immagini di Dio, ogni uomo e ogni donna sono chiamati a vivere nella comunione, nella reciprocità del dono, in un mutuo potenziamento d’essere. Realizzano sé stessi nella condivisione e nella comunicazione gratuita del proprio essere, impegnandosi a servire disinteressatamente l’altro.

4.5. La testimonianza di Alcide De Gasperi

Benedetto XVI, il 23 giugno 2009 ricevendo la Fondazione Alcide De Gasperi disse che egli “Seppe integrare bene spiritualità e politica e seppe prodigarsi efficacemente per il bene comune. Formato alla scuola del Vangelo, De Gasperi fu capace di tradurre in atti concreti e coerenti la fede che professava. Spiritualità e politica furono in effetti due dimensioni che convissero nella sua persona e ne caratterizzarono l’impegno sociale e spirituale. Spiritualità e politica si integrarono così bene in lui che, se si vuole comprendere sino in fondo questo stimato uomo di governo, occorre non limitarsi a registrare i risultati politici da lui conseguiti, ma bisogna tener conto anche della sua fine sensibilità religiosa e della fede salda che costantemente ne animò il pensiero e l’azione. Nel 1981, a cento anni dalla nascita, il mio venerato predecessore Giovanni Paolo II gli rese omaggio, affermando che “in lui la fede fu centro ispiratore, forza coesiva, criterio di valori, ragione di scelta” (Insegnamenti, IV, 1981, p. 861). Le radici di tale solida testimonianza evangelica vanno ricercate nella formazione umana e spirituale ricevuta nella sua regione, il Trentino, in una famiglia dove l’amore per Cristo costituiva pane quotidiano e riferimento di ogni scelta”.

Alcide De Gasperi fu affascinato dalla figura di Cristo. “Non sono bigotto – scriveva alla sua futura sposa Francesca – e forse nemmeno religioso come dovrei essere; ma la personalità del Cristo vivente mi trascina; mi soggioga, mi solleva come un fanciullo. Vieni, io ti voglio con me e che mi segua nella stessa attrazione, come verso un abisso di luce” (A. De Gasperi, Cara Francesca, Lettere, a cura di M. R. De Gasperi, Morcelliana, Brescia 1999, pp. 40-41).

Non si resta allora sorpresi quando si apprende che nella giornata di Alcide De Gasperi oberata di impegni istituzionali, conservarono sempre largo spazio la preghiera e il rapporto con Dio, iniziando ogni giorno, quando gli era possibile, con il partecipare alla Santa Messa. Anzi i momenti più caotici e movimentati segnarono il vertice della sua spiritualità.

Quando, ad esempio, conobbe l’esperienza del carcere, volle con sé come primo libro la Bibbia e in seguito conservò l’abitudine di annotare i riferimenti biblici su foglietti per alimentare costantemente il suo spirito. Verso la fine della sua attività governativa, dopo un duro confronto parlamentare, ad un collega del governo che gli chiedeva quale fosse il segreto della sua azione politica rispose: “Che vuoi, è il Signore!”.

La sua riconosciuta dirittura morale, basata su un’indiscussa fedeltà ai valori umani e cristiani, come pure la serena coscienza morale che lo guidò nelle scelte della politica gli fece dichiarare: “Nel sistema democratico viene conferito un mandato politico amministrativo con una responsabilità specifica …, ma parallelamente vi è una responsabilità morale dinanzi alla propria coscienza, e la coscienza per decidere deve essere sempre illuminata dalla dottrina e dall’insegnamento della Chiesa” (cfr A. De Gasperi, Discorsi politici 1923– 1954, Cinque Lune, Roma 1990, p. 243).

 

5. La dottrina sociale della Chiesa e l’impegno sociopolitico

Strumento privilegiato della formazione sociale e alimento di spiritualità è la conoscenza della dottrina sociale della Chiesa, che è parte integrante della sua missione.

La dottrina sociale della Chiesa, che scaturisce da un “incontro del messaggio evangelico e delle sue esigenze … con i problemi derivanti dalla vita della società”, mira ad uno sviluppo integrale ed universale cioè di tutto l’uomo e di tutti gli uomini. Gli ultimi Papi hanno insistito sul fatto che la dottrina sociale della Chiesa, che “fa parte essenziale del messaggio cristiano”, è parte integrante della “concezione cristiana della vita”, e come strumento di evangelizzazione deve essere conosciuta, diffusa e testimoniata.

La Chiesa, con la dottrina sociale, si tiene lontana dai due pericoli sempre incombenti:

- l’estraneazione dal mondo (pericolo dello spiritualismo)

- e la confusione col mondo (pericolo dell’integrismo o del temporalismo).

La parola che la Chiesa può e deve dire sulla vita e sui problemi del mondo è una parola di natura etica, che riguarda cioè il modo “giusto” di vivere e di affrontare i problemi sociali che toccano la vita dell’uomo. La parola etica che la chiesa offre ha il suo fondamento nel messaggio stesso della salvezza, che costituisce la ragion d’essere della chiesa e della sua missione.

Mediante la sua dottrina sociale la Chiesa “proclama la verità su Cristo, su se stessa e sull’uomo, applicandola a una situazione concreta”, facendo tesoro della sua costitutiva dimensione interdisciplinare, strettamente collegata con la finalità di incarnare l’eterna verità del Vangelo nelle problematiche storiche che l’umanità deve affrontare.

La dottrina sociale della Chiesa non è “un sistema chiuso”. Non lo è per due motivi:

  1. perché è storica, ossia “si sviluppa in funzione delle circostanze mutevoli della storia”:
  2. perché trae origine dal messaggio evangelico, che è trascendente e proprio per questa ragione è la principale “fonte di rinnovamento” della storia.

La scelta della chiesa non è, come in modo semplicistico si dice, “la terza via” tra capitalismo e socialismo, ma l’elaborazione di un punto di vista che trascende le opposizioni polari e di una politica che, ispirata dalla sua guida spirituale, realizza nella dimensione della storia la città umana, per “salvare la persona dell’uomo” in vista del suo destino soprannaturale.

L’obiettivo di tutta la dottrina sociale più che fare una sintesi delle posizioni della chiesa, è quello di disegnare una metodologia che possa aiutare i cristiani e le comunità cristiane a prendere coscienza del loro diritto e dovere di entrare nelle problematiche della società e del territorio di cui sono parte; senza fughe e senza commistioni.

Ogni comunità cristiana e ogni cristiano è chiamato a “leggere” quanto accade nel proprio tempo e nel proprio territorio e a prendere coscienza sia delle dinamiche degli eventi, sia del proprio coinvolgimento. La DSC offre i principi di riflessione, i criteri etici di valutazione e le indicazioni operative per entrare con responsabilità in una data situazione.

 

  1. La Chiesa ha qualcosa da dire alla politica?

Credo che la Chiesa abbia una parola da dire, ovviamente non in termini di schieramento, ma al fine di sollecitare una riflessione in vista del bene comune.

Fare politica deve essere considerato come una vera vocazione al servizio del bene comune.

La fede non è un'astrazioneEssa abita ogni persona “credente” nell'esperienza quotidiana. La Chiesa incoraggia i suoi fedeli laici a prendere coscienza della propria responsabilità nella comunità politica e a vivere in maniera matura e adulta la propria fede nella dimensione politica, evitando così il pericolo del divorzio tra fede e vita. Il Concilio Vaticano II sottolinea la grandezza della attività politica. “La Chiesa stima degna di lode e di considerazione l'opera di coloro che, per servire gli uomini, si dedicano al bene della cosa pubblica e assumono il peso delle relative responsabilità” (GS 75).

L’attività politica in se stessa ha una grande dignità morale e quando è esercitata come atto di impegno personale per il bene della società esige generosità e disinteresse. L’impegno politico vissuto in questa maniera – specialmente quando è motivato da uno spirito cristiano – è stato qualificato come una dura scuola di perfezione e come un esigente della virtù e certamente la dedizione alla vita politica deve essere riconosciuta come una delle più alte possibilità etiche e morali e professionali dell’uomo. 

Non penso far torto a nessuno se, dal mio punto di vista, mi soffermerò sull’impegno politico motivato da uno spirito etico e cristiano in nome del principio dell’incarnazione, che abiti la storia di oggi! Anche perché spesso sono in gioco principi non negoziabili, i cristiani in politica dovrebbero collaborare insieme per difendere la verità e il bene dell’uomo. 

Il primo impegno è proprio quello dell’impegnarsi tra gli uomini e in favore degli uomini, senza ambizioni e senza pretese. Si tratta di una “retorica dell’anima”, che dà senso alla suggestiva idea di realizzare l'incarnazione storica e politica del cristianesimo attraverso la costruzione di una società ispirata ai valori della giustizia e della solidarietà, fedeli al patrimonio fondamentale del cattolicesimo democratico per essere coscienza critica di questo Paese sempre più alla deriva non solo in quanto a valori, ma anche in quanto a progettualità e prospettive.

Essenziale sarà la riscoperta di una ideologia forte e autonoma che si ispiri con convinzione ai principi della Dottrina Sociale della Chiesa e dell’Umanesimo Cristiano, superando ogni idea di posizionamento geometrico e le costruzioni tradizionali del mondo della politica. 

Lo schema della contrapposizione tra destra e sinistra non è più sufficiente a leggere il nostro tempo. La “vecchia” concezione dei partiti che si dividevano la destra, la sinistra e il centro, comprese le “estreme” di destra e di sinistra, non possono interpretare l’identità piena di chi intende proporsi non già per una posizione geografica da occupare.

L’opinione pubblica, in particolare il mondo giovanile dimostrano spesso disaffezione, disinteresse e sfiducia verso la politica e concordano nel rifiuto di collocarsi sull’asse destra-centro-sinistra. Occorre costruire un’alternativa del tutto nuova. Deve essere un soggetto capace di parlare a tutti, proponendo “la posizione” centrata sui valori e gli ideali che intende incarnare. Sogno qualcosa che sappia attualizzare in ogni ambiente la Dottrina Sociale della Chiesa e l’Umanesimo Cristiano nel pieno rispetto e autonomia della laicità positiva.

Di fronte ai fermenti che attraversano la società occorre dare una risposta chiara e di riferimento; ma questo costringe a fare un salto di qualità, uno sforzo di adeguamento per dare spazio e sbocco politico a quest'ansia di rinnovata autenticità.

La coscienza critica deve considerare la cultura di un popolo che è ricerca e intelligenza, impegno per il rinnovamento del costume civile, e animare nella coscienza dei popoli le ipotesi e le utopie che saranno storia di domani. Ma al contempo non potrà trascurare la realtà economica e sociale italiana la cui indubitabile crisi sta provocando un malessere che fortemente e dolorosamente segnano l’attuale momento storico del Paese.

Le grandi trasformazioni sociali, economiche, culturali e politiche che attendono il nostro Paese dopo la precarietà della gestione politica recente esige da parte nostra responsabilità, fiducia piena nella democrazia, nella giustizia sociale e nel confronto delle idee. La luce della Dottrina sociale della Chiesa e dell’Umanesimo cristiano favoriranno e orienteranno criteri indicativi validi per la moralizzazione della vita pubblica, il senso del diritto, la disciplina dell’azione e dei rapporti politici per una vera etica della politica.

 

  1. L’etica della politica

L’etica della politica è un tema ricorrente e altalenante. Ogni tanto acquista senso e significato, in altri momenti è silente. Gli è che davvero è troppo poco vissuto.

Ma che cosa si intende per etica politica? Essa non si occupa delle azioni individuali, ma delle azioni attraverso le quali gli individui raccolti in comunità politicamente organizzata danno forma alla vita comune dal punto di vista costituzionale, giuridico, amministrativo, economico, educativo, ecc.

Max Weber distingueva due polarità dell’etica: quella dei principi e quella delle responsabilità. L’etica dei principi si riferisce alla premessa. L’etica delle responsabilità mira alle conseguenze dell’agire. La politica potrà arginare le ambiguità cui sembra destinata se porrà a fon­damento di se stessa il rispetto di leggi comuni e l’osservanza di principi etici, rimettendo in gioco la nozione stessa di “coscienza morale”.

Mi ha sempre colpito il fatto che Aristotele avesse chiamato la filosofia pratica complessivamente "scienza politica", in quanto il bene della pólis comprende quello del singolo individuo. Essa contiene dunque anche l'etica, che è la parte dedicata al bene del singolo. La politica, infatti, trova la sua ragion d’essere nel costruire il bene della “polis”, ossia della città in cui gli uomini e le donne quotidianamente abitano. L’insegnamento è che nella vita come nella politica, il bene si riconosce dai frutti, non dalle radici; dalle realizzazioni, non dai proclami. La qualità̀ della politica è legata alla qualità̀ umana di chi si impegna in essa.

Non dimenticando mai che anche dopo aver responsabilmente soppesato le probabili conseguenze, rimangono elementi di rischio ai quali, in ultima analisi, risponde la coscienza etica di chi deve prendere una decisione, alla luce dei principi che la ispirano. Se la giustizia sociale ci fa rispettare il bene comune, solo la carità sociale ce lo fa amare. La carità, che vuol dire amore fraterno, é il motore di tutto il progresso sociale. Per questo il Papa San Paolo VI, maestro dei primi democristiani, definì la politica “la più alta forma di carità”.

Etica e politica debbono tornare a recuperare la loro funzione primaria, tenendo sempre ben presente che la questione del rapporto fra etica e politica non è diverso dal problema del rapporto fra la morale e tutte le altre attività dell’uomo. In fondo si tratta della vexata quaestio della distinzione fra ciò che è moralmente lecito e ciò che è moralmente illecito. Papa Francesco ha usato parole forti per richiamare i politici: «La complessità della vita politica italiana e internazionale necessita di fedeli laici e di statisti di alto spessore umano e cristiano per il servizio al bene comune».

E, dunque: coraggio! E’ urgente trovare uomini e donne generosi e pronti a vivere la politica come espressione massima della carità cui affidare le sorti del bene comune, impegnati a fare bene il bene.

 

  1. La migliore politica secondo Fratelli tutti

Una vera perla dell’Enciclica è il capitolo V intitolato: “La migliore politica” (154-197); quella, cioè, posta al servizio del vero bene comune (cfr 154), che dovrebbe essere oggetto di attento studio da parte della nostra classe politica e di chi si interessa del bene comune e del governo della cosa pubblica. Una delle forme di carità più, preziose perché è al servizio del bene comune e conosce l'importanza delle persone, intesa come categoria aperta, disponibile al confronto e al dialogo.

Questo è, in un certo senso, il popolarismo indicato da Papa Francesco, che si contrappone a quel "populismo" che ignora la legittimità della nozione di "popolo", attirando consensi per sfruttarla al proprio servizio e favorendo l'egoismo per accrescerne la popolarità. Il Pontefice offre una profonda analisi del concetto di popolo, molto al di là della semplice somma di individui, ma una realtà veramente dinamica, fatto di legami sociali e culturali da svilupparsi con processi lenti e difficili in un progetto comune (158).

Ma la politica migliore è anche quella che tutela il lavoro, "dimensione inalienabile della vita sociale" e cerca di far sì che ognuno abbia la possibilità di sviluppare le proprie capacità. Il miglior aiuto per un povero, secondo il Papa, non è solo il denaro, che è un rimedio temporaneo, ma il fatto di permettergli di vivere una vita dignitosa attraverso il lavoro. La vera strategia per combattere la povertà non mira semplicemente a contenere o rendere innocui gli indigenti, ma a promuoverli dal punto di vista della solidarietà e della sussidiarietà.

È anche compito della politica trovare una soluzione a tutto ciò che viola i diritti umani fondamentali, come l'esclusione sociale; il traffico di organi, tessuti, armi e droga; sfruttamento sessuale; lavoro schiavo; terrorismo e criminalità organizzata. Forte è l'appello del Papa ad eliminare definitivamente la tratta, la "vergogna per l'umanità" e la fame, che è "criminale" perché il cibo è "un diritto inalienabile".

Due immagini sono presenti nel testo: la locanda ed il ponte. La locanda del samaritano (165) infatti è paragonabile al servizio che la politica presenta alla carità del singolo samaritano. Come dirci che la carità quando è ben orientata e vissuta in pienezza, necessariamente ha bisogno di una locanda. Cioè di strutture giuridiche e sociali e politiche tali da rendere stabile l’operato caritativo e curativo, interpersonale per renderlo fecondo e attivo. Una locanda amata e efficace, viva e concreta! In un amore che integra e raduna (190). Una locanda che soprattutto il mondo giuridico può e deve costruire.

C’è poi un’altra immagine, efficacissima, utilizzata per spiegare la necessità e bellezza della politica è quella del ponte, che il papa ci offre al numero 186, quando scrive: “È carità stare vicino a una persona che soffre, ed è pure carità tutto ciò che si fa, anche senza avere un contatto diretto con quella persona, per modificare le condizioni sociali che provocano la sua sofferenza. Se qualcuno aiuta un anziano ad attraversare un fiume – e questo è squisita carità –, il politico gli costruisce un ponte, e anche questo è carità. Se qualcuno aiuta un altro dandogli da mangiare, il politico crea per lui un posto di lavoro, ed esercita una forma altissima di carità che nobilita la sua azione politica.

Sia il populismo, inteso come “strumentalizzare politicamente la cultura del popolo, sotto qualunque segno ideologico, al servizio del proprio progetto personale e della propria permanenza al potere” (159), sia il liberalismo, che vede il popolo come “mera somma di interessi che coesistono” (163), distruggono la verità del popolo. Ciò che tiene insieme le diverse realtà, evitando polarizzazioni pericolose, è la carità, con la capacità di includere ogni cosa nella sua dedizione, rafforzando l’incontro fra le persone. La carità implica un cammino di trasformazione della storia che incorpora tutto: istituzioni, diritto, tecnica, esperienza, apporti professionali, analisi scientifica, procedimenti amministrativi.

L’amore verso il prossimo è infatti realista. Quindi, è necessario far crescere sia la spiritualità della fraternità sia l’organizzazione più efficiente, per risolvere i problemi: le due cose non si oppongono affatto. E questo senza immaginare che ci sia una ricetta economica che possa essere applicata ugualmente per tutti: anche la scienza più rigorosa può proporre percorsi e soluzioni differenti (cfr. 164-165).

Papa Francesco si sofferma sulle istituzioni internazionali, oggi indebolite, soprattutto perché la dimensione economico-finanziaria, con caratteri transnazionali, tende a predominare sulla politica. Tra queste l’Organizzazione delle Nazioni Unite, che va riformata per evitare che sia delegittimata e perché «possa dare reale concretezza al concetto di famiglia di nazioni» (173). Essa ha come compito la promozione della sovranità del diritto, perché la giustizia è «requisito indispensabile per realizzare l’ideale della fraternità universale» (ivi).

In una linea di evidente continuità anche con il magistero di Benedetto XVI (Caritas in veritate, 67), il Santo Padre Francesco invita ad una profonda riforma delle Nazioni Unite, per superare il monopolio del potere in mano a pochi, dando a questa istituzione una identità di vera famiglia delle Nazioni, dove attraverso il principio del rispetto degli impegni presi (pacta sunt servanda), si possa vincere la tentazione di servirsi del diritto della forza, anziché della forza del diritto per costruire la vera pace (174).

Papa Francesco si sofferma quindi lungamente sulla politica. Più volte il Pontefice si è lamentato di quanto essa sia sottomessa all’economia, e questa al paradigma efficientista della tecnocrazia. Al contrario, è la politica che deve avere una visione ampia in modo che l’economia sia integrata in un progetto politico, sociale, culturale e popolare che tenda al bene comune (cfr 177; 17).


In sintesi quali sono per Papa Francesco le caratteristiche fondamentali di questa “miglior politica”? Essa si sostiene su tre princìpi grandi e insostituibili:

a. Deve essere a servizio del vero bene comune (154)

b. Deve riconoscere ogni essere umano come fratello o sorella

c. Deve cercare una amicizia sociale che integri tutti (180)

Recuperando un concetto dell’insegnamento di Pio XI, Papa Francesco sostiene che la “carità politica” dovrebbe animare ogni attività volta al bene comune, cosi da offrire uno sguardo ampio sulla realtà e sui veri bisogni delle persone (cfr. 186-192), aiutando gli stessi politici ad interrogarsi sull’efficacia del loro servizio, al di là di ogni apparenza e “maquillage mediatico” (197).

Si tratta di quello che il Santo Padre Francesco chiama amore sociale (cfr. 186).

Questa carità politica presuppone la maturazione di un senso sociale in virtù del quale «ognuno è pienamente persona quando appartiene a un popolo, e al tempo stesso non c’è vero popolo senza rispetto per il volto di ogni persona» (182).

Insomma: popolo e persona sono termini correlativi.

 

Conclusione

Alla luce delle considerazioni formulate è necessario affermare che si fa sempre più urgente una spiritualità della politica e per la politica. Chi non vive in comunione con Gesù Cristo e non accoglie il suo Spirito di amore

-  impoverisce il suo sguardo sul mondo,

-  uccide la profezia,

-  espone il suo cuore alla sclerosi;

-  non è luce, diventa sale insipido, che a null’altro serve se non ad essere gettato via e ad essere calpestato dagli uomini.

La dottrina sociale della Chiesa propone l’eroismo dell’amore di Cristo, contemplativo e attivo insieme, trasformatore e innovatore, mediante l’azione per la giustizia.

E’, in definitiva, la proposta di un umanesimo libero per se stesso e cosciente di sé, che conduce l’uomo al sacrificio e a una grandezza veramente divina.

 

Teofilo

 

N.B. Si veda anche la  Nota circa alcune questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica   in  www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_20021124_politica_it.html