Come la Vispa Teresa, tutti cercano Prigozhin e nessuno lo trova. È sparito. Ricercato come il peggior traditore, terrorista e ricattatore della storia russa, ma poi, sembra, graziato purché se ne andasse. Si diceva che fosse in Bielorussia. Così Lukashenko aveva dichiarato una settimana fa.

In pratica ci deve essere stato un accordo con Putin tipo:

Putin: quello è un mascalzone ma gli devo troppo. Levamelo da torno.

Lukashenko: Ok, Capo. Mi farebbe anche comodo il gruppo Wagner qui a Minsk. Le mie forze di sicurezza non sono tanto valide come vorrei.

Putin: Prendilo e poi vediamo il da farsi. Intanto le acque si calmeranno.

Quindi, Prigozhin dovrebbe essere in Bielorussia. Invece no. Ieri lo stesso Lukashenko ha dichiarato pubblicamente che Prigozhin non ci è mai andato. Un mistero. Dov’è Prigozhin?

Alcuni sostengono che potrebbe essere a S. Pietroburgo come a Mosca, ma sono semplici illazioni. Un fatto è certo: si muove come una farfalla e va dove vuole. I famosi servizi di sicurezza russi non lo sanno (oppure, non lo vogliono dire).

La sorte di Prigozhin non è incerta. I curiosi di questo personaggio possono essere rassicurati: se la cava benissimo da solo.

Ma esaminiamo, invece, un altro aspetto della faccenda, molto più preoccupante della vicenda Progozhin.

Il Gruppo Wagner conta, all’incirca, 50/60.000 uomini, a lui fedelissimi e pesantemente armati. Sono sparsi in tutto il mondo, soprattutto in Africa, in America latina e in Siria. Il grosso, però, almeno la metà, è in Ucraina, forse 30.000 uomini.

Se Prigozhin si trasferisse in Bielorussia, non ci andrebbe da solo. La sua armata personale lo seguirebbe. Come? Non è un viaggio organizzabile da un’Agenzia turistica. Immagino colonne di carri armati e di camion. Però, nessun movimento in questo senso viene segnalato.

Da dove verrebbero? Dal fronte ucraino, sguarnendolo? Già i Russi sono in difficoltà con la controffensiva ucraina. Privarsi dei Wagner sarebbe disastroso. Potrebbero essere sostituiti solo molto lentamente. Un’ipotesi difficile da accettare.

Altra questione: che succede con gli altri Wagner sparsi per il mondo? Si ritirano e si concentrano in Bielorussia, con buona pace di Lukashenko (che non deve essere tanto favorevole a una massiccia presenza mercenaria armata nel suo Paese)?

I Wagner hanno interessi economici importanti soprattutto in Africa: miniere d’oro e concessioni petrolifere, contratti di formazione e di assistenza militare, un gigantesco complesso di affari cui sembra impossibile rinunciare di colpo e che è la fonte della ricchezza di cui dispone la Wagner (e Prigozhin). Non è pensabile che Prigozhin molli tutto per starsene rifugiato dove sta. Non ha l’aria di uno che sia prossimo alla pensione.

All’estero il Gruppo Wagner agisce in nome e per conto della Federazione russa e, cioè, di Putin. Se si trasferisse in Bielorussia cambierebbe padrone? Oppure la Bielorussia entrerebbe a far parte del grande gioco di acquisizione di parti dell’Africa?

Altra ipotesi: agirebbe come sempre per la Russia ma sotto lo scudo di Lukashenko.

Un pasticcio inestricabile. Una vocazione africana e terzomondista della Bielorussia sarebbe una grande novità.

Nella Federazione russa tutto tace. Pare che non sia successo nulla. Shogu e Gerasimov, i generali odiati da Prigozhin e oggetto delle sue rimostranze e del suo tentativo di colpo di stato, non sono stati ancora rimossi. Si profila, però, sembra, un rimaneggiamento generale fra gli alti gradi dell’esercito. La solita” purga” cui ci aveva abituato Stalin.

La guerra continua, con o senza Prigozhin.

In quella Russia perennemente sotto un regime autoritario tutto scorre e viene assorbito. La democrazia di Putin, che vede minacce di nazismo un po’ dovunque, assomiglia come una goccia d’acqua a quella hitleriana.

Stessa durezza, stesso primato nel mondo della Russia come quella della Germania hitleriana, stessa sfiducia nel suo Stato Maggiore che gli sconsigliava la guerra, stessa apologia missionaria. Vuole salvare l’Occidente dal degrado del consumismo americano, vuole esportare nel mondo The Russian Way of Peace, la pace dei morti che ha disseminato con gli avvelenamenti delle persone a lui sgradite, con le detenzioni venticinquennali nei vari gulag siberiani (i lager tedeschi), nelle pianure paludose del Donetz, con i bombardamenti a tappeto sulle città ucraine.

Ricordate le magnifiche parate a Berlino dell’esercito tedesco? Nulla di molto diverso da quelle sulla Piazza Rossa. Sono cambiate le divise, ma sono le stesse facce assorte con lo sguardo vuoto sugli immarcescibili destini del Paese, con lo stesso passo di parata.

Ricordate Mussolini con la bombetta, a cavallo, aviatore, schermidore, sportivo, vestito da ammiraglio, da caporale della Milizia, da minatore e da bracciante? Anche Putin fa lo stesso. Un po’ in ritardo, magari. La storia non si ripete ma i buffoni sì.

Non facciamoci illusioni: il dopo Putin sarà ancora peggio. Il nazional-fascismo russo sarà duro a morire.

 

 Stelio W. Venceslai