Gli emigranti non sono regolari o irregolari. Che significa regolari? Nulla. Sono economici o politici? Una distinzione troppo sottile per quelli che vengono da regimi dove la gente muore di fame. Sono solo emigranti.

Gli irregolari li arrestiamo, giustissimo. Sono clandestini. I regolari, no. Cioè, li arrestiamo tutti. Gli irregolari poi, dopo averli arrestati, li respingiamo. Buona idea. Dove? Spesso non sappiamo neppure da dove vengono. E poi, come? In aereo o per nave? Chi paga? Chi li accompagna a destinazione per evitare guai? Silenzio. I Paesi da cui vengono li accoglieranno? E chi se ne frega, tanto sappiamo che non partiranno mai.

L’Europa ci deve aiutare. E perché? Siamo tutti sulla stessa barca. Già. C’è un’Unione europea di cui siamo membri fondatori? C’è?

C’è per parlare, per chiedere soldi, per far finta d’essere in un club di ricchi dove le risorse si spartiscono per tutti in misura equa e, quindi, anche gli emigranti. Ne siete convinti?

Che gliene frega all’Estonia degli emigranti di Lampedusa? Nulla. Hanno già i loro guai con mezza popolazione russa e l’Orso Putin alle frontiere. Oppure alla Svezia?

La vecchia regola è “aiutati che Dio t’aiuta”, un Dio che non alloggia a Bruxelles. Il guaio è nostro che stiamo sul mare. Ah, se fossimo in Lussemburgo!

Un Paese con quasi 60 milioni di abitanti, dove la popolazione invecchia, non si fanno più figli e l’industria si lamenta perché non trova braccia per lavorare, da un decennio si dibatte tra inutili Consigli europei, polemiche interne dove ci si sbrana sul nulla e l’emergenza. Questo è un Paese che vive nell’emergenza. Almeno da vent’anni. Siamo i migliori esperti in tappabuchi del continente, ma i buchi devono essere piccoli. Questo è troppo grande.

Torniamo al punto cruciale: un Paese che invecchia, che non fa figli e le cui attività economiche sono frenate dalla mancanza di manodopera. Gli emigranti sono giovani, ovviamente disoccupati, hanno bisogno di lavorare per vivere.

Già. Ma perché devono venire da noi? Perché siamo il Paese da primo approdo. Lo dicono le convenzioni internazionali. I maestri del tappabuchi hanno un’idea (cretina): cambiamo le convenzioni. È chiaro che questa non è una soluzione. I mercanti di carne umana se ne sbattono delle convenzioni.

Rievocare il cosiddetto Piano Mattei dando soldi ai regimi africani perché facciano ora quello che non hanno mai fatto, solo per gli occhi azzurri della Meloni, è pura follia. Ruberebbero tutto.

Il fatto è che, stando così le cose, non si tratta di un’emergenza, ma di una tendenza inarrestabile. Lo capisce anche il mio portiere (che non c’è più). I politici no. Non possiamo distribuirli ai nostri amici ed alleati. Non li vogliono, né Francia né Germania né Austria. Il ghetto è in Italia. Prendiamone atto e procediamo in senso diverso

Abbiamo due alternative, il blocco navale o l’accoglienza.

Il blocco navale significa sparare su navi, barche, barchette, scialuppe e gommoni che li portano qui. Sparare? Orrore! Dubito fortemente che ci sia qualcuno in divisa che dia l’ordine di sparare sugli immigranti, tra cui molte donne e moltissimi bambini. Cannonate italiane o europee, poi, non fa differenza.

Allora, accoglienza. L’idea di chiuderli in una specie di nuova galera europea, magari migliore dei campi di transito libici, è una sciocchezza. E poi? Torniamo al ridicolo dei rimpatri?

E se invece, diciamo così, ma perdonatemi, li sfruttassimo un po’? In fondo, ne abbiamo bisogno.

Potenzialmente, sono tutti dei lavoratori. Addestriamoli alle nostre necessità in modo da potersi mantenere con il loro lavoro. Invece di costruire hot spot e caserme o campi di contenimento, mandiamoli a scuola o nelle officine, oppure sui campi.

Invece di dire sciocchezze e lanciarsi contumelie, destra e sinistra potrebbero varare un piano di accoglienza importante. Certo, occorre formarli, insegnare loro la lingua, abituarli al nostro modo di vivere. Ma se vogliono stare da noi, devono adattarsi. Occorre spendere. Meglio investire per formare e specializzare che per dar loro mangiare a babbo morto senza un futuro possibile. Daremmo lavoro anche a tanti Italiani (ad esempio, che fine hanno fatto i navigators? Disoccupati anche loro?)

L’esercito potrebbe essere un buon punto d’approdo per tanti giovani. Una divisa, una disciplina, una dignità possibile. 

Le campagne abbandonate, i paesetti collinari o di mezza montagna deserti, potrebbero essere ripopolati. A casa loro molti di questi emigranti facevano i contadini. Potrebbero farlo anche qui, riunendo le loro famiglie, dando loro gli strumenti iniziali per lavorare e un’abitazione diversa dalle strutture fatiscenti da cui provengono. Sarebbero preziosi. Non è difficile. Certo, bisognerebbe monitorare il tutto, concepire una strategia. Troppo complicato?

I bambini. Questo è un vero problema. Centinaia di minori arrivano non accompagnati, manovalanza indubbia per rapine, ammazzamenti, stupri e traffico di droga. Che fare?

La soluzione di metterli negli orfanotrofi in attesa di un’improbabile adozione è pura follia. Intanto, i nostri orfanotrofi e l’adozione non funzionano e tutto il nostro sistema dell’accoglienza ai minori abbandonati dovrebbe essere rivisto. Un compito immane, ma destra e sinistra non potrebbero non avere punti di convergenza. Ci sarebbe molto da fare, se si fosse seri.

Ma siamo seri oppure ci bastano i dieci punti della Von der Layen o i decreti tipo Cutro?

Affrontiamo la realtà, al di là delle assicurazioni formali di amicizia indistruttibile di Macron che, intanto, chiude Ventimiglia.

 

Stelio W. Venceslai