di Ruggero Morghen

 

Nel Libro segreto il poeta Gabriele d’Annunzio dedica alcune pagine al legionario trentino Italo Conci, che fu con lui a Fiume e morì nel “Natale di sangue” il 26 dicembre 1920. “Senza tregua – ne scrive - aveva combattuto dal principio della guerra, egli suddito da capestro in terra oppressa, come Cesare di Trento, come Damiano di Rovereto: ma la sua fede armata rideva sempre”. Il riferimento, trasparente, qui è al “martire” Cesare Battisti e al sottotenente Damiano Chiesa, medaglia d’oro, giustiziati nella gran guerra dall’arma austriaca.

Proprio sul tema della “fede armata” vi fu, qualche lustro fa, un breve scambio epistolare pubblico tra mons. Iginio Rogger e lo scrivente. A me che ritenevo l’uso della forza in difesa della fede non perfettamente assimilabile alla violenza, monsignore replicava che però essa forza “è pronta più che mai a trasformarsi in violenza, e – aggiungeva per soprammercato – in violenza deteriore”. La locuzione “fede armata” venne poi ripresa in un ampio saggio da Lucia Ceci a significare la violenza politica – così la definisce la storica romana – usata dai cattolici nel corso del Novecento, ed è utilizzata anche dal presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione Davide Prosperi in un’intervista concessa a Marco Ascione. Ma secondo Andrea Riccardi, fondatore nel 1968 della Comunità di Sant'Egidio,  a “liberare le religioni dalla tentazione della violenza” vi sarebbe ancor oggi, quale riferimento, lo spirito di Assisi, che opera – così ritiene Riccardi - “delegittimando le guerre di religione e fondando religiosamente la pace”.

Accanto all’immagine della “fede armata” occorre però richiamare qui – quale suo corrispettivo complementare o piuttosto alternativo, quindi quale sua radicale contestazione – quella del “cuore disarmato”, utilizzata dal defunto papa Francesco nel messaggio per la Giornata mondiale della pace del primo gennaio 2025. Nell’occasione Bergoglio parlò anche di un “disarmo del cuore”. Nel suo primo intervento pubblico, benedicendo la folla radunata in piazza San Pietro, il suo successore papa Leone XIV avrebbe invece parlato di “pace disarmata”, cui significativamente aggiungeva anche l’aggettivo “disarmante”. 

Il direttore del TG2 Antonio Preziosi ne riferirà il giorno successivo invertendo erroneamente i due termini; così anche Alessandra Viero a “Quarto Grado” (Rete4), sempre il 9 maggio, e Tiberio Timperi a “I fatti vostri” (Rai2) il 12 maggio; suor Monia, invece, a “Quarta Repubblica” li citava correttamente nell’ordine. Non sono inoltre mancati, nell’occasione, i rilievi critici. Come quello di Alessandro Rico, che osservava: “Parlare di pace disarmata mentre l’Ue promette 800 mld di riarmo, la Germania ne investe 1.000, Russia e Ucraina non riescono nemmeno a mantenere una tregua di due giorni, Israele bombarda a tappeto ed è cominciato un conflitto tra India e Pakistan, qualche effetto lo fa”.

Tanto più che, pochi giorni dopo, parlando ai giornalisti papa Leone confermava pienamente questa coppia di aggettivi e pure il loro ordine, auspicando espressamente “una comunicazione disarmata e disarmante” che ci permetta di “condividere uno sguardo diverso sul mondo ed agire in modo coerente con la nostra dignità umana”.