di Stelio W. Venceslai
L’euforia artificiale del cessate il fuoco a Gaza, in realtà, non convince nessuno. A Sharm el Sheik sono presenti molti grandi della terra, in testa il trionfatore, Trump, che si consola della mancata assegnazione del Nobel della pace con il trionfo delle folle a Tel Aviv e con la firma di quanto concordato in Egitto. La guerra è finita, annuncia e ripete solennemente. Peccato che Netanyahu non la pensi così, come ha pubblicamente detto alla folla degli Israeliani accorsi per festeggiare la liberazione degli ostaggi.
No, la guerra non è finita. È solo un cessato il fuoco.
Dopo due anni di massacri ingiustificabili, dopo aver distrutto il 90% delle abitazioni e dell’insediamento palestinese a Gaza, c’è un solo vero sconfitto: Israele, con le ambizioni di Netanyahu. L’esercito è costretto a mollare la presa e a ritirarsi, Hamas ha resistito, è ancora in piedi e negozia, nonostante tutto.
Su due milioni e passa di Palestinesi e circa 70.000 morti, tra civili e terroristi, ci saranno almeno 5.000 Palestinesi ansiosi di vendetta. Non facciamoci illusioni.
La Palestina non c’è nei festeggiamenti. C’è solo la forza dirompente degli Stati Uniti, il braccio destro d’Israele.
La Palestina come libera espressione di uno Stato è ancora di là da venire. Nell’attesa, attentati e massacri continueranno, in Israele ed altrove.
L’accordo per il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi, causa prima della guerra, sono un importante passo avanti, ma vanno considerati per quel sono: una pausa nei massacri.
Troppe sono le ambiguità dell’accordo. Fior di canaglie sono state liberate dalle prigioni israeliane in cambio degli ostaggi, vivi o morti. Quasi 2.000 contro 20 ostaggi vivi. Anche in questo i Palestinesi contano poco: un israeliano contro venti. Tornati a casa, che faranno? Resteranno con le mani in mano adattandosi a una tranquilla pensione per meriti di terrorismo?
Disarmerà Hamas? In teoria hanno accettato il principio, ma come e nelle mani di chi? Andranno in esilio i capi di Hamas? È tutto da vedere.
A giudicare dalle folle che s’incamminano verso Gaza, alla ricerca delle macerie delle loro caea, i Palestinesi restano nella Striscia di Gaza. D’altronde, non li vuole nessuno.
A giudicare dal silenzio sulla sorte della Cisgiordania, il sogno di una grande Israele dal Giordano al mare sembra interrotto dal brusco risveglio voluto da Trump. Anche su questo Israele e i suoi coloni devono registrare una battuta d’arresto.
L’Autorità palestinese che ruolo potrà svolgere in un Paese occupato, forse, da milizie internazionali il cui compito dovrà essere quello d’impedire guerre fratricide, peraltro già in corso? Troppi sono gli interrogativi cui manca una risposta sensata.
Dopo due anni sanguinosi emerge una sola verità: la guerra non risolve nessun contrasto e tanto meno in Palestina.
Davvero erano necessari 70.000 morti (e ignoriamo quanti Israeliani, dall’altra parte) per arrivare a questo punto? Sono state in un qualche modo utili le morti dei numerosi ostaggi innocenti e di migliaia di bambini?
La guerra è stupida, crea solo ferite difficilissime da rimarginare, alimenta odii razziali che passano da una generazione ad un'altra. Solo Netanyahu e Putin sono convinti che serva a qualcosa.
Il futuro si presenta denso di contraddizioni e di problemi. La stessa nomina di Blair, redivivo, come gauleiter del territorio di Gaza, suscita contrasti. Tutti vogliono partecipare alla ricostruzione, perché è un affare, ma nessuno vuole inviare milizie armate, tranne le Filippine. Chi pagherà la ricostruzione? Troppi immobiliaristi americani ed arabi si contendono l’affare.
Come botoli affamati tutti corrono a dichiararsi pronti per l’affare del secolo, lo stesso Israele, anche la Turchia, anche l’Italia. I carabinieri sono là per questo, per un appalto in più. Roba da miserabili sulla pelle dei Palestinesi.
I Paesi arabi sono d’accordo con Trump. Lo spettro degli accordi di Abramo incombe, ma gli Arabi vogliono la stabilità su un vulcano nient’affatto spento.
L’ipotesi di due Stati è tuttora in altissimo mare. Non sono state certo le varie flotille ad avvicinarla alla dura realtà del presente.
Detto questo, diamo uno sguardo al nostro Paese. L’infatuazione palestinese si è spenta e non fa più parte del dibattito nella nostra politica interna.
Per che cosa si uniranno le masse, ora che la guerra è almeno sospesa? Contro chi la CGIL organizzerà le sue proteste? Dovranno ripiegare su temi interni, difficili per tutti da risolvere. D’altronde, l’Italia è stata l’unico Paese europeo che del conflitto palestinese ha fatto una questione interna. Con il cessate il fuoco viene a mancare la materia del contendere. E ora?
Solo questioni regionali, in Toscana, nel Veneto o in Campania?



























