La situazione conseguente alla crisi bellica provocata dall’invasione dell'armata russa in terra Ucraina e le Decisioni che si stanno susseguendo da parte della Ue, autonomamente da ciascun paese aderente, e in questi primi giorni di equinozio di primavera da parte della Nato, tra sanzioni e aiuti umanitari e militari, pongono pressanti ed urgenti interrogativi, non solo con riferimento alla giusta potenzialità ed efficacia di queste misure nell’intaccare le capacità economiche della potenza occupante, ma soprattutto per l’atteggiamento da assumere in un crescendo di coinvolgimento - cosiddetto indiretto - ossia con l’apporto di mezzi difensivi e non di uomini, sul teatro di guerra.

Già oggi la Nato, come annunciato da Stoltenberg ha deciso di allargare le dotazioni da inviare comprendendo armi anticarro e droni e di alzare il livello di allerta generale, come peraltro sottolineato dal premier olandese Mark Rutte, al vertice dei paesi dell’Alleanza atlantica a Bruxelles:”Dobbiamo pensare a tutte le opzioni possibili", mentre dal summit nato è trapelato che ci si prepara a rischi per un possibile uso delle armi chimiche e biologiche, non escluse anche quelle a potenziale nucleare, da parte della Russia in Ucraina, sempre che non si allarghi il conflitto.

La cosa rende il quadro più complicato anche per la brutale spietatezza che stanno assumendo gli attacchi indiscriminati, con il sospetto di ricorso ad armi chimiche, mentre non si attenuano gli attacchi ai civili, fino a comprendere anche ospedali e famiglie terrorizzate in fuga dai territori sempre più devastati.

Eppur la stessa condizione di intervento non diretto, ad opera dei paesi Nato, non ci mette, di certo, al riparo da possibili atti di provocazione in direzione di un preordinato allargamento del conflitto nei paesi confinanti. Nessuno può infatti escludere una possibile escalation (che di fatto innescherebbe la terza guerra mondiale con esiti apocalittici) che preordinate provocazioni o casuali incidenti possono innescare nella delicata fase delle consegne dell’arsenale militare (armi che al momento sono definite come a potenzialità difensiva) che i paesi del Patto Atlantico stanno mettendo a disposizione, compresa l’Italia.

C’è poi una trasversale inquietudine dovuta all'altalenante posizione polacca di fornire i famigerati Mig alle truppe ucraine, con il rischio di anticipare una sorta di no fly zone, seppur per ora frenata dalla precisa determinazione a non allargare il conflitto da parte di Biden, che ha escluso nettamente una tale misura interdittiva, ribadita anche oggi nel vertice Nato a Bruxelles.

Mentre fa eco la posizione oltranzista del Regno Unito di Boris Johnson, che oltre a chiedere un giustificabile inasprimento delle sanzioni, soprattutto economiche ad ampio raggio, preme sull’acceleratore per una più consistente fornitura di armi per sostenere la resistenza Ucraina.

Posizioni che se, da una parte, trovano il favore di un coinvolgimento emotivo verso un paese che con grande onore e dignità sta strenuamente difendendo il proprio territorio dall’aggressione delle armate russe, dall’altra non fanno che indebolire e assottigliare fortemente il fronte dei paesi che possono agire credibilmente sul piano diplomatico, per arrivare, nell’immediato, ad una cessazione delle ostilità e avviare un negoziato serio e risolutivo, finendo per lasciare in mano alla Turchia, che oggi non ha certamente le migliori credenziali come paese democratico e con un grosso contenzioso aperto sul mancato rispetto dei diritti umani, questo importante ruolo.

Non ci nascondiamo poi l’ulteriore considerazione che simili posizioni rischiano di compromettere tutta una visione lungimirante degli assetti geopolitici dell’Europa che l’accelerazione bellica di Putin ha inteso sconvolgere, con l’idea di un nuovo blocco imperialista nella visione di un disegno che, sulla falsariga dell’impero sovietico, che egli maschera più astutamente rispolverando un vecchio progetto degli Zar, riporti sotto l’influenza russa tutti gli stati membri dell’ex patto di Varsavia, creando una demarcazione netta con il mondo occidentale e l’esercizio democratico della sovranità statuale: in realtà una nuova Yalta.

Una visione inaccettabile che l’Occidente e le sue democrazie non possono condividere ma che si trovano impotenti a contrastare mentre è in corso un'azione militare che potrebbe portare al rischio di una sconsiderata risposta nucleare, come Putin ha cinicamente minacciato di usare.

Ecco perché all'opzione militare i paesi occidentali Usa e Uk in testa, devono strenuamente perseguire una soluzione di forte deterrenza attraverso le sanzioni e la marginalizzazione commerciale della Russia, unico sentiero che può portare ad un tavolo negoziale della crisi con il coinvolgimento della Cina e dell’India per una soluzione che abbia come cardine la convivenza pacifica, senza sopraffazioni ed egemonie, nel rispetto reciproco del fondamentale principio di autodeterminazione che spetta per diritto naturale a ciascun popolo.

Insomma se proprio la specifica peculiarità di questa guerra, innescata dalla proditoria aggressione da parte della Russia di Putin, non può farci ignorare il legittimo diritto-dovere di difesa del popolo ucraino, che sta pagando un prezzo di sangue altissimo, soprattutto di civili, tra cui centinaia di bambini, di donne e uomini anziani, non ci sembra la strada più giusta il lasciarsi attanagliare dal drammatico dilemma, solo militare, dalle conseguenze oggi incalcolabili, se intervenire o meno, ed in che modo.

Dilemma vecchio di un secolo, che tanti morti ha portato nel continente europeo, e che sta lacerando governi e parte dell'opinione pubblica occidentale e non solo. Per quanto ci riguarda, come paese che ha nella sua Costituzione un preciso e tassativo impegno pacifista, come sancito all’art.11: L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.”, la risoluzione della Camera dei Deputati che ha approvato a larghissima maggioranza (391 voti favorevoli su 421 presenti, 19 voti contrari) un Ordine del giorno collegato al cosiddetto “Decreto Ucraina” proposto dalla Lega Nord con la sottoscrizione dei deputati di Pd, Fi, Iv, M5S e FdI, con cui impegna il Governo ad avviare l’incremento delle spese per la Difesa verso il traguardo del 2 per cento del Prodotto interno Lordo, stride con tale incontestabile principio.

Così come, per quanto ci coinvolge come partito che si fonda sui valori del dialogo, della fratellanza, della solidarietà e della pace, la citata risoluzione della Camera dei Deputati di aumento delle spese militari (peraltro riconducibile a una direttiva Ue sul punto, che fa emergere delle questioni di compatibilità tra il diritto comunitario e il fondamentale principio pacifista in Costituzione - che il nostro paese dovrebbe sollevare in queste occasioni, anche se abbiamo avuto già un precedente nei Balcani) appare assai confliggente con l’iniziativa portata avanti dalla nostra sezione (fatta propria dalla Segreteria nazionale) e raccolta e trasfusa da nove Senatori in una specifica mozione presentata al Senato, per l’avvio immediato di un disarmo nucleare totale.

Ma il deciso coinvolgimento, sia pure limitandosi a fornire solo mezzi militari e non uomini nel teatro di guerra, ha in qualche modo condizionato ogni posizione di terzietà, soprattutto dell'Italia, che per la sua collocazione nel cuore del mediterraneo - come auspicato con la proposta di Disarmo nucleare da Civiltà dell’Amore, sostenuta dalla Democrazia Cristiana di Roma, dovrebbe assumere - pur in una salda visione atlantista, e con l’auspicato supporto della Ue (che l’imprevisto contesto nel suo versante est, ne sta facendo maturare una accelerata ridefinizione identitaria più autonoma - una posizione di equilibrio strategico tra il fianco orientale, dove oltre alla Russia non meno minaccioso appare l'espansionismo turco, già in diversi teatri dell’area mediorientale e nordafricana, l’oltranzismo britannico e il rigorismo pervicace dei cosiddetti paesi frugali.

Un ruolo che favorito da una Ue, un po’ meno ancella degli Stati Uniti e più presente nei teatri di crisi dell’area mediterranea, consentirebbe al nostro paese, in prima linea per la sua vocazione alla solidarietà, alla pace, alla difesa dei diritti umani e al rispetto e al dialogo tra i popoli, nel solco del Magistero di Papa Francesco, di incardinare, in una visione ad ampio raggio, una solida politica di pace oltre ad accreditarsi in un ruolo di permanente mediatore nel riassetto geopolitico, a cominciare dalla crisi Ucraina.

A questo scenario non fa da meno la forte minaccia alla sicurezza alimentare nel mondo, con prevedibili tensioni nei diversi continenti, essendo l'Ucraina uno dei maggiori produttori di grano e cereali nel pianeta, e la grave crisi energetica che sta investendo principalmente il nostro paese.

Un risultato, quest’ultimo, non certo inaspettato dovuto ad una lunga e colpevole inerzia o, se si vuole, alla pervicace disattenzione mostrata dai precedenti governi di questo nuovo millennio sul versante degli investimenti, unica via per assicurarci maggiore autosufficienza energetica e con essa maggiore competitività al nostro sistema produttivo e rendere meno gravose le spese del consumo energetico di ogni famiglia.

A fronte di tanta colpevole cecità progettuale della classe politica, assistiamo, oggi, in modo sempre più gravoso, allo strangolamento della nostra economia, appesa al ricatto crescente delle manovre speculative, o connesse alle sempre più incontrollate tensioni geopolitiche, che hanno reso i prezzi delle energie insostenibili, penalizzando principalmente il nostro paese, il più vulnerabile per la quasi totale dipendenza, soprattutto da paesi del quadrante asiatico, Russia, in primis, per gas e idrocarburi e per tante materie non più semilavorate dalle nostre industrie.

Un quadro davvero inaccettabile che l’intero sistema politico, alludo alle due coalizioni, centrodestra e centrosinistra che sono stati alternativamente alla guida politica degli esecutivi di questi vent’anni, non ha saputo ricalibrare per attenuare la nostra dipendenza.

Anzi, invece di accrescere le nostre potenzialità di estrazione nei siti nazionali, si è andati a smantellare o a depotenziare quelle cruciali infrastrutture preferendo le forniture esterne, consegnandoci così mani e piedi ad una dipendenza quasi integrale dall’estero.

La Democrazia Cristiana, in prima linea su queste questioni, vuole dare il proprio fattivo contributo per superare questo vuoto di idee e di progetti, desiderosa di riportare quel virtuoso modo di fare politica che consentì all'Italia di ricostruirsi e di sviluppare livelli di progresso e di benessere tali da farla assurgere ai gradi più alti tra le potenze industriali nel mondo. Questo sforzo richiederà per noi un impegno intenso e costante nel territorio ed anche di progettualità generale in vista del prossimo Congresso.

 

Luigi Rapisarda