La sentenza del Tribunale civile di Roma, Giudice Goggi, del 4 luglio scorso, con cui ha statuito la piena validità dell’Assemblea dell’Ergife del 26 febbraio 2017, in seno alla quale si è avviato il regolare iter procedurale, conforme allo Statuto, per la riorganizzazione e la ripresa dell’azione politica della Democrazia Cristiana, fra i tanti importanti riverberi, riporta doverosamente in auge, tutta la vecchia questione del simbolo.

Come è noto, esso è al momento in uso all’Udc per una singolare normativa che, in applicazione nella fase di deposito dei simboli, riconoscerebbe una tutela soverchiante a chi ne ha fatto uso in competizioni elettorali precedenti, prescindendo dal fatto di una diversa proprietà che su quel simbolo può rivendicare l’originario titolare.

Il fatto è che quel simbolo è passato di mano sotto le insegne di nuovi partiti che non si sono mai dichiarati (ovviamente non avevano le condizioni giuridiche per farlo), né sono stati mai riconosciuti continuatori della DC e sul falso presupposto che comunque la DC si era sciolta.

Questo, come è noto non è mai avvenuto.

Lo ha sancito con definitiva chiarezza la nota Sentenza a Sezioni unite della Corte di Cassazione n. 25999 del 2010, in tema di titolarità ed uso del simbolo, in esito alla quale riconoscendo che la DC non si è mai sciolta, ha correlativamente riconosciuto piena e legittima titolarità e uso del simbolo alla Democrazia Cristiana.

Da quel momento si sono avviati diversi tentativi di rimetterla in campo.

Il problema non è stato facile perché c’era da superare difficoltà procedurali, a partire dalla ricostruzione degli elenchi degli iscritti, unici titolati a ridare, con una assemblea, la giusta ripartenza alla ricostruzione del partito.

Ora quel passaggio nei giusti termini di conformità e validità vi è stato con il riconoscimento da parte del Tribunale di Roma, Giudice Goggi, nella Sentenza del 4 luglio scorso.

A questo punto compendiando i due dati inconfutabili, da una parte la statuizione definitiva, dopo tre gradi di giudizio, che “la DC non si è mai sciolta” e dall’altra il riconoscimento della assoluta conformità allo Statuto dell’Assemblea del 26 febbraio 2017, la DC, in persona, allo stato, del suo Segretario Amministrativo dott. Mauro Carmagnola, e del suo Segretario Politico Nazionale, dott. Renato Grassi ha tutto il diritto di rivendicare l’uso del simbolo, in quanto proprietaria, che mai ha dismesso volontariamente, attraverso passaggi conformi a legge, o a legittime decisioni interne riconducibili alla volontà del partito che non si è mai sciolto, o negoziato o trasferito, la titolarità o il suo semplice uso, a partiti che nessun titolo hanno per rivendicare alcun legittimo titolo di rappresentanza della DC,che rispetto ad essi è altro da se’.

Ora per risolvere la questione c’è solo una strada: un’azione giudiziaria di rivendicazione del simbolo, con una concomitante procedura di urgenza per interdire l’uso del simbolo al partito che fino ad oggi se ne è fregiato senza averne mai avuto la legittima titolarità.

E ciò sul semplice ragionamento che un partito che non si è mai sciolto e che nel corso di questi lunghi anni non solo non ha mai deliberato conformemente a normativa e a statuto di cedere il proprio simbolo ad altri, ma che ha invece dimostrato la chiara volontà, con i diversi tentativi di riproposizione della riorganizzazione e del ritorno in campo, non può a questo punto accettando il paradosso di vedere il proprio simbolo rappresentare altri, ripresentarsi agli elettori senza quel logo che da sempre, sin dalle sue origini, ne ha caratterizzato la propria vita politica.

Peraltro nessuna delibera riconducibile legittimamente ai propri organi di vertice e comunque legittimamente rappresentativi, ne ha mai deliberato dismissione o traslazione del proprio simbolo (scudo crociato) ad altre formazioni politiche, pure se affini alla propria area politica di riferimento.

Allo stato delle cose l’uso del simbolo da parte dell’Udc, appare pertanto in contrasto con il legittimo titolo di appartenenza, originario e mai validamente trasferito a chicchessia, e che solo ora, con la statuizione citata: ossia la recente sentenza del 4 luglio scorso, del Tribunale di Roma, consente la giusta e fondata rivendicazione della piena tutela dell’appartenenza del simbolo alla DC di cui l’uso e’ ovviamente l’aspetto più visibile in quanto ne esprime l’essenza e l’identità politica del partito.

Insomma questa singolare ed arbitraria scissione crea al partito, che si accinge a scendere in campo in questa prossima competizione elettorale per il rinnovo delle rappresentanze parlamentari, un grosso danno di immagine perché impedisce al partito di accreditare visibilmente quella linea di continuità, che anche attraverso il simbolo, che inconfutabilmente, a mente delle citate statuizione, nessuno oramai può contestarne la titolarità alla DC, ne esprime l’identità con quell’esperienza cinquantennale, che continua.

 

Luigi Rapisarda