Sono passati oltre 67 anni da quel giugno del 1955 quando furono sottiscritti a Messina, da sei stati membri, i trattati della CECA (Comunità Europea del carbone e dell’acciaio), primo embrione della futura Unione Europea, oggi composta da 27 paesi membri, proiettati ad una unità sempre più rafforzata, che già ha visto l’adozione della moneta unica, l’abbattimento di frontiere, politica economica e di difesa dei confini sostanzialmente unitarie e quant’altro finalizzato ad una condivisione dei futuri Stati Uniti d’Europa.

Di converso, mentre in Europa si propende a creare direttive comuni per tutti i Paesi membri e omogenizzare le varie legislazioni, in Italia si intraprende un percorso inverso con la cosiddetta “autonomia differenziata”. Ovvero riconoscere alle regioni, anche a quelle speciali, una sostanziale autonomia in molte materie, alcune delle quali oggi di esclusiva competenza dello Stato.

L’estensore del provvedimento è lo stesso della poco edificante “legge porcellum”, dichiarata successivamente incostituzionale dalla suprema Corte. Una proposta di legge che in questi ultimi giorni ha ricevuto una forte accelerazione e, se approvta, si rischia di fare un ritorno al passato in cui l’Italia era divisa in stati e statarelli, ognuno con le proprie norme in cui il cittadino doveva barcamenarsi per risolvere i propri problemi.

Da un lato si lavorò per creare gli Stati Uniti d’Europa con norme uguali per tutti e dall’altro lato, in Italia, si propende per accentuare divisioni, soprattutto economiche, riproponendo con forza e attualità la questione meridionale, addirittura con un ritorno alle infauste “gabbie salariali” con stipendi e salari diversificati, a parità di lavoro prestato.

Non a caso, qualche giorno fa il Ministro della Pubblica Istruzione ha esordito lanciando la proposta di stipendi diversi - in base al territorio - per i docenti. Salvo poi fare marcia indietro. Differenza che già subiamo, per esmpio, con il costo delle assicurazioni auto molto più alto rispetto al resto dell’Italia o con l’accesso ai prestiti con interessi più elevati che nel resto del Paese. Tanto per citare qualche esempio-

L’autonomia differenziata non aiuterà affatto lo sviluppo della nazione, ma perpetuerà - ope legis - quella marcata differenza tra regioni, lasciando ancora più indietro il meridione d’Italia. Nonostante le varie rassicurazioni di politici nordisti. Già, per esempio, gli artt. 37 e 38 dello Statuto della Regione Siciliana, prevedono norme a favore della stessa. In particolare l’art.38 prevede che “lo Stato verserà annualmente alla Regione, a titolo di solidarietà nazionale, una somma da impiegarsi in base ad un piano economico, nell’esecuzione di lavori pubblici. Questa somma tenderà a bilanciare il minore ammontare dei redditi di lavoro nella Regione in confronto della media nazionale”.

Eppure, nonostante sia scritto nero su bianco, lo Stato ha riconosciuto ben poco alla Regione, sia nel passato (governo Crocetta, per esempio, 500 milioni), come nel presente. E’ di qualche settimana fa la notizia che, rispetto ai vari miliardi dovuti, sono stati riconosciuti solo 200 milioni di euro.

La stessa cosa succede con il PNRR. La norma (legge n.108/2021) in ossequio a quanto ha stabilito la Comunità Europea, ha previsto che almeno il 40% delle risorse “allocabili territorialmente, indipendentemente dalla fonte finanziaria di provenienza, sia destinato alle regioni del Mezzogiorno”. Ma, in realtà, la gran parte delle risorse, fino ad oggi stanziate, sono destinate al nord, con finanziamento di opere importanti in Liguria, Lombardia, ecc. Le leggi scritte sono una cosa che la realtà contraddice.

Non è solo un timore, ma l’applicazione pratica della legge sull’autonomia differenziata, in base ai precedenti storici, aumenterà il divario tra nord e sud, tra regioni ricche (che hanno già oggi dallo Stato più risorse di quelle del sud, in rapporto alla popolazione) e regioni rimaste indietro.

Il resto, come dice il saggio, sono chiacchiere. 

 

Giuseppe Previti  

V. Segretario DC  Messina