di Vittorio Dalbagno
“Non giudicare un libro dalla copertina” è il famoso proverbio con cui si raccomanda di non considerare solo l’aspetto - o il nome - di qualcosa per costruire il proprio giudizio.
L’elemento che con più decisione da il colore all'identità politica della Democrazia cristiana (Dc) sta proprio nella seconda metà del suo nome.
Già i suoi fondatori si posero il problema di qualificare la cristianità del modello democratico che intendevano promuovere; un partito a-confessionale è ciò che vollero costruire già dalle prime riunioni clandestine tra il ‘43 e il ‘44, quando la guerra tra alleati da una parte e nazisiti e fascisti dall’altra ancora devastava il nostro Paese.
Volere un partito a-confessionale significa tracciare un confine netto tra l’ideologia del cristianesimo democratico e i dogmi e i precetti della Chiesa cattolica; non a caso il nome scelto fu appunto Democrazia cristiana e non Democrazia cattolica.
Questo significa che la Dc non è il braccio ecclesiastico nel mondo politico e nella società civile, ma è un partito che vuole ispirarsi a quanto di meglio il cristianesimo delle origini, e non il cattolicesimo in maniera particolare, ha saputo insegnare.
Confessione, messa e peccato non sono i temi che questo partito né può né vuole trattare, afferendo questi alla dimensione spirituale e religiosa di ciascuno. Il politico democristiano non raccomanda di andare a messa o di credere in Dio.
Quando la Dc cominciò a muovere i primi passi aveva al suo interno molte “anime”: erano presenti liberali, che rivendicavano la libertà dell’individuo nelle sue iniziative e convinzioni; era presente una “sinistra democristiana” che cercò da subito un dialogo con le forze socialiste sentite come capaci di esprimere le necessità di riforma e progresso della società che, allora come oggi, continua a cambiare; era presente infine una fazione più conservatrice che manteneva atteggiamenti cauti senza precipitarsi in avventure politiche, richiamando riflessione e moderazione.
E’ quindi legittimo chiedersi come riuscisse un solo partito a concertare voci che si affacciavano tra loro con argomenti piuttosto antitetici l’uno dall’altro.
La cultura democratica, fortemente radicata in ogni democristiano, ha consentito l’unità del partito rendendolo un centro di mediazione e smorzamento di radicalismi ed estremismi. Lo spirito cristiano si incarna nel dialogo e nell'ascolto, nobili virtù che non sono solo decorazioni morali ma si calano nella vita di tutti i giorni come strumenti del riconoscimento “dell’altro da me”, che può apportare il suo contributo al lavoro altrui con idee che vanno giudicate una volta condivise e discusse, mai prima.
Dunque il cristianesimo democratico e la Dc hanno nel loro codice genetico politico una dinamicità garantita dalla volontà di prestare attenzione a critiche e novità che diano vita a revisioni tese verso il progresso del movimento e dei settori in cui potrà essere capace di intervenire, rifiutando quindi bigottismi e reazionarismi anacronistici.
La Democrazia cristiana, ad oggi, riconferma la sua vocazione di centro di mediazione pronto ad accogliere tutte le idee e le iniziative che intendono proporre soluzioni economiche e sociali ai problemi di oggi, a patto che queste non vengano poste come definitive, ma siano sempre capaci di mettersi in discussione ed essere arricchite di nuove proposte.


























