Dobbiamo riaprire il contenzioso sull’utilizzo elettorale del nostro glorioso scudo crociato. Trattasi di un tema dirimente che è stato utilizzato sin qui dall’On Cesa e dai suoi amici dell’UDC , come posizione di rendita politica che ha permesso loro di sopravvivere sino a rimanere in tre, come nella celebre canzone di “Rinaldo in campo”: siamo rimasti in tre…..

Con Cesa le abbiamo tentate tutte e sin troppe volte e, sempre con lui, abbiamo anche ritentato con la Federazione Popolare DC ritenendo che anche nei tre superstiti, già DC, prevalesse, come in tutti noi, la volontà di concorrere alla ricomposizione possibile dei democratici cristiani, ma, sempre alle scadenze elettorali, nazionali, europee e/o locali, ha finito col prevalere l’interesse del “particulare” personale.

Dall’amico e collega Gabriele Maestri, che ringrazio, ho ricevuto una ricostruzione rigorosa di come si è arrivati a quest’assurda situazione che vede, da un lato, l’UDC continuare a lucrare la sua posizione di rendita nell’utilizzo dello scudo crociato e, dall’altra, il nostro partito che, dal 2012 ha seguito tutte le strade possibili per dare partica attuazione alla sentenza della Cassazione n.25992 del 23.12.2010, sino all’ultimo XIX congresso nazionale dell’Ottobre 2018, privato della possibilità di utilizzo del simbolo della DC che ci appartiene, come legittimi eredi della DC storica.

Ecco in sintesi la descrizione fornitami dall’amico Maestri che trascrivo:

La disposizione che negli ultimi anni ha sempre dato maggiore tutela all'Udc quanto all'uso elettorale del simbolo è l'articolo 14 del testo unico per l'elezione della Camera (d.lgs. 361/1957), in particolare alcuni suoi commi. Ti riporto di seguito l'articolo, con alcune parti in rilievo (e alcune parti omesse che ora non ci interessano):

  1. I partiti o i gruppi politici organizzati, che intendono presentare liste  di candidati  nei  collegi  plurinominali  e  nei   collegi uninominali, debbono depositare presso  il  Ministero  dell'interno il contrassegno col quale dichiarano di voler distinguere  le liste medesime nei singoli  collegi  plurinominali e  nei singoli collegi uninominali. All'atto del deposito  del  contrassegno  deve essere indicata la denominazione del partito o  del  gruppo  politico organizzato [...].
  2. I partiti che notoriamente fanno uso di un determinato simbolo sono tenuti a presentare le loro liste con un contrassegno  che  riproduca tale simbolo. 
  3. Non  è  ammessa  la  presentazione  di  contrassegni,  identici o confondibili con quelli presentati in precedenza  ovvero  con quelli riproducenti simboli, elementi e diciture, o  solo  alcuni  di essi, usati tradizionalmente da altri partiti. 
  4. Ai  fini  di  cui  al  terzo  comma   costituiscono   elementi   di confondibilità, congiuntamente od  isolatamente  considerati,  oltre alla rappresentazione  grafica  e  cromatica  generale,  i   simboli riprodotti, i singoli dati grafici, le espressioni letterali, nonché le parole o le effigi costituenti elementi  di  qualificazione  degli orientamenti o finalità politiche connesse al partito o  alla  forza politica  di  riferimento  anche  se  in   diversa   composizione o rappresentazione grafica. 
  5. Non  è  ammessa,  altresì,  la  presentazione   di contrassegni effettuata con il solo scopo di preculderne surrettiziamente l'uso ad altri soggetti politici interessati a farvi ricorso. 
  6. Non è ammessa inoltre la presentazione da parte di altri partiti o gruppi politici  di  contrassegni  riproducenti  simboli  o elementi caratterizzanti simboli che  per  essere  usati tradizionalmente da partiti presenti in Parlamento possono trarre in errore l'elettore. 
  7. Non  è  neppure   ammessa   la   presentazione  di  contrassegni riproducenti immagini o soggetti religiosi. 

Come si può vedere, è soprattutto il comma 6 a sostenere l'Udc: usa lo scudo dal 2002 (da quando esiste), dunque il suo uso è "tradizionale" e da allora è sempre stata in Parlamento. Tra l'altro c'è tuttora: https://www.google.com/url?q=https://www.senato.it/leg/18/BGT/Schede/Gruppi/Grp.html&source=gmail&ust=1634803400539000&usg=AFQjCNGpM2eH0F6xmhdOhDiiema3FIC-Hg">. Sul sito del Senato il gruppo di Forza Italia contiene anche il riferimento all'Udc (lì stanno Binetti, De Poli e Saccone, eletti nei collegi uninominali dunque in rappresentanza di tutta la coalizione, ma pur sempre in quota Udc). Per questo vedo particolarmente difficile la via per negare all'Udc l'uso elettorale del simbolo (tra l'altro, andando in tribunale si potrebbe discutere della titolarità del simbolo come segno identificativo, non come emblema elettorale, che è un altro paio di maniche).

Mi preme precisare, che le disposizioni che ho indicato ora hanno un'origine (anche temporale) diversa. L'attuale comma 6 (quello più rilevante e ostativo in questo ambito per la Dc) è stato introdotto nel 1975 (con la legge n. 130/1975, che interveniva sulla propaganda elettorale e sulla presentazione delle candidature), allo scopo di tutelare gli elettori dei partiti consolidati e già noti per la loro presenza parlamentare, evitando che fossero confusi dall'adozione di simboli simili da parte di altre forze politiche nuove o già esistenti (si erano già svolte sei elezioni politiche, quindi c'era una certa stabilità dei partiti presenti in Parlamento). Analoghe norme sono state previste per le elezioni regionali e amministrative con la stessa legge.

Il comma 4, che precisa i criteri per valutare la confondibilità, è stato aggiunto (quasi per intero) nel 1993, con la legge che ha introdotto il Mattarellum (si è trattato di un emendamento proposto dalla Commissione Affari costituzionali della Camera, non legato a un partito in particolare). Le ultime parole del comma ("anche se in diversa composizione o rappresentazione grafica") sono però state aggiunte nel 2005, con il Porcellum, insieme alla precisazione - al comma 3 - che non sono ammissibili contrassegni confondibili "con quelli riproducenti simboli, elementi e diciture, o solo alcuni di essi, usati tradizionalmente da altri partiti" (l'aggiunta riguarda le parole sottolineate). 

Entrambe queste ultime aggiunte sono frutto di un emendamento presentato dal leghista Ugo Parolo (e integrato dalla Commissione Affari costituzionali, allora presieduta da Donato Bruno di Forza Italia): quell'emendamento era certamente frutto della situazione in cui si trovava la Lega Nord, che per anni aveva subito la concorrenza di altre Leghe (prima la Lega alpina Lumbarda e altri gruppi minori, poi la Lega per l'autonomia - Alleanza lombarda) e voleva che fossero colpite anche solo le somiglianze parziali (il che vale, per esempio, anche per le diverse raffigurazioni dello scudo crociato); a quell'emendamento avevano aderito con convinzione pure i Verdi, altro partito pluriclonato nel simbolo (pensa ai Verdi-Verdi in Piemonte o ai Verdi Federalisti in Lazio). Sono soprattutto queste modifiche a essere note spesso come "decreto Casini", anche se Casini in quel periodo era "solo" presidente della Camera (peraltro proprio il ramo del Parlamento in cui quell'emendamento fu approvato), senza un ruolo diretto in quella norma.

Nel ringraziare Maestri per il suo prezioso contributo, lascio agli amici più competenti di me in materia giuridica di valutare se e come procedere per le vie giurisdizionali, mentre chiedo agli amici del Consiglio nazionale, della Direzione e della Segreteria nazionale,  di assumere una forte iniziativa politica in tutte le sedi istituzionali e dei media per superare questa insostenibile situazione.

 

Ettore Bonalberti