Perseguo  il  sogno  della  rinascita  politica  della  DC dal  1994,  anno  della  sua  fine mai  consumatasi sul piano giuridico come da sentenza della Cassazione n.25999 del 23.12.2010, e  ripreso con alcuni amici dal 2012, sin qui con molti ostacoli. Comprendo le ragioni che Guido Bodrato ha sintetizzato con un’immagine: “la DC era come un cristallo che si è  frantumato e  non è più ricomponibile”, tanto più che molti dei frammenti di quel cristallo sono animati da  pulsioni  egoistiche  o,  peggio,  da  colpevoli  responsabilità  che  si  tenta  di  occultare anche manovrando taluni sabotatori seriali. 

Non  a  caso  ho  partecipato  all’ultimo  XIX  congresso  nazionale (ottobre  2018) nel  quale  ho  contribuito all’elezione dell’amico Renato Grassi alla segreteria del partito. La DC è il partito di  cui continuo  a  far  parte, convinto  come  sono  che,  anch’esso  possa  e  debba  concorrere  alla  ricomposizione dell’area più vasta cattolico democratica e cristiano sociale.

Ecco perché non  raccolgo  le  provocazioni  di  qualche  amicoC, che  vorrebbe  dimostrarsi  più  democristiano  di  quanti  come  me  lo  sono  da  una  vita  e  lo  saranno  per  sempre. Una  cosa, però.  è il  sogno  e  un’altra  la  realtà  effettuale  della  politica  italiana.  Ragionare  in  termini  esclusivi  di  ricostruzione della DC può essere una condizione necessaria ma, certamente, non sufficiente  per dare risposte concrete all’esigenza di un centro politico di cui il Paese ha necessità.  

Basta analizzare, come faccio da diverso tempo, il tipo di legge elettorale che sarà scelta per le  prossime  elezioni  politiche.  Se  restasse l’attuale “rosatellum” o  analoga legge maggioritaria,  una  DC, ancorché riunificata (operazione  sin  qui  risultata  impossibile) potrebbe  forse  garantire  qualche  candidatura  a  qualche  amico  in  uno  dei  due  poli  in  cui  si  ripartirebbe  la  scelta politica, mentre il nostro residuo elettorato, come già sperimentato, si tripartirebbe tra  destra, sinistra e non voto. In tal caso, insomma, la battaglia per la semplice e pur importante  riunificazione  dei  DC,  sarebbe  quanto  mai  velleitaria. 

Se,  invece,  fosse  adottata  una  legge  elettorale di tipo proporzionale con sbarramento, è evidente che una DC da sola non andrebbe  da nessuna parte, rischiando risultati con percentuali  tali da non superare il 3 o 4 per cento  richiesto.  Anche  e  a  maggior  ragione  in  questo  caso,  servirebbe  un’ampia  unione di  componenti dell’area cattolico democratica e cristiano sociale.   

Dopo  la  formazione  dell’attuale  governo  Draghi,  si  sta  verificando  un  processo  di  seria  scomposizione-ricomposizione  delle  forze  politiche  all’interno  del  quale  assume  realistica  possibilità, come annunciato da più parti,  quella di una Federazione di centro di cui ho scritto  nella mia  ultima  nota  politica. In  sostanza, restando la legge maggioritaria, il  progetto  della  rinascita politica della DC, ancorché meritevole sarebbe inefficace se non per le ambizioni di  qualcuno,  come  lo  è  stata  la  rendita  di  posizione  garantita a  destra dall’utilizzo  per  grazia  ricevuta del simbolo dello scudo crociato, dal trio dell’UDC: Cesa, De Poli, Saccone insieme alla  sen. Binetti.

Con la legge di tipo proporzionale, essenziale sarebbe l’unità più vasta d’area. Se  consideriamo  ciò  che  si  sta  muovendo  nello  scenario  politico  italiano,  l’idea  di  una  Federazione  di  un  centro  come  più  volte  da  me connotato,  penso sia  la  proposta  politico organizzativa più valida, efficiente ed efficace per garantire una soluzione laica, democratica,  popolare,  riformista,  ispirata  ai  valori  dell’europeismo  e  dell’atlantismo,  della  difesa  della  costituzione  repubblicana,  nella  quale  una  forte  componente  di  ispirazione  cattolico  democratica e cristiano sociale sarebbe oltremodo utile e opportuna.  

Ettore Bonalberti