Il Parlamento in seduta comune dei suoi membri e dei delegati delle regioni per l’elezione del 13° Presidente della Repubblica è già stato convocato per il 24 gennaio alle ore 15 a norma degli artt. 83 e 85 della Costituzione.

I pronostici dei politologi indicano concordemente Mario Draghi come il più probabile successore di Sergio Mattarella.

Si sostiene che l’elezione di Draghi costituirebbe un elemento indispensabile di garanzia per il rispetto degli impegni che l’Italia ha assunto nei confronti dell’Unione Europea.

La tesi presenta a sommesso parere di chi scrive, non pochi problemi.

L’adempimento degli impegni programmatici dipende dall’azione del Governo. La Costituzione, come è notorio, non affida, anzi esclude che sia affidato, al Presidente della Repubblica un ruolo di governo.

Possiamo ritenere che Draghi avrebbe comunque il potere di “teleguidare” il Governo nominando, a norma dell’art. 92, un Presidente del Consiglio di sua fiducia e nominando poi su proposta di questi, i ministri del nuovo Governo (sempre di sua fiducia).

Inevitabile comunque, nell’ipotesi in esame, la formazione di un nuovo Governo. Ciò considerato ci domandiamo: “Riusciranno gli attuali partiti a restare uniti (tra loro e al loro interno) per collaborare su obiettivi programmatici precisi senza avere Draghi, in persona, come Presidente del Consiglio?”

È da ritenere che i partiti riuscirebbero a stare insieme in considerazione del fatto che nessuno di essi e, in particolare nessuno degli attuali membri del Parlamento, è pronto ad affrontare le elezioni politiche anticipate. Ma, ci domandiamo ancora: “Un Governo sostenuto solo dalla paura delle elezioni anticipate sarà capace di produrre soluzioni efficaci per la soluzione dei problemi economici sociali che si aggravano ogni giorno a causa della pandemia e a riformare la gestione dei servizi pubblici, in particolare quello sanitario e della giustizia?”

Non vogliamo essere pessimisti ad ogni costo tuttavia riteniamo sia opportuno valutare se altre vie siano da percorrere per la scelta dell’inquilino del Quirinale.

Una seconda via potrebbe essere questa. Draghi rimane al suo posto a un’altra persona viene eletta Presidente della Repubblica.

Nascerebbero anche in questo caso problemi non da poco.

Osserviamo. Draghi, non per obbligo, ma per galateo costituzionale sarebbe tenuto presentarsi al nuovo Presidente e rimettere il proprio mandato nelle sue mani. Si aprirebbe comunque una crisi di Governo. E questo ci riporta ancora alle domande sopra formulate circa la capacità dei partiti attuali di instaurare rapporti di collaborazione per garantire un’azione di governo adeguata ai problemi del paese.

Una via che appare meno problematica, a sommesso avviso di chi scrive, potrebbe essere la seguente. Sia Mattarella che Draghi restano al loro posto fino alla scadenza naturale della legislatura, al 2023 (quieta non movere). Mario Draghi potrebbe così continuare a svolgere il suo ruolo governo e proseguire nel lavoro già messo in cantiere, con l’autorevolezza che nessuno oggi ha il coraggio di contestare.

Questa scelta implicherà, si ritiene, che Mario Draghi debba prendere al più presto la decisione di “scendere in politica”. Più precisamente, di avviare la formazione di un suo partito che sia in grado di affermarsi alle prossime elezioni. Il compito non sarà certo facile, ma è da ritenere che l’uomo possieda le risorse del caso. E possa essere affiancato in quest’opera da altri uomini di buona volontà.

Quest’ultima soluzione avrebbe così il vantaggio - davvero auspicabile dalla parte più consapevole dei cittadini che hanno a cuore il bene della Repubblica - di ricollocare la politica italiana nei binari della normalità del funzionamento del nostro sistema democratico parlamentare. Un sistema in base al quale alla guida dell’esecutivo vi è una persona espressa da una maggioranza parlamentare che ha ottenuto il necessario consenso dal corpo elettorale.

 

                                                       Giorgio Pizzol