1. Che cos’è la Dottrina  Sociale della Chiesa?

La Dottrina Sociale è strettamente connessa al compito fondamentale della Chiesa: l’evangelizzazione. La Chiesa, infatti, esiste per evangelizzare! Non pretende di disporre di soluzioni tecniche ai problemi della società; infatti, quando ne prospetta alcune, non le propone come vincolanti per i credenti. Essa vuole aiutare a leggere la realtà alla luce della fede, assumendo una prospettiva teologico/morale.

L'espressione «Dottrina sociale della Chiesa» sottende un insegnamento compiuto dai pontefici ─ a partire da Leone XIII  ─ che implica tre ambiti.

  1. La Dottrina sociale della Chiesa contiene principi e valori fondamentali. Essa è costituita dalla presentazione di una visione della persona umana e della società umana, che trova la sua radice nella fede cristianama che, almeno  parzialmente,  può essere condivisa anche alla luce della sola ragione.
  2. La Dottrina sociale della Chiesa contiene criteri di giudizio. Essa si basa su una serie di princìpi generali che servono come criteri per la edificazione della società umana nelle sue varie articolazioni:famiglia, matrimonio, lavoro, pace, comunità internazionale, ecologia, ecc.
  3. La Dottrina sociale della Chiesa contiene orientamenti per l’azione.Essa, infatti, propone indicazioni molto pratiche, che possono poi costituire il programma socialedi associazioni, movimenti, partiti politici, ecc.

Quindi quando si dice «Dottrina sociale della Chiesa» si indica un complesso di insegnamenti che si pongono in ambiti abbastanza diversi. In tal senso il cristiano deve poter trovare nella Dottrina sociale della Chiesa i principi di riflessione, i criteri di giudizio e le direttive di azione da cui partire per promuovere un umanesimo integrale e solidale. Diffondere tale dottrina costituisce, pertanto, un'autentica priorità pastorale, affinché le persone, da essa illuminate, si rendano capaci di interpretare la realtà di oggi e di cercare appropriate vie per l'azione.

La Dottrina Sociale della Chiesa diventa così un importante strumento di missione e di evangelizzazione perché aiuta ad interpretare la realtà di oggi offrendo anche appropriate vie  per l’azione. Una proposta che può essere preziosa anche per i non credenti  in quanto caratterizzata da un rilevante carattere umanistico. Giovanni Paolo II nell’intero sesto capitolo della Centesimus annus, afferma:

“La Chiesa (...) non propone sistemi o programmi economici e politici, né manifesta preferenze per gli uni o per gli altri, purché la dignità dell’uomo sia debitamente rispettata e promossa ed a lei stessa sia lasciato lo spazio necessario per esercitare il suo ministero nel mondo. La Chiesa è «esperta in umanità» e ciò la spinge a estendere necessariamente la sua missione religiosa ai diversi campi in cui uomini e donne dispiegano le loro attività, in cerca della felicità, pur sempre relativa, che è possibile in questo mondo, in linea con la loro dignità di persone. (...)

La dottrina sociale della Chiesa non è una «terza via» tra capitalismo liberista e collettivismo marxista, e neppure una possibile alternativa per altre soluzioni meno radicalmente contrapposte: essa costituisce una categoria a sé. Non è neppure un’ideologia, ma l’accurata formulazione dei risultati di un’attenta riflessione sulle complesse realtà dell’esistenza dell’uomo, nella società e nel contesto internazionale, alla luce della fede e della tradizione ecclesiale. Suo scopo principale è di interpretare tali realtà, esaminandone la conformità o difformità con le linee dell’insegnamento del Vangelo sull’uomo e sulla sua vocazione terrena e insieme trascendente; per orientare, quindi, il comportamento cristiano. Essa appartiene, perciò, non al campo dell’ideologia, ma della teologia e specialmente della teologia morale. (SRS 41) .

All’uomo e alla donna, creati a Sua immagine e somiglianza, Dio richiede un’esistenza morale che è riconoscenza e omaggio al Padre, ma anche cooperazione al Suo piano nella storia. La morale universale e le regole primordiali di ogni vita sociale sono dettate dai Dieci Comandamenti. Disobbedire a Dio, significa sottrarsi al Suo sguardo d’amore e voler gestire autonomamente l’esistenza di sé e del mondo e il proprio agire in esso. Da questo errore scaturiscono i mali che insidiano le relazioni sociali e le situazioni che attentano alla dignità della persona, alla giustizia, alla solidarietà.

 

2. Le due fonti della dottrina sociale cristiana

Gli elementi basilari della dottrina sociale della Chiesa quali il primato della persona, il carattere sacro della vita, la subordinazione dell’azione politica ed economica alle esigenze della morale, emergono da due fonti principali: la Rivelazione ed il diritto naturale.

 

─ La Rivelazione

La Scrittura in quanto Parola di Dio, è la radice e la linfa vitale  di ogni annuncio cristiano. Il riferimento alla Rivelazione è fondamentale.  La Bibbia non è un insieme di indicazioni sociali;  è, prima di tutto, annuncio della salvezza realizzata in Gesù. Ciò non toglie, però, considerato che Cristo è l’alfa e l’omega della storia, che il messaggio biblico abbia una rilevanza sociale.

Il primo aspetto importante è il rapporto con Dio. Quando l’uomo e la società escludono Dio, tutte le relazioni umane rischiano di essere inquinate dal male.

Un secondo tema è dato dalla dignità umana: l’uomo è creato «ad immagine e somiglianza di Dio», ma, soprattutto, dal fatto che lo stesso Figlio di Dio si è incarnato ed è diventato un essere umano.

 

─ Il diritto naturale

Il diritto naturale costituisce, in qualche modo, un preambulum fidei.

Ma che cosa si intende per “diritto naturale”? Perché vi sia un diritto naturale deve esserci una legge naturale. E che cos’è la legge naturale? La legge naturale è una via verso il fine proprio dell’uomo (S. Th. I-II, q. 90, a. 1), essa è «scritta ed impressa nell’animo di ciascuno, non essendo altro che la ragione stessa, che ci comanda di fare il bene e ci proibisce di fare il male» (VS 44).

Definire in tal modo il diritto naturale

consente di conservare alla dottrina sociale un carattere empirico e positivo (in quanto occorre conoscere le inclinazioni dell’uomo se si vuole ben regolarle) e nel contempo razionale (queste inclinazioni sono infatti morali in quanto regolate dalla ragione). In tal modo non si corre il rischio di presentare la legge naturale come dedotta in modo puramente razionale ed a priori, partendo da una definizione astratta della essenza dell’uomo, e nel contempo si afferma la intelliggibilità della natura umana (...).

 

3. Le idee chiave della Dottrina Sociale della Chiesa

Il principio supremo della Dottrina Sociale della Chiesa è il comandamento dell’amore, che da solo basterebbe a fare la differenza rispetto alle molteplici ideologie dei nostri giorni. Ad esso si legano:

  1. il riconoscimento della dignità dell’uomo, che si esprime nel principio del personalismo;
  2. il principio del bene comune;
  3. il principio di solidarietà;
  4. il principio di sussidiarietà;
  5. i principi di autoritàelegalità;
  6. il principio della partecipazionealla vita pubblica.

 

Consideriamo brevemente i principi elencati.

─ Dignità della persona umana

La persona umana, nell’insegnamento cattolico, é la vera protagonista della vita sociale. All’uomo, che ha ricevuto da Dio la dignità di creatura e di persona, la Chiesa si rivolge per sostenerlo nel cammino verso la pienezza della sua vocazione più alta e nobile: l’Alleanza con Dio, Padre amorevole, che lo pone al centro ed al vertice del creato. La nozione di persona, nell’attuale accezione, è di origine medioevale. In Severino Boezio ed in S. Tommaso troviamo definizioni analoghe che pongono l’accento sul suo carattere di sostanza individuale dotata di ragione. Per la Chiesa, la dignità della persona umana si fonda sul fatto che essa è imago Dei, ed è oggetto dell’amore di Dio. In questo consiste anche la vocazione dell’uomo che è «di rendere manifesta l’immagine di Dio» (CCC 1877). Perciò «tutto quanto esiste sulla terra deve essere riferito all’uomo, come a suo centro e a suo vertice» (GS 12).

Il principio del personalismo

è un principio che nella sua portata antropologica costituisce la fonte degli altri principi che fanno parte del corpo della dottrina sociale. L’uomo-persona è il soggetto e il centro della società, la quale con le sue strutture, organizzazioni e funzioni ha come scopo la creazione e il continuo adeguamento di condizioni economiche, culturali che permettano al maggior numero possibile di persone lo sviluppo delle loro capacità e il soddisfacimento delle loro legittime esigenze di perfezione e di felicità. Per questa ragione la Chiesa non si stancherà mai di insistere sulla dignità della persona, contro tutte le schiavitù, gli sfruttamenti e le manipolazioni perpetrati a danno degli uomini, non solo nel campo politico ed economico, ma anche culturale, ideologico e medico. (OR 31).

L’insistenza sulla dignità della persona umana non spinge la Chiesa a cadere nelle secche dell’individualismo. Essa, assumendo una millenaria tradizione, non soltanto cristiana, afferma che l’uomo «per sua intima natura è un essere sociale, e senza i rapporti con gli altri non può vivere né esplicare le sue doti» (GS 12). L’uomo, come rilevano Aristotele e San Tommaso, è, fra tutti gli animali, il più comunitario, non soltanto perché ha bisogno degli altri per vivere, ma soprattutto perché fa «uso del linguaggio, mediante il quale l’uno può comunicare totalmente all’altro il suo pensiero»

─ Il Bene Comune

La nozione di Bene comune ha radici molto antiche: dal tempo di Aristotele e da quello di Menenio Agrippa, molti hanno concepito la società come un organismo, subordinando l’interesse individuale a quello della comunità. Nella tradizione cattolica il concetto di Bene comune trova espressione compiuta in S. Tommaso, il quale apporta una significativa correzione alle visioni precedenti, precisando come  «(...) per gli aspetti che ha comuni con tutti i viventi e con tutti gli animali l’uomo sia subordinato alla comunità politica e debba sacrificare il suo bene individuale alla comunità; mentre per l’aspetto umano, per la ragione, l’individuo ha da realizzare certi valori che non possono essere sacrificati  per nessuna cosa al mondo.»

Il principio del bene comune ricorda che la persona può trovare il suo compimento nel “suo essere «con» e «per» gli  altri” (Compendio pag. 165). Il suo rispetto, lo sviluppo, ed infine la pace, sono i suoi elementi fondamentali. Si tratta di consentire ad ogni soggetto di realizzare la propria vocazione, di poter agire secondo coscienza, di creare l’unità della famiglia umana. Quindi non si può parlare di bene comune come la somma dei desideri di ogni singola persona, gruppo, o società, ma come “l’insieme  di quelle condizioni della vita sociale che permettono sia alle collettività sia ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più celermente” (Compendio pag. 164)..

Il Magistero offre numerose definizioni del concetto di Bene comune.

La Gaudium et spes dà la seguente: «l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente» (GS 26). Esso comporta tre elementi essenziali: «In primo luogo, esso suppone il rispetto della persona in quanto tale. In nome del bene comune, i pubblici poteri sono tenuti a rispettare i diritti fondamentali ed inalienabili della persona umana.» (CCC 1907). La società deve operare per garantire ad ogni uomo ciò che è necessario per realizzare  la propria vocazione umana (soprattutto l’esercizio delle libertà naturali).

In secondo luogo, il Bene comune  richiede il perfezionamento della comunità attraverso lo sviluppo di tutti i settori dell’attività e dei bisogni umani. Tocca, in particolare, all’autorità rendere accessibili «tutte quelle cose che sono necessarie a condurre una vita veramente umana, come il vitto, il vestito, l’abitazione, il diritto a scegliersi liberamente lo stato di vita e a fondare una famiglia, all’educazione, al lavoro, al buon nome, al rispetto, alla necessaria informazione, alla possibilità di agire secondo il retto dettato della sua coscienza, alla salvaguardia della vita privata e alla giusta libertà anche in campo religioso.» (GS 26)

Infine il bene comune implica «la pace, cioè la stabilità e la sicurezza di un ordine giusto. Suppone quindi che l’autorità garantisca, con mezzi onesti, la sicurezza della società e quella dei suoi membri. Esso fonda il diritto alla legittima difesa personale e collettiva.» (CCC 1909) Il concetto di Bene comune si può applicare a ogni comunità umana, ma trova la sua attuazione più ampia nella comunità politica (CCC 1910), in quanto essa è, nel suo ordine, la società più perfetta. Ovviamente, però, nel momento in cui i legami di mutua dipendenza tra gli uomini, a livello internazionale, si intensificano, occorre porsi anche il problema del Bene comune a livello planetario.

─ Il principio di solidarietà

Di antiche origini giuridiche, la nozione di solidarietà comporta l’idea dell’impegno morale di prestarsi reciproco aiuto, che nasce dalla consapevolezza di una comunità di interessi. La solidarietà è innanzitutto una virtù da parte di chi ha di più verso i più poveri, quindi non un sentimento di compassione, ma un continuo impegnarsi per il bene comune superando ogni individualismo in una condivisione di beni materiali e soprattutto spirituali. Il principio di solidarietà venne definito in maniera efficace da Pio XII nell’enciclica Summi pontificatus, dove afferma che un errore

oggi largamente diffuso, è la dimenticanza di quella legge di umana solidarietà e di carità,  dettata e imposta tanto dalla comunità di origine e dall’uguaglianza della natura razionale in tutti gli uomini, a qualsiasi popolo appartengano, quanto dal sacrificio di redenzione offerto da Gesù Cristo sull’altare della croce, al Padre suo celeste, in favore dell’umanità peccatrice. (SP 15)

Il concetto è stato ulteriormente precisato da Giovanni Paolo II che ha visto nella solidarietà una virtù sociale di primaria importanza (SRS 38 e ss). Il principio di solidarietà trova la sua prima applicazione «nella ripartizione dei beni e nella remunerazione del lavoro» (CCC 1940) e comporta l’impegno per costruire un ordine sociale più giusto, capace di riassorbire le tensioni attraverso la negoziazione. Esistono diverse forme di solidarietà: «solidarietà dei poveri tra loro, dei ricchi e dei poveri, dei lavoratori tra loro, degli imprenditori e dei dipendenti nell’impresa, solidarietà tra le nazioni e tra i popoli» (CCC 1941). La solidarietà, infine, «attua la condivisione dei beni spirituali ancor più di quelli materiali (CCC 1948). Il principio di solidarietà non può però stare da solo. Esiste, infatti, il rischio concreto che persone o gruppi cerchino di sfruttare a proprio vantaggio l’impegno solidaristico degli altri, trasformandosi in veri parassiti della società, reclamando dagli altri, come cosa dovuta, anche ciò che potrebbero fare da soli. Per questo esso trova il suo logico complemento nel principio di sussidiarietà.

─ Il principio di sussidiarietà

Come dice la parola stessa, il principio di sussidiarietà implica l’esigenza di offrire un subsidium, un aiuto, ha chi ne ha bisogno, senza per questo sostituirlo in ciò che può fare autonomamente. Il principio si applica soprattutto allo Stato ed alle istituzioni, che hanno il dovere di sostenere i singoli e gli organismi sociali di grado inferiore senza sostituirsi ad essi. Tale principio sostiene che la persona in primis, la famiglia e tutte le istituzioni o associazioni alle quali le persone danno spontaneamente vita e che rendono loro possibile una effettiva crescita sociale, devono essere aiutate nello svolgimento dei loro compiti senza essere sostituite o addirittura assorbite da istituzioni maggiori se non quando queste non siano in grado di farcela da sole. La sussidiarietà, quindi, valorizza l’attività della persona, della famiglia e dei corpi intermedi, accresce lo spirito di libertà e di iniziativa, salvaguarda “l’equilibrio tra la sfera pubblica e quella  privata” (pag. 187), responsabilizza il “cittadino nel suo «essere parte» attiva della realtà politica e sociale del Paese” (pag.187) introducendo il principio della partecipazione che si configura come base e come garante dell’ordinamento democratico.

Dobbiamo però la formulazione più compiuta a Pio XI:

Ma deve tuttavia restare saldo il principio importantissimo nella filosofia sociale, che, siccome non è lecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere ad una maggiore e più alta comunità quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare.

(...) l’oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle ed assorbirle. Perciò è necessario che l’autorità suprema dello Stato rimetta ad assemblee minori ed inferiori il disbrigo degli affari e delle cure di minor importanza (QA 80-81) Il principio di sussidiarietà serve anche per tutelare la famiglia: le istituzioni hanno il dovere di sostenerla, ma non debbono sostituirsi ad essa. «(...) le comunità più grandi - dice il Catechismo della Chiesa Cattolica - si guarderanno dall’usurpare le sue prerogative o di ingerirsi nella sua vita» (CCC 2209).

─ I principi di autorità e legalità

Si chiama autorità il titolo in forza del quale delle persone o delle istituzioni promulgano leggi e danno ordini a degli uomini e si aspettano obbedienza da parte loro (CCC 1897). Secondo la Chiesa, l’autorità ha il suo fondamento nel carattere intrinsecamente comunitario della natura umana. Infatti, come sosteneva S. Tommaso, se non vi fosse qualcuno incaricato di prendersi cura del Bene comune, «la società si dissolverebbe; così come si dissolverebbe il corpo dell’uomo o di ogni altro animale, se non ci fosse in essi una forza direttiva in funzione del bene di tutte le membra.» Ogni comunità umana ha dunque bisogno di un’autorità che la regga (ID 2). In questo senso, si può dire che l’autorità viene da Dio e che, pertanto, le si deve obbedienza (Rm 13,1-2). L’autorità è esercitata legittimamente solamente se mira al Bene comune e lo fa servendosi di mezzi moralmente leciti. Leggi ingiuste e provvedimenti contrari alla morale non sono vincolanti per le coscienze perché norme simili «sono piuttosto violenze che leggi» (S. Th. I-II, q. 96, a. 5). Quale poi debba essere il tipo di autorità, la Chiesa non lo stabilisce: «la determinazione dei regimi politici e la designazione dei governanti sono lasciate alla libera decisione dei cittadini» (GS 74).

─ Il principio della partecipazione alla vita pubblica.

Perché la società funzioni nel modo migliore, non è sufficiente che l’autorità persegua il Bene comune: è indispensabile che ciascuno faccia la sua parte, non soltanto compiendo il proprio dovere secondo il posto che occupa ed il ruolo che ricopre, ma contribuendo, nei limiti delle sue possibilità e capacità per «suscitare e sostenere istituzioni che servano a migliorare la vita degli uomini» (CCC 1926). Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma che «I cittadini, per quanto è possibile, devono prendere parte attiva alla vita pubblica.» (CCC 1915). Ovviamente, ciò richiede istituzioni politiche e strutture costituzionali che agevolino la partecipazione, come sottolinea la Gaudium et spes: «È da lodarsi il modo di agire di quelle nazioni nelle quali la maggioranza dei cittadini è fatta partecipe della gestione della cosa pubblica in un clima di libertà.» (GS 31).

 

Conclusione

Non pretendo certo di aver offerto un quadro esaustivo della Dottrina Sociale della Chiesa. Spero solo di aver contribuito a risvegliare di desiderio di conoscerla meglio. Il richiamo costante alla verità e al bene comune può essere infatti un  prezioso stimolo per lo sviluppo, non utopistico, di una società migliore.

Papa Benedetto ha scritto:

«La dottrina sociale della Chiesa, che ha “un'importante dimensione interdisciplinare”, può svolgere, in questa prospettiva, una funzione di straordinaria efficacia. Essa consente alla fede, alla teologia, alla metafisica e alle scienze di trovare il loro posto entro una collaborazione a servizio dell'uomo. È soprattutto qui che la dottrina sociale della Chiesa attua la sua dimensione sapienziale. Paolo VI aveva visto con chiarezza che tra le cause del sottosviluppo c'è una mancanza di sapienza, di riflessione, di pensiero in grado di operare una sintesi orientativa, per la quale si richiede “una visione chiara di tutti gli aspetti economici, sociali, culturali e spirituali”. L'eccessiva settorialità del sapere, la chiusura delle scienze umane alla metafisica, le difficoltà del dialogo tra le scienze e la teologia sono di danno non solo allo sviluppo del sapere, ma anche allo sviluppo dei popoli, perché, quando ciò si verifica, viene ostacolata la visione dell'intero bene dell'uomo nelle varie dimensioni che lo caratterizzano. L' “allargamento del nostro concetto di ragione e dell'uso di essa” è indispensabile per riuscire a pesare adeguatamente tutti i termini della questione dello sviluppo e della soluzione dei problemi socio-economici» [Caritas in veritate, 31].

La Chiesa, “esperta in umanità”, ha necessità, per prendersi cura dell’uomo, di coinvolgere la società nella sua sollecitudine missionaria e salvifica, perché è proprio nella convivenza sociale che si determina la qualità della vita e, di conseguenza, le condizioni in cui ogni uomo e donna comprendono la loro vocazione e sé stessi. Evangelizzare il sociale significa infondere agli uomini la carica di senso e di liberazione del Vangelo, così da promuovere una società a misura dell’uomo perché a misura di Cristo. Tutto ciò che riguarda la comunità degli uomini non è estraneo all’evangelizzazione e questa non sarebbe completa se non tenesse conto del reciproco appello che si fanno continuamente il Vangelo e la vita concreta, personale e sociale dell’uomo. Tra la promozione umana e l’evangelizzazione ci sono legami  profondi di ordine sia antropologico e teologico che evangelico. La Chiesa con la sua Dottrina Sociale “si propone di assistere  l’uomo sul cammino della salvezza”.

 

Teofilo