A Riccardo Pittino sembra di vedere che papa Francesco stia dando un giro di vite a tutti quei movimenti proliferati negli ultimi 50-60 anni e molto spinti da papa Wojtyla che – a suo avviso - “minano l'unità, vogliono l'autonomia a scapito dell'autorità vescovile, non apportano nulla e si appropriano di quei fedeli che frequentano la chiesa portandoli nel loro sistema come fanno i Testimoni di Geova”. Peraltro il vaticanista Sandro Magister ritiene che la rete internazionale dei cardinali e vescovi amici del movimento dei Focolari sia “una delle lobby ecclesiastiche più funzionali a pilotare i consensi” in conclave.
Anzi secondo un’indagine condotta da Filippo di Giacomo per Repubblica, il 37% dei vescovi cattolici nel mondo sarebbe legato ai Focolarini. “Oggi ai focolarini nella Chiesa - assicura Magister - vogliono tutti un gran bene e tutti aprono le porte: cardinali, vescovi e curati di campagna”. Com’è ben noto non fu sempre così, e Guido Licastro ricorda ancora i tempi in cui “c’era molto sospetto da parte di tanti vescovi, anche perché spesso i Focolarini portavano via i giovani dalle parrocchie”.
Eppure, quando Chiara Lubich fu invitata a Roma, “nella linea del suo tipico spirito di obbedienza, non accettò l’invito fino a che non ebbe l’approvazione del vescovo”. Lo scrive Edwin Robertson, aggiungendo che quando la Lubich si recò dal vescovo “era pronta a rinunciare a Roma, se l’avesse consigliata in quel modo”. Ma “non fu così, e a Roma ci andò, e fece i primi passi per aprirvi un Focolare”. De Ferrari non voleva che a Roma Chiara e le sue compagne prendessero una casa in affitto, acconsentì invece alla soluzione dell’ospitalità nella casa del commendator Luigi Alvino e così, in effetti, avvenne.
“Il vescovo a noi si è rivelato veramente come un altro Cristo” affermava Chiara Lubich, aggiungendo che “obbedire al vescovo per noi è acquistare in libertà e in conforto e gaudio”. E ancora, scrivendo a mons. de Ferrari il venerdì santo del 1956: “La nostra unica forza è in questa unità colla Chiesa attraverso i Suoi Pastori ed a ciò principalmente – aggiungeva – attribuiamo la riuscita del nostro Movimento”. A Grächen (CH), il 21 luglio 1995. “Si scopre il vescovo, si scopre Gesù nel vescovo”.
Concordava con lei il fondatore di un altro movimento, don Luigi Giussani, accennando a “quella precisa volontà di costante riferimento all’autorità episcopale del luogo che, come ebbi già occasione di affermare, è uno degli elementi caratteristici dell’esperienza di CL”. “Uniti – aggiungeva il prete di Desio – al vescovo come a Cristo. A quel riferimento tutto deve essere interiormente e geneticamente subordinato ed eventualmente sacrificato”.Perché “è attraverso l’autorità che scaturisce l’energia del Mistero”.
Sulla stessa linea il suo successore Julián Carrón, che richiedeva “l’obbedienza al vescovo a qualunque costo, come ci ha sempre testimoniato don Giussani”. Concorda don Attilio Negrisolo, devoto di Padre Pio: “Io vedevo nel vescovo Gesù Cristo, il Papa, Dio”: e quel vescovo era nientemeno che mons. Girolamo Bortignon, il temibile cappuccino vescovo di Padova che – secondo il giudizio di Padre Pio – sarebbe stato ambizioso e lussurioso: un fariseo senza Dio e senza criterio che “portava l’abito di san Francesco ma non era figlio di san Francesco”.
Ruggero Morghen