Cambia la società e con essa cambiano anche i partiti. Quando le decisioni di tipo politico erano di competenza del re o del principe o dell’imperatore o del Papa,  coloro che pensavano di avere potere di influenza si schieravano per persone, spesso con quelle che ricoprivano un ruolo. E così gli schieramenti erano diventati nel Medio Evo tra guelfi e ghibellini o tra principi, tra dinastie.

Quando l’assetto istituzionale ha fatto passi verso il regime democratico, in parallelo all’aumento dell’istruzione, all’inurbamento, alla crescita dell’economia terziario-industriale, i partiti hanno cambiato natura, assumendo quella di associazioni, un po’ alla volta distinte per riferimenti ideologici circa l’assetto desiderabile della democrazia, dell’economia, delle attività socio-culturali. I partiti attivi in Italia  nel XIX e XX secolo erano di questa natura, ottenendo il riconoscimento forte del loro ruolo nella Costituzione repubblicana.

L’introduzione del suffragio universale e la crescita di fluidità nei movimenti di persone, beni e messaggi connessa a quella che i sociologi del territorio, i geografi umani e gli ecologi chiamano “rivoluzione mobiletica” ha favorito la costituzione di “partiti di massa”, con milioni di aderenti.

La Democrazia Cristiana, assieme al Partito Comunista, è stata in Italia uno dei due partiti di massa che hanno più di altri inciso sulle scelte politiche. L’epilogo della DC negli anni 1993-94 lo conosciamo, come conosciamo l’unico dei tentativi di ricostruire tale partito che ha avuto successo giuridico, con il Congresso di Roma del 2018,   che ha coinvolto i soci DC del 1992-93 (ultimo tesseramento) chiamati a raccolta dall’ultimo Consiglio Nazionale DC dopo la nota sentenza della Cassazione del 2010.

Tra poco sarà celebrato il XX Congresso, ovviamente con protagonisti tutti coloro che, vecchi e nuovi soci, hanno dato l’adesione alla Democrazia Cristiana. C’è stato tempo fino al 31 gennaio per dare tale adesione, ma, a meno di miracoli, la DC riattivata non sarà più un partito di massa con milioni di iscritti, ma un partito solo di alcune migliaia di soci con eterogenea presenza nelle diverse province e regioni.

Non manca chi è deluso dal fatto di non essere più il partito della seconda metà del XX secolo e dà per perso il progetto di riattivare la DC. Serve, per costoro, cambiare obiettivo, pensare a un nuovo partito, che richiami non più la DC, ma un’aggregazione ispirata al popolarismo o  una formazione di centro che comprenda anche l’area laica, liberale, riformista, ambientalista.

Altri, come l’on. Rotondi, pensa addirittura a una corrente di ispirazione cristiana nel partito di Fratelli d’Italia, che starebbe per avvicinarsi al Partito Popolare Europeo, pur appartenendo alla famiglia europea dei Conservatori. L’UDC è appagata definendosi Unione di Centro, componente di un’aggregazione laica di Moderati.

Alla base di tale delusione sta la convinzione che o la DC torna ad essere un partito di massa (pur se ridotta rispetto a un tempo) oppure è inutile pensare di riattivarla. Non ci si rende conto che il tempo dei partiti di massa è finito da tempo. Sopravvive il consenso di massa a un leader, consenso che si misura su sondaggi e votazioni, soggetto a grande mutabilità. La comunicazione politica, un tempo una delle funzioni fondamentali delle associazioni politiche partito, avviene non più ritrovandosi in riunioni di persone, ma attraverso mezzi di comunicazione informatici.

La democrazia interna al partito arretra, anziché progredire, e le sue regole, che la Costituzione prevede siano codificate da legge, sono affidate alle convenienze mutevoli di disposizioni statutarie e di regolamenti. L’elaborazione ideologica ha subito un collasso, è spesso rifiutata, negandone la funzione. Le appartenenze non sono più forti e motivate, ma o negate o deboli o cangianti. E si potrebbe continuare. Basti richiamare la diagnosi di un sociologo polacco, Zygmunt Bauman: viviamo in una “società liquida”.

In questa società le associazioni, specie quelle politiche, sono fatte da minoranze, minoranze attive, ma minoranze. Nessuna delusione, quindi, se il Congresso sarà quello di una minoranza attiva e non quella di un partito di massa. Già lo fu il XIX, anche per i decenni di congelamento, e lo sarà anche il XX. La sfida sarà quella di attrezzarsi per incidere nella vita politica, pur essendo un partito non più di massa.

Rincorriamo spezzoni di ex democratici cristiani che non apprezzano più l’appartenenza alla Democrazia Cristiana? Sono certo nostri interlocutori privilegiati, ma non siamo convinti che dobbiamo ricongelare la DC o definitivamente seppellirla pur di ristabilire una qualche forma di collaborazione.

Rincorriamo presunti leader capaci di crearsi un seguito? Ben vengano leader nuovi capaci di mobilitare adesioni e consensi, ma senza rinunciare al primato del nostro fondamento ideale sul quale si basa il nostro impegno politico, il pensiero sociale cristiano, non sostituibile dal carisma di un leader.

Dobbiamo avere la pazienza di una costruzione lenta e duratura, senza la fretta di costruire rendita politica. Ne abbiamo goduto per decenni, fin anche a deteriorare in alcuni casi il nostro rapporto con il popolo italiano. Possiamo ancora digiunare nel deserto per il tempo della purificazione. Il futuro Congresso ci aiuti a uscirne, ma non senza renderci conto dei cambiamenti della società nella quale operiamo.

sen. Renzo Gubert

Presidente del Consiglio Nazionale della DC