L’affannosa corsa contro il tempo in questa scadenza elettorale, assai ravvicinata, del 25 settembre per il rinnovo, nella nuova composizione, delle Camere, sta portando i partiti ad un tour de force per la definizione delle aggregazioni, nelle diverse forme, dalle semplici alleanze programmatiche, alle coalizioni, più o meno organiche. Posizionamenti necessitati da una legge elettorale, “il Rosatellum”: un misto tra maggioritario e proporzionale, con sbarramento al 3 per cento.

Il fatto è che a meno di poche settimane dalla presentazione delle liste, tutto appare ancora in grande fluidità. Dovuto in parte al clima di disorientamento e di acredine da parte delle forze di centrosinistra sulla scelta, assai avventurista di Conte, nuovo paladino del ritorno alle origini del movimento 5 stelle, e all’aperta ostilità verso Salvini e Berlusconi, che con la loro mossa tattica, in aperta difformità dalle condizioni poste da Draghi, disposto a proseguire la sua esperienza di governo senza disimpegno di alcuna delle forze dell’originaria maggioranza, hanno definitivamente spinto il premier verso la crisi di governo.

Una crisi che più che istituzionale è stata solo politica, perché formalmente l’esito del voto di fiducia non aveva che certificato la tenuta della maggioranza di governo. Gli strascichi non sono stati pochi, a destra e a sinistra. Il Pd non ha reagito con un semplice malumore, ma con la netta presa di distanza da Conte, al punto da doversi immediatamente inventare un’altra formula. A destra con il rompicapo della premiership che Meloni pregusta già, con l’occhio attento ai sondaggi, al momento, unanimemente, favorevoli, e Salvini e Berlusconi che mal digeriscono, sebbene sembrano aver concordato l’aurea regola dell’ automatica designazione del leader più votato.

Per la verità quel verbo: designare, non sembra aver chiuso la questione, perché non fa diventare automatica la scelta. Al momento è questa la coalizione che viene più accreditata a conquistare palazzo Chigi. Il fatto è che a scorrere la summa del loro programma, ove non si fa velo di un corposo attacco al nostro impianto costituzionale, non rassicura tutta quella parte di elettori che guardano con moderato ottimismo a soluzioni di centrodestra europeiste e solidariste, anti lepenista ed anti Visegrad. Mentre il Pd con la sua nuova formula del “campo aperto” è in cerca di nuovi alleati, ma rischia di cadere nel trabocchetto dell’armata Brancaleone.

Certo lo scenario non è di facile composizione, se si vuole battere la destra, ma il caleidoscopio degli accorpamenti che Letta sta cercando di comporre,spostando il suo asse verso il centro, dopo aver acquisito l’adesione della sinistra più radicale e degli ambientalisti, stringendo accordi organici, a cominciare dal partito di Calenda - che la mattina gli dice di essere pronto e la sera fa lo schizzinoso, puntualizzando, non a torto, sui tanti prevedibili imbarchi di politici, campioni dell’incoerenza e del trasformismo - lo espone a qualche diffidenza nell’elettorato.

C’è come dice Calenda il rischio di un fritto misto che spiazza buona parte di sostenitori perché difficilmente questi agglomerato può aiutare a delineare, nel segno dell’agenda Draghi, un progetto serio, credibile e efficace. Così dopo aver imbarcato i socialisti, Fratoianni e Bonelli attendono che si risolva la querelle tra Letta e Calenda sull’alleanza che questi offre a condizione (e a ben ragione il leader di Azione nell’intento di mantenere un minimo di compatibilità programmatica e per non giocarsi la credibilità associando campioni dell’ incompetenza e dell’improvvisazione) che i leader di SI e Verdi, assieme a Di Maio, restino fuori, quantomeno dai collegi uninominali, dove il concorso delle forze coalizzate è necessario.

C’è poi tutta la sceneggiata dei transfughi del movimento 5 stelle, campioni del trasformismo,nella nuova veste di “Salvatori della patria”, che, dopo aver distrutto gli assi portanti del nostro modello di sviluppo e premiato l’ozio anziché il lavoro, sotto l’ombrello del simbolo omnibus di Tabacci, stanno aspettando, in processione, da Letta, qualche collegio sicuro.

E, ironia della sorte, pare sia stato proposto un collegio proprio nelle vicinanze di Bibbiano, sui cui noti eventi, Di Maio ne fece un cavallo di battaglia nella precedente campagna elettorale del 2018.

Certamente non sarà facile per Letta tacitare la quasi rivolta dei militanti di quel territorio. Quando si dice l’impudenza infinita! Insomma uno spettacolo da circo Barnum che ha trasformato la nobile collocazione centrista in un supermarket per candidature sicure.

Vien da chiedersi, come ha fatto, in questi giorni, Follini su La Voce del Popolo, se, a questo punto, c’è davvero uno spazio al centro? “Lo spazio del centro c’è, ancorché sia angusto. A un patto, però. Che si tratti di un luogo di cucitura, di raccordo, di misura reciproca. E non invece un luogo in cui diventa difficile convivere per l’eccesso delle sue personalità e per la difficoltà a farle stare assieme con un briciolo di armonia.

Poiché il centro, appunto, è un luogo di concordia oppure non è”. Risposta lapidaria e nel contempo articolata. Se da una parte non fa velo del fatto che non rimarranno fuori dal tavolo tutte le ambiguità tra i leader nella prevedibile competizione tesa ad assumere il ruolo di federatore nel caleidoscopio delle forze eterogenee per metodi, programmi e obiettivi, non risolve il dilemma se e quale spazio può ritagliarsi, in questo ruolo di raccordo e cucitura, l’area cattolica, impegnata a dare prosecuzione all’esperienza della DC.

E non è da meravigliarsi visto che Follini dà per non più riproponibile quell’esperienza. Ma l’ipotesi di un rassemblement non è solo di queste settimane. Già a dicembre dello scorso anno F. Provinciali scriveva su Il Domani d’Italia: “Ad essere realisti, osservando la mappa attuale degli schieramenti, lo sparigliamento dei gruppi specie al centro – da sempre determinante per alleanze, bilanciamenti e quorum necessari – potrebbe scoraggiare il più audace teorico di una nuova rappresentanza politica identitaria del cattolicesimo social-liberale: il rassemblement che si va configurando per fare spazio ad un tertium genus politico è luogo di incroci, provenienze e identità diverse, convergenze ispirate da temperante moderazione.” Ed ancora: “..basta osservare la variegata presenza, ufficiale o occultata dentro partiti più consistenti, per rendersi conto di quanti inquilini attuali vogliano rinnovare il contratto di locazione. Udc, Coraggio Italia, Italia viva, Azione e +Europa, Maie-PSI-Facciamo Eco, Minoranze linguistiche, gruppo misto, Centro democratico, Noi con l’Italia, Rinascimento-Usei,-Adc, Alternativa, Democrazia Cristiana, senza contare deputati e senatori non iscritti ad alcun gruppo ma in attesa di più sicura collocazione.”.

Tutti pronti a divincolarsi dai vecchi padroni elettorali o dalla necessitata collocazione a destra o a sinistra, ma con il grosso fardello di come poi mettere insieme, con una progetto coerente e credibile, questa miscellanea di identità, liberale, socialista, riformista, radicale, azionista e popolare. Perché il problema è sempre il medesimo: chi tirerà le fila?

Saprà la DC accreditarsi subito come forza di mediazione e ricucitura, delle diverse istanze che mirano in quella direzione o dovrà più semplicemente accontentarsi di giocare una partita al traino di altre forze, alla mercé di decisioni sugli schieramenti, in vista del futuro governo, che rispondono a logiche non proprie, dovendo, obtorto collo, superare l’impaccio della raccolta delle firme? Ma non v'è chi non prende il problema più da lontano ripercorrendo le cause che hanno portato il mondo cattolico ad allontanarsi dalla politica attiva come fa il prof. V. Zamagni.

In un suo recente articolo su “politicainsieme.com“, Egli, partendo dalle radici dell’impegno dei cattolici in politica, si chiede quale sia, oggi, il compito proprio del mondo cattolico nell’arena politica. E così argomenta: “..La risposta ci viene da un celebre brano del card. H. Newman, oggi beato: “E’ venuto il tempo in cui i cattolici, che vivono di fede, per essere tali devono difendere la ragione. E proprio la ragione ci dice che è venuto il tempo in cui i cattolici che vogliono vivere di più società, devono difendere la politica (Sic!), però non una politica qualunque, ma quella della nostra convivenza civile”. E cosa chiede, oggi, “la nostra convivenza civile? Che si ponga mano, e in fretta, alla vexata quaestio della comunanza etica nella società del pluralismo, per riprendere il titolo di un recente importante scritto di F. Viola. In breve, si tratta di questo. Il pluralismo contemporaneo per definizione rifiuta l’idea di un’etica comune. Al tempo stesso, però, la vita associata – e soprattutto la politica – esige una comunanza (la koinotes di cui ha scritto Aristotele) fondata su principi etici se non vuole ridursi a mero proceduralismo. In assenza di comunanza, ci si rifugia nel relativismo, nella convinzione errata che il metodo dello svincolo (avoidance) sia l’unica strada percorribile per evitare il conflitto e assicurare così una parvenza di pace sociale. Che si tratti di pericoloso errore dovrebbe essere chiaro a tutti. Ebbene, la ricerca di una via attenta al rispetto del pluralismo etico e al tempo stesso capace di suggerire una comunanza etica significativa è la grande missione del mondo cattolico in questo tempo. Una società del pluralismo non può certo essere sorretta da un’etica univoca, ma può aspirare ad una inter-etica generata dall’incontro di quelle varietà culturali che abitano la stessa vita pubblica. Invero, la comunanza che si cerca non può essere né quella propria di una comunità culturale, né quella propria di una comunità religiosa – mai si dimentichi che è con il Cristianesimo che storicamente si afferma il principio di laicità – ma quella di una comunità politica. Il compito specifico di quest’ultima è quello di far convivere, in vista del bene comune, portatori di visioni diverse. E’ culturalmente attrezzato il nostro mondo cattolico per una missione del genere? Penso proprio di sì, purché lo si voglia..”.

Un bel rompicapo. Che suscita la conseguente domanda: C’è oggi, per un compito così impegnativo, un partito diverso dalla Democrazia Cristiana, in grado di rappresentare pienamente il mondo cattolico, capace di raccogliere, in questa fase elettorale così convulsa, un sostegno ed un consenso sufficiente per affermare questi obiettivi?

E la stessa DC - schiacciata sul dilemma se collocarsi, senza se e senza ma, al centro con il gravoso onere di andare nei territori, in così breve tempo, a raccogliere le firme o apparentarsi con forze che ne assicurino la presentazione del simbolo senza questo pesante adempimento, ma che possono non garantire la stessa sensibilità centrista al momento della formazione di un esecutivo - come potrà fare fede alla recente decisione della Direzione nazionale di orientare il proprio impegno elettorale nel variegato riferimento programmatico, di cui alla cosiddetta “agenda Draghi” “..sulla prospettiva di una ampia aggregazione elettorale politicamente caratterizzata dalle componenti liberal democratiche e dal popolarismo cattolico può certamente trovare spazio la partecipazione e l'impegno della Democrazia Cristiana.”?

Ora chiedo agli amici se davvero ritengono praticabile, in un quadro politico dominato da una legge elettorale che ci riporterà ad un malsano bipolarismo, l’ipotesi di un’aggregazione ridotta alle componenti liberal democratiche e popolari, che già ampiamente sono state in parte ipotecate da accordi, seppur si vogliano ritenere strumentali, con il Pd?

Forse andrebbe recuperata una visione più realistica dello scenario politico se non vogliamo cadere nel velleitarismo. Mentre tutte le discettazioni sul centro al di fuori di una una legge proporzionale, oggi appaiono dei semplici virtuosismi di maniera. Anche se per C. Coriolano su Il Domani d’Italia, in questo quadro la sfida che avanza Renzi non va sottovalutata. Costretto, per la diffusa diffidenza che egli suscita nel Pd, ed in buona parte dell’elettorato, ad inventarsi un’ipotesi di terzo polo, diverso dalla destra sovranista e dalla sinistra delle tasse, non gli sarà d'aiuto lo scarso numero di consensi che i sondaggi gli accreditano, tanto da apparire impresa assai irrealistica. Renzi immagina un polo che metta in primo piano il lavoro e non l’assistenzialismo, la giustizia e non il giustizialismo, l’ambiente e non le chiusure ideologiche, infrastrutture e non veti, diritti e non slogan”, e pur se non si nasconde il fatto che “andare da soli contro tutti è difficile”, prefigura il fatto che raggiungere l’obiettivo del 5 per cento non è impossibile.

Insomma, la sfida “al centro” del leader di Italia Viva va vista, come dice Coriolano, nel citato articolo, “(come) una prova di orgoglio in nome di un Paese a sua volta intollerante nei confronti di un bipolarismo forzatamente riproposto, quasi che l’esperienza del governo Draghi fosse da archiviare alla stregua di una semplice parentesi tra un prima e un dopo della normale dialettica democratica. Invece non è stata una parentesi, almeno non per molti elettori che nutrono la speranza di un positivo ricentramento della politica italiana, consci che il “centro” esiste e funziona se mette insieme le autentiche culture riformatrici del Paese.”

Il problema è che tempi così stretti per la campagna elettorale, soprattutto per le forze politiche che si sono man mano collocati al centro, non aiutano, con l’immanenza del “Rosatellum”, a imboccare simili avventure centriste, perché di spazi da terzo polo, allo stato, non se ne intravedono, a meno di non voler rischiare la mera testimonianza di bandiera, se si è fortunati a superare la soglia di sbarramento, magari con un semplice 1 per cento,collegandosi con qualche altra forza che riesca a superare lo sbarramento del 3 per cento, o aggregarsi ad uno dei due poli, che al momento si contendono il nuovo esecutivo, ma con tutte le connesse trasfigurazioni delle specifiche identità politico-programmatiche.

Luigi Rapisarda