Alla vigilia del voto del prossimo 25 settembre abbiamo esaminato la situazione in due riunioni, pressoché contemporanee: alla direzione nazionale della DC e nel direttivo della Federazione Popolare DC. Ho potuto partecipare a entrambe on line, nelle quali è emersa la dura realtà che, ancora una volta, ci vede senza simbolo e senza candidati nelle prossime liste elettorali.

Qualche “catecumeno di casa DC”, in cerca di gloria e utilizzando in maniera distorta l’incarico cui è stato chiamato, cerca di addebitare tale situazione all’incapacità dei nostri amici che hanno svolto le trattative col terzo polo. In realtà, gli amici interessati, Grassi e Alessi, avevano instaurato un buon rapporto con Matteo Renzi; rapporto conclusosi in malo modo, dopo l’alleanza fatta da Renzi con Carlo Calenda.

Al di là del noto carattere egocentrico di Calenda, “fasso tuto mi” e della sua già sperimentata idiosincrasia DC nelle ultime elezioni per il consiglio comunale di Roma, la verità del rifiuto calendiano nei nostri confronti, trova ben più fondate ragioni, dal suo punto di vista, volendosi egli attribuire il ruolo di continuatore della storia dell’azionismo politico italiano, che ha avuto il suo massimo esponente nella figura resistenziale di Ferruccio Parri. Tentativo che Calenda intende svolgere in Europa, al parlamento della quale egli è stato eletto sotto le insegne del PD, ora transitato sulle posizioni di Macron e dei conservatori liberali europei.

L’azionismo non ha una buona storia con noi DC, dato  che quella minoranza radical liberale repubblicana, ha sempre avuto  “ in gran dispitto” l’esperienza e il ruolo politico egemone svolto dai cattolici democratici e cristiano sociali della DC nel governo dell’Italia.

Spiace che Matteo Renzi, figlio della nostra tradizione, abbia accettato di svolgere questo ruolo oggettivamente subalterno, impegnato soprattutto a garantirsi la sua elezione e quella di alcuni dei suoi amici più fidati. Tanto nella DC, che nella Federazione Popolare, pur prendendo atto criticamente della situazione e lasciando libertà di voti ai nostri iscritti e simpatizzanti, continuiamo a ritenere che compito nostro sia quello di mantenere dritta la barra al centro per concorrere a costruire il centro nuovo democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, alternativo alla destra nazionalista e sovranista, distinto e distante dalla sinistra senza identità.

E questo resterà il tema che intendiamo sviluppare dopo il voto del 25 settembre.

Un voto che dovrà fare i conti con le cinque piaghe dell’autunno italiano: la guerra, la pandemia, l’inflazione, la crisi energetica, la siccità. Cinque piaghe alle quali si aggiunge il dato drammatico della povertà, che colpisce oltre sei milioni di persone, con 1,5 milioni in condizioni di povertà assoluta.

Tutto questo, in un Paese in preda a una crisi di sistema caratterizzato da un’astensione dal voto di oltre il 50%, destinata ad ampliarsi. Una situazione, insomma, caratterizzata dall’esistenza di una fortissima diseguaglianza sociale che potrebbe sfociare in una ben più pericolosa rivolta sociale.

Massimo Cacciari nel suo bell’editoriale su “La Stampa” di ieri, evidenzia  così lo stato dell’arte: “…. il 50% degli italiani che non vota è in gran parte formato da persone disperate ormai di veder risolti i propri problemi con competenza ed efficacia? Chi sono questi concittadini? La distribuzione del voto tra centri e periferie la dice lunga a proposito. Vi è chi vuol scelte moderate perché tira avanti più o meno facilmente anche in questa perenne crisi e teme il famoso salto nel buio – e chi avrebbe tutto l’interesse a scelte radicali, ma ormai è del tutto disincantato sulla loro praticabilità. Ogni giorno di più costoro formano, non solo in Italia, una nuova plebe. Una plebe che ha cercato i suoi tribuni senza mai riuscire a trovarli, passata da delusione a delusione. Ma, lo si sappia, una plebe senza tribuni è la negazione dell’idea stessa di repubblica, è dunque l’origine stessa del  principato”.

A me sembra  evidente che ciò che è saltato è l’equilibrio, sempre garantito dalla DC e dai suoi governi, tra interessi e valori dei ceti medi produttivi e quelli delle classi popolari. Un equilibrio per ricostruire il quale è necessario mettere in campo e attuare nelle istituzioni le indicazioni pastorali delle ultime encicliche sociali della Chiesa: dalla Centesimus Annus, alla Caritas in veritate, dalla Fratelli tutti alla Laudato SI.

E dobbiamo anche rifarci al pensiero sturziano. Farlo oggi significa tenere presenti i fondamentali della sua politica, che si riassumono nella critica alle  “tre male bestie della politica italiana: la partitocrazia, lo statalismo e lo sperpero del denaro pubblico.

Quanto alla partitocrazia, oggi siamo nella situazione peggiore della storia repubblicana. Partiti senza applicazione interna dell’art 49, spesso ridotti a proprietà personali del leader o della ristretta cerchia dei capi bastone che, grazie alla legge del porcellum, decidono i candidati “ nominati”, espressione  non della sovranità popolare, ma della fedeltà ai dante causa.

Lo statalismo che sarà ancor più accentuato dalla vittoria della destra meloniana che presenta programmi ancor di più fondati sullo sperpero del denaro pubblico. Tre condizioni che vanno considerate insieme al ruolo che il gruppo del trio dei rentiers Cesa e C. svolgono, di scendiletto di quell’area.

Noi dobbiamo restare fermi al centro, per poter riannodare i fili dopo il voto insieme agli amici di Insieme, della Federazione Popolare DC e di quanti sono interessati a ricomporre politicamente l’area cattolico democratica e cristiano sociale. Dobbiamo approfondire i temi indicati dalle ultime encicliche sociali della Chiesa per tradurli nella città dell’uomo, al fine di collegare gli interessi dei ceti medi produttivi con quelli delle classi popolari, che resta il problema essenziale della democrazia italiana. Unica strada necessaria per superare il vallo enorme che si è creato, per diverse ragioni, tra politica e società civile, tra istituzioni e corpo elettorale.

Nel deserto delle culture politiche che ha caratterizzato la seconda e l’avvio di questa terza repubblica, al trionfo dei populismi e dei sovranismi, dobbiamo proporre il messaggio forte del cattolicesimo democratico, del popolarismo fondato sui principi della solidarietà e sussidiarietà. Dobbiamo impegnarci a condividere in quest’area un programma per il Paese, che tenga conto delle priorità e delle attese della povera gente e dei ceti medi produttivi.

 

Ettore Bonalberti