Il 1° Giugno di quest’anno è ricorso il centenario di uno tra gli eventi più tragici nella storia degli Stati Uniti: il massacro del 1921 nel quartiere nero di Greenwood a Tulsa, in Oklahoma.
Il presidente Joe Biden ha deciso di commemorare la tragedia recandosi in visita nella città, cogliendo l’occasione per ribadire, nel suo discorso, il razzismo endemico che ancora oggi affligge la società statunitense e la necessità di un’azione concreta di integrazione.
Dopo la prima guerra mondiale, Tulsa è stata riconosciuta a livello nazionale per la sua ricca comunità afroamericana nota come “Greenwood District”. Questo fiorente quartiere d’affari e l'area residenziale circostante erano indicati come "Black Wall Street". Nell’America della segregazione, questo quartiere rappresentava una luce nelle tenebre: godeva di un’economia prolifica, era abitata da una classe media benestante (una vera eccezione), era architettonicamente sviluppata (con chiese, banche, ristoranti, teatri, scuole, alberghi...).
Sarà proprio la sua prosperità a scatenare l’invidia della vicina comunità bianca, che iniziò a sentirsi sempre più minacciata da questo rapido sviluppo, condizionata dalla violenza razziale insita nella società, fortemente influenzata dall’azione del Ku Klux Klan.
Il 31 maggio 1921, una folla di bianchi razzisti rase al suolo l’intero quartiere, causando 300 morti, incendiando oltre 1.470 case, radendo al suolo 35 isolati, incarcerando oltre 6.000 innocenti afroamericani e provocando oltre 10.000 sfollati.
Il progresso rappresentato da questa comunità è stato fermato sul nascere, ed i discendenti degli oltre 10.000 sfollati e sopravvissuti non hanno avuto nulla di tutto ciò che i loro antenati avevano costruito con anni di sacrifici.
Con quale pretesto questo accadde? Il capro espiatorio per l’uso della violenza venne trovato in un diciannovenne nero che di mestiere faceva il lustrascarpe, tale Dick Rowland: nella giornata del 30 Maggio, Dick, avendo un bisogno urgente di usare il bagno e trovandosi trovandosi fuori casa, dovette recarsi nell’unico edificio della città nel quale ci fosse un bagno per neri, sito all’ultimo piano. Per raggiungerlo prese l’ascensore, all’interno del quale prestava servizio come operatrice la bianca diciassettenne Sarah Page: non si sa cosa sia successo, ma qualcuno disse di aver sentito la Page urlare, motivo per cui in molti accorsero verso l’ascensore per capire cosa stesse accadendo, mentre i due ragazzi intimiditi scapparono. Le ricostruzioni della vicenda da parte della “Oklahoma Historical Society” dicono che semplicemente Dick le pestò accidentalmente il piede. La mattina seguente, il 31 maggio, il giornale bianco locale acclamava che “un negro aveva aggredito una ragazza” ed incitava al linciaggio. All’epoca della segregazione (finita formalmente negli anni 70’) i bianchi restavano impuniti per qualunque atto di violenza contro i neri, dunque il terreno era fertile per far esplodere la scintilla.
Dick Rowland fu arrestato, sebbene nessuna denuncia fu mai sporta a suo carico. La violenza feroce dei bianchi toccò l’apice con i bombardamenti ai danni dei civili perpetrati da loro aerei privati che sganciarono in quei 4 giorni di terrore bombe incendiarie e proiettili. Anche in questo Tulsa detiene un record negli Stati Uniti: fu la prima città americana a subire un bombardamento con queste modalità.
Quando tutto finì, le autorità locali diffusero la loro ricostruzione dei fatti, vendendo la versione dell’ennesima “riot”(rivolta) dei neri contro i bianchi, con l’unico scopo di causare disordini; l’opinione pubblica, come sempre, ci credette. Perfino le agenzie assicurative girarono a loro favore la stessa versione, così da poter rifiutare le richieste di risarcimento degli abitanti afroamericani di Greenwood. La maggior parte dei sopravvissuti lasciò la città, tranne chi scelse di restare per provare a ricostruire, almeno fino al secondo tragico epilogo: Tulsa fu rasa al suolo per ben due volte (la seconda per mano di un gruppo di urbanisti bianchi col pretesto del Rinnovamento Urbano, tra gli anni 60’-80’). Non ci furono conseguenze legali e l’episodio cadde nel dimenticatoio, come un capitolo oscuro da dimenticare.
Fu solo negli anni 60’ che “Don Ross”, un politico, giornalista ed attivista afroamericano di Tulsa decise di fondare un giornale ed iniziò a pubblicare articoli sul massacro. Entrò nel congresso statale dell’Oklahoma ed istituì una commissione per ricostruire gli avvenimenti del 1921 (una commissione per la verità). Nel 2001 pubblicò un manuale coi dettagli dei fatti e chiese giustizia per i sopravvissuti con un risarcimento equo: le richieste furono rifiutate sia dal Congresso Statale che dalla Corte Federale. La Commissione però non si arrese, venne fatto ricorso e furono ascoltati dalla Commissione del congresso sui fatti di Tulsa (Peace Riot Commission) vari testimoni (quelli diretti ormai sono rimasti in tre, tutti ultracentenari), allo scopo di rivalutare il risarcimento dovuto ai discendenti delle vittime.
A Greenwood, ancora oggi, viene negata la collocazione nel “National Register of historical places”, escludendo così il distretto da crediti d’imposta e altri benefici fiscali che potrebbero condurre a maggiori investimenti.
Sono stati condotti vari studi per giustificare concretamente quali indennizzi economici e morali siano dovuti per i danni arrecati alla comunità di Greenwood. Se si parla di uno dei primi genocidi del xx secolo, perché la comunità internazionale non vi ha dato il peso che meritava? Ci furono almeno 30 massacri razziali tra il 1917 ed il 1921: la maggior parte caddero nel dimenticatoio, e non a caso.. Quando si parla della storia Afro discendente, l’attenzione mediatica e della comunità internazionale si è sempre focalizzata su temi quali la schiavitù, la segregazione razziale, la lotta per i diritti civili e politici, oppure genocidi etnici in altre aree del mondo( es. il Ruanda). Gli americani, non dedicando la dovuta attenzione a questo episodio storico, hanno dimostrato di non essere pronti ad affrontare e giustificare agli occhi del mondo la ferocia razziale negli Usa, uno dei principali problemi che affliggono la loro società ancora oggi. Sebbene negli ultimi tempi il tema sia tornato con forza alla ribalta, sulla scia di movimenti come il “Black Lives Matter” ed altri, quali veri cambiamenti queste azioni stanno producendo?
Il massacro di Tulsa ha avuto ripercussioni nella sua società che durano ancora oggi e si sono trasformati in lacune culturali e sociali.
Oggi gli afro-americani si concentrano (meglio dire sono stati ghettizzati) nella zona Nord- North Tulsa- (10% della popolazione metropolitana), mentre South Tulsa è a prevalenza bianca; le imprese di loro proprietà costituiscono solo l’1,25% delle quasi 20.000 imprese dell’area, un dato che dimostra quanti siano gli ostacoli nella creazione ed espansione di qualunque attività imprenditoriale, con grave danno personale e per l’intera comunità.
Grazie ad un dettagliato report di Human Rights Watch ( edito il 29 maggio dello scorso anno)”The case for reparations in Tulsa, Oklahoma”, vengono elencate non solo gli indennizzi che sarebbero dovuti ai cittadini di quest’area, ma anche le numerose disparità razziali tutt’ora esistenti: nell’istruzione, nelle opportunità di lavoro, nella distribuzione della ricchezza.. Emergono dati sconcertanti: oltre un terzo degli abitanti di North Tulsa è al di sotto della soglia di povertà, ed il 35% è afro-americano; mentre solo il 13,4% degli abitanti di South Tulsa è al di sotto della soglia di povertà, e solo il 9,1% sono afro-americani. Nella zona nord ci sono nettamente meno attività (compresi negozi di alimentari), più edifici abbandonati e fatiscenti, meno banche e finanziatori, con una crescente svalutazione edilizia dell’area metropolitana, fino al 40% in meno rispetto a case simili site in quartieri non abitati da afro-americani.
È del tutto possibile che senza la violenza storica che ha afflitto l’area l’entità della svalutazione dei quartieri a maggioranza nera potrebbe essere ridotta o addirittura eliminata.
È triste ricordare questi capitoli oscuri della storia senza conoscerne la vera anima, perché la commemorazione senza coscienza dell’accaduto ha poco o nessun valore. Per secoli centinaia di neri sono stati uccisi solo perché tali - dopo la fine della schiavitù - e il giorno in cui il mondo realizzerà questa verità, si potrà davvero produrre un cambiamento.
È il non tenerne conto, il “non-peso”, l’errore più grande che il mondo possa commettere; dimenticare in fondo è come tradire, ma anche la consapevolezza del male non accompagnata dalla necessità morale di rimediare al male stesso è altrettanto riprovevole.
E cosi mi torna alla mente ciò che disse M. Kundera nell’Insostenibile leggerezza dell’essere.
Riflettendo sul concetto di eterno ritorno, si afferma per negazione che “la vita, scomparsa una volta per sempre, è simile a un’ombra, priva di peso, morta già in precedenza, e che, sia stata essa terribile, bella o splendida, quel terrore, quello splendore, quella bellezza, non significano nulla.
Non occorre tenerne conto, come di una guerra tra due Stati Africani del quattordicesimo secolo, che non ha cambiato nulla sulla faccia della terra, benché 300.000 esseri umani vi abbiano trovato la morte fra torture indicibili”.
Carlotta Biggi