Haiti, con 11.906.000 abitanti, è il più povero tra i paesi dell’America Latina, nonostante sia stato il primo al mondo  ad ottenere l’indipendenza coloniale nel 1804; un successo estremamente precoce rispetto a tutti gli altri paesi in via di sviluppo, liberi dall’oppressione coloniale dagli anni ‘60.  Secondo l’ HDI(Human Development Index) delle Nazioni Unite, il paese si colloca al 170° posto su 189, confermando il triste primato di essere  una delle regioni più depresse al mondo. Il suo Pil pro-capite è US$2,925, il più basso tra i paesi dell’America latina e Caraibi.

Le lingue ufficiali sono il Francese-parlato solo dal 20% della popolazione-, ed il Creolo haitiano;  la religione Cattolica è quella prevalente(80%), assieme a quella protestante (16%) ed ai riti Vudù legati alle tradizioni africane,dal momento che la quasi totalità(95%) degli abitanti è di etnia nera e discende da schiavi africani ivi deportati durante il periodo coloniale; bianchi e mulatti costituiscono solo il 5%.

Amministrativamente Haiti è divisa in 10 dipartimenti ed ha un tasso di urbanizzazione del 52%; I dipartimenti sono ulteriormente suddivisi in 41 arrondissement e 133 comuni, rappresentanti, rispettivamente, il secondo e il terzo livello di suddivisione amministrativa del territorio.  La popolazione vive soprattutto lungo la fascia costiera, in particolare nell'area della capitale Port-au Prince (987.000 ab., 2.940.000 l’agglomerato urbano) dove sono situate dalla seconda alla sesta città più popolose del Paese,- Carrefour (511.000 ab.)Delmas (395.000 ab.)Pétion-Ville (377.000 ab.) e Cité Soleil (265.000 ab.)-; fa eccezione Gonaïves (279.000 ab.), situata nel nord-ovest di Hispaniola, un’isola di 76.192 Km², che appartiene ad Haiti per poco più di 1/3 della sua superficie,  in prevalenza montuosa nella sua parte centrale ed occidentale, e per il resto alla Repubblica Dominicana: le relazioni tra i due paesi sono state storicamente tese, sfociate in vera e propria guerra negli anni passati.

Dal 2010 -anno del primo devastante terremoto che è costato la vita a 250.000 persone ed ha ridotto il pil del paese del 120% - ad oggi, la situazione del paese si è notevolmente aggravata sia dal punto di vista economico che sociale:

in primis a causa di una sempre crescente instabilità politica che ha allarmato l’intera comunità internazionale, soprattutto dopo l’assassinio del Presidente Jovenel Moïse avvenuto il 7 luglio di quest’anno, con conseguente dilagare della violenza ad opera di bande armate: i responsabili dell’assassinio del Presidente sono stati individuati in uno squadrone della morte composto da 26 soldati colombiani in pensione e 2 soldati americani di origini haitiane, che  hanno dichiarato come la missione originaria fosse quella di limitarsi all’arresto del defunto presidente secondo un mandato di cattura di un giudice istruttore.

Un’altra problematica grave è rappresentata dalla violenza armata opera delle numerose gang presenti: a febbraio sono evasi in massa tutti i detenuti nel carcere della capitale, pronti ad ingrossare le fila di queste bande: grazie alla quasi totale assenza dello stato e alla totale impunità, questi criminali stanno approfittando del vuoto di potere per imporsi ed espandersi, attraverso costanti e sistematiche violazioni dei diritti umani ai danni della società civile, dei politici e degli operatori umanitari, attraverso il traffico di droga, le estorsioni ed i rapimenti, questi ultimi ai danni di donne e bambine per il cui rilascio arrivano a pretendere fino a 10.000- 15.000$ ed oltre.

- Seguono, quasi naturalmente, la brutalità e la corruzione delle forze dell’ordine, favorite dall’impunità, dalla miseria e dalla mancanza di risorse adeguate, frutto di un prolungato spreco di fondi pubblici che ha portato all’esplosione del debito pubblico(46 miliardi di $ nel 2020), per l’incapacità di gestione economico/finanziaria da parte della BRH(Banca della Repubblica di Haiti).

Ulteriore grave minaccia è la vulnerabilità ai disastri naturali, non essendoci risorse sufficienti per un lavoro di prevenzione rispetto ai rischi(DRR), tantomeno per la costruzione di edifici e case antisismiche: l’ultimo terremoto del 14 Agosto 2021, un sisma di magnitudo 7.2 il cui epicentro è stato il dipartimento di Nippes nella parte sud del paese, ha lasciato ancora una volta il paese in ginocchio, con un bilancio disastroso di 3.000 decessi, oltre 12.268 feriti, per un totale di 30.000 sfollati interni. Le prospettive per il futuro non saranno diverse, poiché si prevede che i cambiamenti climatici aumenteranno la frequenza, l’intensità e gli impatti degli eventi meteorologici estremi.

E’ stato calcolato che il 5% della popolazione detiene il 100% della ricchezza, con conseguente penuria alimentare e scarso accesso ai servizi sanitari per il resto degli abitanti, rendendo  Haiti il paese col più alto tasso di mortalità infantile e materna dell’America Latina, con oltre 80 bambini morti su 1000 nati vivi; più di 1 bambino su 10 non raggiunge il 5°anno di vita; su 256.000 nascite, muoiono circa 30.500 bambini sotto i 5 anni(84 ogni ora). Con riguardo alle madri, 523 donne, ogni 100.000 gravidanze, muoiono per complicazioni legate alla gravidanza stessa od al parto, che avviene solo nel 23% dei casi in strutture sanitarie. Il 55% delle donne in età fertile(15-49 anni) è affetta da anemia, come pure i bambini sotto i 5 anni per il 66%;  sempre sotto i 5 anni sono diffusi i casi di malnutrizione cronica(23%) ed acuta(4,5%), solo la metà di essi ha ricevuto le vaccinazioni di routine, ed il 40% risulta affetto da patologie respiratorie sin dalla nascita.

 Si registra inoltre la più alta incidenza di HIV/AIDS dell’America Latina: ogni anno almeno 4.000 bambini nascono affetti dalla malattia. Appena il 53% delle famiglie che vivono nelle aree rurali ha accesso all'acqua potabile, solo il 43% della popolazione urbana ha accesso a servizi igienico-sanitari (e solo il 26% nelle aree rurali).

A ciò si è aggiunta la pandemia da Covid-19 che ha aggravato la crisi economica, aumentando l’inflazione, il numero di persone in estrema povertà e in carenza alimentare, rendendo ancora più eclatante l'insufficienza del sistema sanitario.

 Negli anni, la comunità internazionale ha investito milioni di dollari per aiuti al paese: sono state diverse le missioni delle Nazioni Unite e di varie sue agenzie come Unhcr e Fao; la Banca Mondiale, in primis, ha concesso ingenti prestiti al paese attraverso l’IDA, l’agenzia della Banca Mondiale che assiste i paesi più poveri del mondo. Obiettivo è ridurre la povertà concedendo prestiti, (“crediti”) e donazioni a sostegno dei programmi che promuovono la crescita economica, riducono la sperequazione e migliorano le condizioni di vita della popolazione. IDA fa da complemento all’agenzia della Banca Mondiale specializzata nella concessione di prestiti - la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (IBRD)- con un totale di prestiti IDA ad Haiti, dagli anni 90’ ad oggi, che si aggira  intorno agli 800.000.000 milioni di dollari $: purtroppo spesso i fondi non sono stati destinati ad opere strutturalmente utili e funzionali, con l’aggravante delle difficoltà che incontrano operatori umanitari, missionari,  rappresentati di organizzazioni internazionali ed Ong di molti paesi, e che li rende sempre più vulnerabili ed esposti alla violenza delle gang, rendendo il lavoro estremamente complicato e rischioso.

In questo tragico quadro, è importante conoscere questo processo di “gangsterizzazione” che ha sfruttato anni di alleanze e collusioni con i politici haitiani facendo crescere il potere delle bande armate:  già nel 2004, quando fu deposto l’allora presidente Aristide, il paese era nelle mani delle bande, finanziate dalla politica con ingenti somme di denaro(anche attraverso ong e fondazioni fittizie). Haiti è sempre scesa a patti con le gang grazie al controllo che queste esercitano nelle baraccopoli della capitale, controllando enormi blocchi di voti e seminando il terrore contro ogni oppositore. Non è un caso, dunque, che ora siano gli stessi capi di queste organizzazioni criminali ad avere forti aspirazioni politiche.

Secondo le Nazioni Unite, oggi ad Haiti esistono ed operano oltre 160 bande criminali, di cui 2 particolarmente potenti: il G9 Group (detto anche “G9 an fanmi”- letteralmente G9 e famiglia- che riunisce 9 bande del paese), e la “400 Mawozo"(lett. “400 uomini senza esperienza”).

La prima è stata fondata da esponenti dell’amministrazione Moïse, durante il cui mandato è aumentato esponenzialmente il numero ed il raggio d’azione di queste bande:  loro leader è Jimmy Chérizier, detto “Barbecue” che si sta contrapponendo  alla classe politica del paese essendo l’artefice del boicottaggio del rifornimento di carburante che sta bloccando l’isola. Ad Haiti la rete elettrica non è molto affidabile, il carburante diesel è essenziale per far funzionare i numerosi generatori che sono impiegati per alimentare tantissime strutture, tra cui gli ospedali. Stanno chiudendo anche i negozi, che non possono tenere luci e frigoriferi accesi, e stanno smettendo di funzionare le antenne di telefonia mobile, lasciando il paese sempre più isolato. La ragione del blocco risiede nella volontà di indurre alle dimissioni volontarie l’attuale primo ministro ad interim Ariel Henry(per gli haitiani una marionetta nelle mani degli americani), la cui nomina, arrivata solo dopo un intervento esterno degli Stati Uniti, aveva messo temporaneamente fine allo scontro di potere iniziato dopo l’omicidio del presidente.

A tal proposito, Lambert, il Presidente del Senato, che considerava se stesso come unico erede legittimo di Moïse, ha denunciato la sua mancata nomina per le pressioni ricevute dal “Core Group”, un gruppo di paesi ed organizzazioni internazionali istituito nel 2004 dopo un colpo di stato, come parte di una missione dell’ONU che aveva lo scopo di stabilizzare Haiti: ne fanno parte tra gli altri le Nazioni Unite, l’Organizzazione degli Stati Americani, l’Unione Europea, gli Stati Uniti, la Francia, la Spagna, il Canada, la Germania e il Brasile.

 La seconda banda più potente è la “400 Mawozo”(lett. “400 uomini senza esperienza”), che sono i responsabili di oltre la metà dei furti e dei sequestri avvenuti nel 2020, soprattutto nelle zone di confine con la Repubblica Dominicana.

Dall’inizio del 2021 si parla di quasi 800 rapimenti ed oltre 300 omicidi per mano di queste bande.

Oggi questi gruppi controllano strade e porti, e bloccano i rifornimenti di carburante, elettricità e cibo. Tra le altre cose, diversi ospedali, banche e ripetitori telefonici hanno smesso di funzionare.

Questo terribile scenario riesce a spiegare, in buona parte, le cause principali dell’emigrazione ininterrotta e continua di migliaia di haitiani dal 2010 ad oggi. Sebbene le cifre esatte del fenomeno migratorio non siano sempre attendibili, secondo numerose fonti di ricerca internazionali è legittimo attendersi una media di 50.469 sfollati ogni anno. Ad oggi si ritiene che gli haitiani fuggiti dal paese superino i 400.000. Le testimonianze dei profughi, come anche di molte organizzazioni internazionali e di difensori dei diritti umani, hanno fatto emergere la tragedia che si cela dietro la decisione volontaria di partire per raggiungere il miraggio di una vita migliore.

Come nel caso di molti altri paesi latini, anche Haiti è protagonista di una crisi migratoria di carattere internazionale, iniziata già dal 2010 a causa del terremoto e dell’epidemia di colera che ha devastato il paese ed acuitasi tra il 2020 ed il 2021 a causa della pandemia da COVID-19 e delle sempre più ricorrenti calamità naturali. La vicina Repubblica Dominicana, paese già in difficoltà ed incapace di gestire flussi consistenti di persone in stato di bisogno, è la prima a doversene fare carico; dopo aver pagato il passaggio ad un coyote( trafficante), molti haitiani- anche minori soli- si sono ritrovati infatti in strada, senza un posto in cui andare e senza la possibilità di trovare un impiego, con l’unica prospettiva di farsi sfruttare dai dominicani per salari miseri, di delinquere o di prostituirsi. L’attuale governo dominicano, nel tentativo di risolvere la situazione ha optato per la costruzione di un muro che impedisca il passaggio ai migranti, nonostante sia insufficiente ed i punti d’accesso siano differenziati e non sempre localizzabili.

Altre destinazioni riguardano paesi del Sud America, dal Brasile al Cile, all’Ecuador alla Colombia, in cui spesso ancora l’accoglienza e l’integrazione sono lontane dal realizzarsi; ma, salvo alcuni che decidono di stabilirvisi( per convenienza economica, maggiore vicinanza col proprio paese, maggiori affinità culturali), per la maggior parte rappresentano un mero punto di passaggio in cui sosteranno il tempo necessario per radunare il denaro necessario ad affrontare il lungo viaggio verso gli Stati Uniti o il Canada. È proprio in questi paesi che, soprattutto ora, ad attenderli al varco troveranno agenti di frontiera incaricati di catturarli e, quasi sempre, di rimpatriarli: sono infatti numerose le immagini che ritraggono agenti della polizia di frontiera statunitense aggredire i migranti haitiani per impedirgli di entrare nel territorio americano; dalla metà dello scorso settembre 2021 sono giunti quasi 15.000 haitiani a del Rio, una cittadina di frontiera del Texas al confine tra Messico e Stati Uniti. La risposta americana è stata di respingimento rapido e totale, infatti l’amministrazione Biden ha avviato i rimpatri dopo pochi giorni; 3 voli sono partiti carichi per Haiti il 19 Settembre, e sembra che la metà dei 327 haitiani rimpatriati avesse meno di 5 anni.

Il percorso obbligato che i migranti haitiani devono percorrere nel loro esodo verso gli Usa è attraverso il cosiddetto “Tapòn del Darién”(the Darién Gap), la giungla colombiana che segna il confine tra Colombia e Panama e si estende per oltre 96.561 Km: una fitta foresta pluviale montuosa e paludosa di giungla vergine, considerata un muro naturale, unica interruzione nel collegamento tra Oceano Artico e il cono sud del Sud America. Non essendoci strade, l’unica alternativa, impraticabile, sarebbe il mare.

Quello che i migranti dovranno sopportare, una volta avventuratisi dentro la giungla, supererà ogni loro immaginazione. Il Darièn è considerata una delle zone più pericolose al mondo, essendo estremamente isolato e disseminato di una fitta ed intricata vegetazione, impenetrabile per qualunque autorità di governo, e rifugio per criminali e bande di ogni sorta  ora come in passato. Negli anni 90’ era il regno delle Farc, i guerriglieri comunisti colombiani in lotta perenne col governo, ed, a fasi alterne, anche coi cartelli del narcotraffico, ora ritiratisi in seguito ad un accordo di pacificazione col governo. Si tratta di un corridoio strategico usato per il traffico di droga ed armi, oltre che per numerosi sequestri, assalti  perpetrati da bande criminali ai danni dei migranti. A questi si aggiungono i pericoli della natura selvaggia circostante(giaguari, serpenti, ragni velenosi). Nonostante questo,migliaia di migranti provenienti da Africa, Asia Meridionale,Medio Oriente e Caraibi decidono ogni giorno di intraprendere questa impresa nella speranza di raggiungere gli Stati Uniti.  La maggior parte di essi si  affida a contrabbandieri esperti, pedine di un ampio ed elaborato sistema clandestino, per farsi guidare fino a Panama.

I profughi haitiani rappresentano la percentuale maggiore tra coloro che ingrossano le fila di questa marcia della morte. Il viaggio parte da Necoclì, in Colombia, sulla costa caraibica; si paga uno scafista fino a Capurganà, il punto d’accesso per il Darièn, un paesino pieno di trafficanti e venditori, pronti a vendere al migrante di turno il necessario per il viaggio. La regione in cui stanno per addentrarsi è controllata da un gruppo criminale, gli “Urabeños”, un gruppo narco-paramilitare che dimostra tolleranza verso i migranti purchè non interferiscano con le loro attività, decidendo chi entra e quanto dovrà pagare. Se i trafficanti cui i migranti si affidano dovessero commettere stupri, furti o sequestri, è a loro che dovranno rispondere. 

Se riescono ad uscire vivi dal Darièn, a quel punto il viaggio dovrà proseguire ancora,senza sosta:  passo seguente è prendere una canoa e raggiungere “la Peñita”,il villaggio che serve da centro di raccolta per i migranti (un agglomerato di tende,hangars,bagni chimici..), dove verranno registrati attraverso pratiche ormai consuete in molti paesi, come la rilevazione delle impronte, lo scanner dell’iride, il controllo del passaporto. In seguito, gli ufficiali invieranno le informazioni ottenute al sistema di registrazione biometrica statunitense; in un paio di settimane coloro che avranno superato i controlli prenderanno un autobus diretto in un campo profughi al confine col Costa Rica, il paese seguente da attraversare; tutti gli altri che per varie ragioni dovessero essere respinti, verranno invece rimpatriati verso i loro rispettivi paesi.

Per queste persone, il respingimento potrebbe fermarsi qui, ma chi prima o chi dopo dovrà scontrarsi con esso: lo abbiamo visto nel caso della vicina Repubblica Dominicana, nel caso della Colombia e del Costa Rica, del Brasile( il quale a sua volta ha costruito un muro per fermare il flusso di haitiani),del Messico, e soprattutto dei tanto anelati Stati Uniti, i quali come reazione a catena hanno provocato un’ulteriore emergenza nella stessa Haiti: quella dell’accoglienza dei loro stessi sfollati.

Il direttore dell’Agenzia Haitiana per l’immigrazione ha espresso la sua preoccupazione richiedendo una moratoria umanitaria e definendo ingestibile la situazione nel paese. I migranti rimpatriati contro la loro volontà sono pieni di rabbia e d’angoscia nel ritrovarsi costretti in un paese dal quale,con grandi sacrifici, erano riusciti a fuggire. Molti di loro hanno vissuto anni in Sudamerica prima di potersi permettere il viaggio,ed hanno la residenza altrove in giro per il sud America o in Messico. Ma una volta scortati sugli aerei, non è stata loro rivelata la reale destinazione, che hanno scoperto solo una volta atterrati. Sono già varie le organizzazioni internazionali che sono scese in campo per aiutare Haiti nella gestione dell’emergenza, distribuendo kit di prima necessità, test rapidi, strutture e campi in cui poter vivere.

È davvero complicato riuscire ad immaginare quale futuro avrà Haiti. Il destino sembra non dare pace a questo popolo, afflitto dalle calamità naturali ricorrenti, dalla violenza delle gang, dall’instabilità politica, dalla mancanza di giustizia e di sicurezza.

Le molte organizzazioni no profit, le missioni religiose e laiche, la società civile e la comunità internazionale stanno cercando di fare il possibile per poter accompagnare il paese verso la ricostruzione e la pace, per dare un futuro alle prossime generazioni. La possibilità di fornire aiuti concreti ed efficaci dipenderà in futuro dalla capacità di gestire i quartieri in sicurezza, con accordi di governo che riescano ad arginare la piaga della violenza sociale e della corruzione, e che si dimostrino collaborativi nella volontà di salvare il paese.  E’ auspicabile che la stessa volontà di collaborare la dimostrino anche i governi dei paesi di accoglienza, affinchè finisca il respingimento indiscriminato e si favorisca il ricongiungimento familiare attraverso maggiore tolleranza, concessioni di visti, e proroghe legali legate alle necessità del singolo migrante.

Carlotta Biggi