2. LA PRIMA GUERRA MONDIALE E LA SOCIETÀ DELLE NAZIONI

Gli anni tra la fine del 1800 e gli inizi del 1900 videro la formazione di alleanze tra Stati sovrani con conseguenze molto importanti negli equilibri e nei rapporti di forza tra le nazioni. In Europa un ruolo fondamentale lo ebbe il cancelliere tedesco Otto von Bismarck con una politica incentrata sul rafforzamento dell’isolamento francese e nella protezione degli equilibri interni delle grandi monarchie autoritarie europee.

Nel 1882 si arrivò alla Triplice alleanza, un patto militare e difensivo che includeva, oltre alla Germania e all’Austria-Ungheria, anche l’Italia che si poneva l'obiettivo: “... di accrescere le garanzie della pace generale, di raf orzare il principio monarchico e di assicurare con ciò stesso il mantenimento intatto dell’ordine sociale e politico nei loro Stati rispettivi. Si sono accordati di concludere un trattato che, per la sua natura essenzialmente conservatrice e difensiva, non persegue che lo scopo di premunirli contro i pericoli che potrebbero minacciare la sicurezza dei loro Stati e la tranquillità dell’Europa. Articolo 1. Le alte Parti contraenti si promettono mutualmente pace e amicizia e non entreranno in alcuna alleanza od impegno diretto contro alcuno dei loro Stati. Esse si impegnano a venire ad uno scambio di idee sulle questioni politiche ed economiche di indole generale che potessero presentarsi, e si promettono inoltre il loro mutuo appoggio nel limite dei loro propri interessi.”

Il patto ebbe importanti conseguenze innescando una conseguente politica di alleanze per le potenze che non ne facevano parte. Nel 1894

Francia e Russia strinsero un’alleanza in chiave difensiva, nel 1904 la Gran Bretagna siglò con la Francia l’accordo dell’Entente cordiale e nel 1907 le tre nazioni sancirono la cosiddetta Triplice intesa. Il risultato fu la ripartizione dell’Europa in due blocchi contrapposti rimasti tali fino alla Prima guerra mondiale quando l’Italia nel 1915 uscì dalla Triplice alleanza per seguire la Triplice intesa.

Il casus belli della Prima guerra mondiale fu rappresentato dall’uccisione a Sarajevo, per mano di Gavrilo Princip un irredentista bosniaco membro di un’organizzazione nazionalista serba, dell’erede al trono austriaco Francesco Ferdinando e della moglie Sofia duchessa di Hohenberg. Pur in un contesto molto teso, lo scoppio di una guerra non sembrava scontato, ma l’attentato innescò una serie di conseguenze drammatiche. Il 23 luglio 1914 il governo di Vienna inviò un duro ultimatum alla Serbia individuata come la responsabile delle tensioni esplose in area balcanica e come nazione vicina al terrorismo nazionalista.

Grazie alla Russia che si schierò dalla parte serba, l’ultimatum venne solo parzialmente accolto e di conseguenza il 28 luglio 1914 il governo di Vienna dichiarò guerra alla Serbia, causando l’immediata reazione russa che si mobilitò lungo i confini occidentali in aperta ostilità contro i tedeschi. Dopo un ultimatum non rispettato, la Germania dichiarò guerra alla Russia, determinando l’automatica mobilitazione della Francia che a sua volta, non rispondendo all’ultimatum tedesco, entrò in guerra il 3 agosto 1914. I Piani di guerra tedeschi si attivarono con l’invasione del Belgio, nazione neutrale garantita da un trattato internazionale sottoscritto anche dalla Germania. La violazione della neutralità belga determinò l’intervento dell’Inghilterra che il 5 agosto 1914 dichiarò guerra alla Germania.

Una situazione destinata ad allargare i confini di un conflitto che, pur essendo stato combattuto nel continente Europeo, sarà facilmente definito di carattere mondiale con apporti molto differenti tra loro del Giappone, della Turchia, della Bulgaria, del Portogallo, della Romania, della Grecia, degli USA, della Cina, del Brasile e di altre repubbliche latino-americane.

Mentre i principali Stati dell'Europa ufficializzavano le loro dichiarazioni di guerra, l'Italia annunciava la propria neutralità il 3 agosto 1914, nonostante la sua adesione alla Triplice Alleanza con Germania e Austria-Ungheria.

Il Governo guidato da Antonio Salandra fece leva sul principio che l'intervento a fianco di uno dei due Stati si sarebbe reso necessario solo per motivi difensivi. In realtà la scelta di non partecipare fin da subito alla guerra era dovuta a diversi fattori: l'arretratezza economica con una popolazione principalmente impiegata in agricoltura, dove il processo di industrializzazione si era sviluppato solo in alcune zone del Nord e la dotazione militare che, sia negli equipaggiamenti che negli ufficiali delle forze armate, era insufficiente per un intervento immediato.

La neutralità permise al Governo di avviare delle trattative non-ufficiali anche con gli Stati dell'Intesa e quindi di valutare al momento opportuno con chi schierarsi. L'annuncio della neutralità venne accolto sostanzialmente in modo favorevole da più parti della società italiana che per motivi diversi vedeva nell’entrata in guerra dell’Italia un rischio enorme.

De Gasperi non venne chiamato alle armi e durante il periodo della guerra rimase in una posizione sostanzialmente defilata ma promuovendo per la sua terra trentina, la neutralità italiana. Con viaggi a Roma e a Vienna sostenne le politiche a favore dei profughi e seguì con attenzione l’evoluzione degli accordi promessi e ricercati del Governo Italiano, sia con l’Intesa che con la Triplice Alleanza, in particolare sul futuro del Trentino. I

suoi rapporti con la Chiesa e con il Governo Italiano, in rappresentanza del Partito Popolare Trentino e di Monsignor Endrici, erano intesi nel mettere in evidenza quanto il Trentino, se fosse passato allo Stato Italiano, avrebbe dovuto godere delle stesse garanzie e privilegi assicurati dall’Impero Asburgico. Un lavoro di mediazione che si concluse bruscamente il 24 maggio 1915 con la dichiarazione di guerra dell’Italia all’Austria.

De Gasperi, rientrato a Vienna partecipò ai lavori del riaperto parlamento e si attivò in particolare a favore dei profughi trentini e della bassa Austria denunciando una evidente disparità di trattamento dei civili all’interno dell’Impero. Sarà la conclusione della guerra e la sconfitta dell’Impero Austro-ungherese che vedranno De Gasperi prendere posizione convinta del passaggio del Trentino all’Italia auspicando che gli atti di pace siano a garanzia e tutela della popolazione redenta.

La fine della guerra mise in luce due impostazioni molto differenti su come gestire i trattati di pace. Da una parte i tre capi di governo europei, l'inglese Lloyd George, il francese Clemenceau e l'italiano Orlando che si concentravano principalmente sulle ricompense territoriali ed economiche delle singole nazioni, dall’altra il presidente americano Wilson che sosteneva la necessità di una pace duratura che evitasse nuovi e disastrosi conflitti attraverso degli accordi ben ponderati. La linea imposta da Wilson fu quella di un lungo lavoro di approfondimento e discussione sui criteri di pace e su come si sarebbero svolte le relazioni tra gli stati nel futuro.

Il risultato concreto di questo lavoro fu la creazione della Società delle Nazioni nell’aprile 1919, un organismo internazionale con sede a Ginevra, rappresentato da tutti gli stati nazionali del mondo, che si sarebbe occupato di risolvere le controversie internazionali per evitare nuove guerre.

A causa dei diversi interessi delle nazioni vincitrici, l'elaborazione del progetto di Wilson trovò solo parziale conferma nella predisposizione dei cinque trattati di pace con le nazioni sconfitte.

De Gasperi criticò duramente la mancata adesione alla visione di pace wilsoniana ritenendo un errore imperdonabile limitarsi a modificare i tracciati delle frontiere e di gravare sanzioni di guerra imponenti in una condizione di forza dei vincitori sui vinti che non potrà che agire negativamente sui rapporti futuri in una prospettiva di desiderio di rivalsa. Così scrisse: “Nei tristi giorni della guerra, era per noi del più grande conforto pensare che dall’immane conflitto sarebbe sorto un mondo nuovo, assai migliore dell’antico. La lotta ci appariva come il parto doloroso della libertà dei popoli, della loro futura alleanza e di una pace sincera; e il fatto che il capo del popolo più potente, più ricco e sul quale si fondavano le più grandi speranze, bandiva e patrocinava questi principii, accendeva dappertutto entusiasmi e incorava ad una resistenza, che furono fattori eminenti della grandiosa vittoria. Oggi, sei mesi dopo che questa fu raggiunta, abbiamo finalmente dinanzi il testo dei preliminari di pace. Se le indiscrezioni che, volta per volta, sollevavano un lembo delle trattative segrete, erano andate man mano af ievolendo l’attesa fiduciosa, la pubblicazione integrale ci ha recato una delusione ancor più grave.”.

La Società delle Nazioni era quindi un ideale sposato da molti ma che probabilmente nacque in un momento in cui la maturazione politica di collaborazione internazionale non era sufficiente. La sua forza ideale si scontrò con la realtà degli Stati che con fatica e titubanza intendevano rinunciare alla propria sovranità, alla facoltà di decidere per se stessi e di non condividere un percorso comune. La società delle Nazioni è stata comunque un primo, fondamentale laboratorio per i rapporti internazionali.

Enrico Galvan