Valentina Magrin, la nipote di Tina Anselmi che cura sui social una pagina in sua memoria, ha trovato un vecchio appunto, privo di data, scritto a mano dalla zia. “Poche parole - osserva-, semplici ma molto attuali, che con piacere condivido con voi”: “Non dobbiamo essere intaccati – così scriveva Tina - da questa mistura del potere senza cultura valoriale ed etica”. Carlo Bianchini legge in queste parole tutta la saggezza di chi vede "oltre la siepe". Il post di Valentina ha poi risvegliato vecchi ricordi, come quello di Bice Pascasio: “Ho conosciuto tanti anni fa l’on Anselmi ad un corso del comitato civico alla Camilluccia a Roma e ne ho un ricordo straordinario”. Anche Laura Barone e Rita Angeletti la conobbero e volentieri la ricordano. Grande donna, la Tina, e grande democristiana, secondo  Alessandro Neglia: “una persona di altri tempi di grande rilievo e serietà”.

Uno spettacolo proposto dalle Acli trentine – “Due memorie, una sola memoria”, testo e regia di Luisa Pachera – la vede oggi protagonista di un dialogo immaginario con Antonio Megalizzi inteso a “traguardare il meglio della tradizione democratica e partecipativa” nel tempo cruciale che viviamo. La rappresentazione sarebbe un’occasione di pedagogia sociale, nientemeno, “tra generi e generazioni”.  

“Le macerie erano fuori, non dentro di noi, che eravamo pronte a morire pur detestando la morte”, scrive Tina Anselmi in “Storia di una passione politica”, la sua lunga confessione raccolta da Anna Vinci. E “allora eravamo anche amici, quando pur eravamo avversari”.

Tina nasce a Castelfranco Veneto, un paese della Castellana. Il babbo, socialista come il padre di Chiara Lubich e di Caterina Caselli, portava sempre con sé la tessera del partito firmata Giacomo Matteotti. Campionessa di giavellotto, fu staffetta partigiana col nome di battaglia “Gabriella” (per cui s’ispirò all’arcangelo). ”La nuova identità – ricorda – garantiva la segretezza e aveva un alto significato simbolico”. 

Lei era una ragazza del ‘43 (quando nasceva la Carrà, anche lei come Tina signorina, anche lei senza figli), per cui la lotta armata rappresentava l’emancipazione dalle famiglie d’origine, che “nulla sapevano e nulla dovevano sapere”. È il capitolo, fondamentale, della Resistenza e della partecipazione femminile ad essa. “Credo – ebbe a dichiarare a questo proposito l’Anselmi – che la presenza numerosa delle donne abbia segnato profondamente lo spirito della Resistenza, ammorbidendola nei suoi eccessi, riconducendola ad una dimensione familiare”.

Fondamentali per la sua formazione furono le teorie di monsignor Luigi Piovesana, uno dei teorici e diffusori della dottrina sociale della Chiesa tra gli operai che, già attivo durante il fascismo, organizzava giornate di studio e di preghiera per le impiegate e le operaie. Poi ecco l’incontro con lo statista trentino presidente del consiglio. “Oggi tutti parlano di De Gasperi richiamandosi alla sua lezione politica – osserva Tina – e poi scopri che non lo conoscono per niente. Che non hanno letto neanche una pagina, ma che dico, un rigo di tutto quello che ha scritto”.

Il primo testo politico letto da Tina fu però un saggio di Michail Bakunin prestatole dal nipote d’un massone. Col tempo lei si convincerà che “nulla è più esaltante della politica” - che è “attività totalizzante, arte” - e diverrà poi la prima donna ministro nella storia della Repubblica italiana. Oggi si direbbe, ma con meno precisione, “la prima ministra”. 

 

Ruggero Morghen